La Rivoluzione tradita dei 5 Stelle: come siamo potuti cadere così in basso?

Era l’estate del 2009, quando Grillo, reduce dai famosi “VaffaDay”, lanciò la sua prima vera e concreta provocazione alla “politica”: mi candido alle primarie del Pd, disse in quella lontana estate, e aggiunse: “offro un’alternativa al nulla”. Un annuncio che non fu ben accolto dalla dirigenza del Pd del tempo, ma soprattutto non fu ben accolto dai concorrenti alle primarie: Bersani, Franceschini, Marino. Il “no” netto e corale del Pd alla sua entrata nel partito fu accompagnato da quella che passerà alla storia come la previsione di Fassino: “si faccia un partito suo e vediamo quanti voti prende”.

Erano gli anni del “Grillo scatenato” contro i partiti, specie contro il Pd. Ed è proprio dopo quel no del PD che Grillo e il guru Casaleggio, il 4 ottobre 2009 al Teatro Smeraldo di Milano, decidono di fondare un loro movimento che, dopo una prima fase dedicata all’elaborazione e all’organizzazione, inizia ad eleggere i primi rappresentanti locali: qualche consigliere comunale (Milano), qualcuno regionale (soprattutto al Nord). Ma la prima vera “vittoria” elettorale del movimento arriva nel 2012 con l’elezione di diversi sindaci, su tutti Federico Pizzarotti a Parma (un idillio che come si sa durerà poco tra Grillo e Pizzarotti). E’ l’epoca della crescita e del consenso.

Il Movimento viaggia a gonfie vele e la strategia di Grillo del “vaffanculo a tutti” sembra funzionare. Ma con i grandi numeri arrivano anche i grandi problemi: la pluralità di visioni sulla messa in pratica della famosa “democrazia interna” apre nel cuore del Movimento diversi fronti: c’è chi chiede la costituzione di organismi di coordinamento, altri chiedono più condivisone nelle scelte, ma soprattutto in tanti chiedono più trasparenza sul ruolo di Gianroberto Casaleggio e della sua azienda, ed arrivano così gli anni delle “grandi purghe”. Tutti quelli che protestano vengono, uno dopo l’altro, sistematicamente “fatti fuori”. Grillo vieta tutto: è vietato parlare con i giornalisti, è vietato apparire in Tv, è vietato soprattutto criticare Grillo e Casaleggio. E le espulsioni iniziano a fioccare: Federica Salsi la prima espulsa, e Giovanni Favia il più famoso (a quei tempi) degli espulsi, giusto per citarne alcuni. Disse Favia: “Proibivano le alleanze, ma ne hanno fatte con destra e sinistra; erano per la trasparenza, ma hanno abbandonato le dirette streaming; promuovevano la libertà civica, ma mettono alla gogna i più ortodossi; si dichiaravano francescani, ma hanno assunto una spregiudicatezza interna spaventosa per fare carriera”.

La voglia di cambiare in quegli anni è un forte sentimento che attraversa tutta l’Italia. Gli italiani non ne possono più di una politica autoreferenziale, ladrona, corrotta e collusa. E vedono nel Movimento una speranza vera di cambiamento: il “mai con la casta” è più potente di una calamita in una scatola di chiodi, attira milioni di voti, a dimostrazione della voglia di cambiare. Le dirette streaming di Grillo prima e Crimi dopo, che umiliano il “potere politico” arrivano al popolo come la vittoria di Davide contro Golia. La gente esulta: è una goduria generale. Il Movimento riempie le piazze e la gente dimostra di aver fiducia in Grillo. La sua determinazione politica, il suo rigore morale, la sua rigida coerenza, lo elevano a “Messia”: la folla lo adora. Finalmente uno che parla chiaro e non guarda in faccia a nessuno e la sua promessa di aprire il parlamento come una scatoletta di tonno diventa lo slogan più rivoluzionario e più condiviso degli ultimi 20 anni. Roba che neanche il PCI di Berlinguer era riuscito a fare.

Ed arriva il boom elettorale delle 2018: il 32, 22% degli italiani sceglie il Movimento, ma nega a Grillo la maggioranza assoluta. È stallo politico. La legge elettorale che nessuno ha voluto cambiare non ha “partorito” una maggioranza. Si impone il tempo delle scelte: restare sulle barricate o provare a fare un governo.  La “Costituzione” del Movimento viene messa in discussione, e alcuni capisaldi iniziano a vacillare. Il dilemma è: allearsi o non allearsi? Che non è certo cosa da poco: è il principio fondante della filosofia politica del Movimento. È il collante che tiene uniti il quasi 33% degli italiani. È il “mai con la casta” che ha vinto le elezioni del 2018.

E all’interno del Movimento si apre la più grande discussione di sempre tra gli “ortodossi del mai con la casta” che sono la maggioranza – il che è dimostrato dal calo dei consensi in solo tre anni: dal 33% al 14%, più della metà degli elettori ha abbandonato il Movimento in disaccordo con le scelte dei vertici, se questo è poco, scusate – e tutti quelli che Fico definì “prime donne”. Ed inizia, contro il volere dei tanti ma approvato dalla fantasmagorica piattaforma che rende tutto democratico e plurale, la metamorfosi del Movimento. Tra le prime donne oltre a Di Maio e compari, spunta prepotente la figura di Crimi, nel frattempo passato dall’ortodossia delle barricate, alla più comoda ed intellettuale posizione del “solo gli stolti non cambiano idea”.

Si sa: o hai degli anticorpi coi controcoglioni, oppure alla fine, il potere logora sempre chi non ce l’ha. E per giustificare quello che milioni e milioni di elettori non capivano e non capiscono ancora oggi, ovvero formare una governo con il peggio degli imbroglioni politici della Lega, le prime donne del Movimento incaricarono Crimi di inventarsi uno straccio di scusa: “Il Movimento è cambiato e continua a cambiare il suo modello organizzativo e i suoi processi decisionali. Lo fa per adeguarsi alle esigenze di governo che incontra lungo la sua storia. Dieci anni fa non eravamo nelle istituzioni: avevamo libertà, tempo e spazio per imporre i nostri temi e condurre le nostre battaglie a lungo termine. Avevamo processi democratici lenti. Una volta che siamo andati al governo, abbiamo dovuto preoccuparci della quotidianità, imporre un altro ritmo alle nostre decisioni e un altro modello alla nostra organizzazione. Chi in questi 10 anni è stato cacciato, è perché ha voluto forzare dei temi che avrebbero avuto bisogno di una naturale crescita più lenta”.

Il motivo politico che “impone” alle prime donne del Movimento di formare un governo è che bisogna adeguarsi ai “tempi”. Come se la sola presenza del Movimento nelle istituzione avesse cancellato di colpo tutta la nomenklatura politica responsabile del disastro nazionale, spalancando le porte dei palazzi ad un “nuovo tempo” popolato, oltre che da loro, solo da ingenue verginelle politiche alle prime armi, con cui è facile stringere sinceri accordi. E infatti “l’esperimento” dura quando la febbre maligna. Salvini lascia il governo e il Movimento resta col cerino in mano. C’è la possibilità di rimediare all’errore politico delle alleanze, ma le prime donne vogliono restare sulle loro poltrone, e poco importa se il consenso continua calare giorno dopo giorno: meglio qualche anno da ministro che una vita da bibitaro. È questo l’unico scopo, non c’è nessuna “ragion di stato” o amore per il popolo, perché se così fosse qualcuno si sarebbe posto il problema della fuga del popolo dal Movimento.

Non c’è uno senza due, e quello che un asino non avrebbe mai fatto, ovvero ripetere il medesimo errore percorrendo la stessa strada dove gli è già capitato di finire in una buca, diventa per le prime donne una prassi: nasce il governo giallo rosso. Segno evidente della perseveranza a conservare la poltrona. Nonostante la fuga in massa dal Movimento. Di arrivare allo 0,000 non gliene frega niente, quello che conta è resistere fino alla fine della legislatura. Ma anche stavolta l’esperimento fallisce e si apre una nuova trattativa, questa volta con uno dei nemici giurati del Movimento: Draghi, la massima espressione del potere finanziario europeo. Il nemico del popolo per eccellenza. Allearsi con Draghi è la conferma del “pur di restare al governo sono disposto a stringere alleanze anche con il mio peggior nemico” che con il bene del popolo non ha niente a che fare. Difficile sostenere il contrario. Eppure c’è chi lo fa. Lo stesso errore ripetuto tre volte di seguito, autoassolvendosi nel nome di un popolo che non li segue più. E’ chiaro ora: perseverare è diabolico, e qualcosa di demoniaco nel reiterare queste sciagurate scelte c’è.

In meno di tre anni siamo già al terzo governo, anche un bambino capirebbe che in queste condizioni nessun programma politico può essere realizzato, si va avanti per inerzia adoperandosi, oltre che per l’ordinario, a mettere qualche pezza alle tante emergenze. Agitando sempre la retorica del bene del popolo. Come siamo potuti cadere così in basso, è quello che tanti si chiedono. Stare al governo con Berlusconi significa la resa incondizionata di quel che rimane del Movimento ai poteri massomafiosi. Cambiare idea ci può anche stare, ma qui siamo al salto della quaglia tipico della prima repubblica.

Quello che il futuro riserva al Movimento pare oramai essere già scritto: un partitino destinato ad attestarsi nell’oscillante forbice del 5- 10%, ancora per qualche legislatura, che pesca nel variegato mondo della disperazione sociale e politica, destinato tra qualche lustro all’estinzione totale. E tutto questo solo per l’ambizione di pochi. E dire che c’era tanta gente che ci aveva creduto: peccato. Del resto qualcuno sui Movimenti rivoluzionari ebbe a dire: il difficile non è fare la rivoluzione, ma una volta al governo mantenere gli ideali della rivoluzione. E quella dei 5 stelle è da considerarsi, dopo questa altra sciagura alleanza, una rivoluzione tradita. Avanti la prossima.