La sanità cosentina che sfrutta e abusa i corpi

Nel marasma dei diritti negati, dell’oscurantismo e della sopraffazione di alcuni gruppi sociali, il nostro collettivo femminista si sta organizzando. Oggi vogliamo denunciare le catastrofiche condizioni in cui vertono alcune delle strutture sanitarie del territorio, come i Consultori e i reparti di Ginecologia ed Ostetricia. I disservizi, le negligenze e gli abusi di potere in questi luoghi, hanno serie conseguenze sulle persone, ed in particolare sulle donne cosentine e migranti, con difficoltà economiche, che non hanno accesso alle sontuose cliniche private, sulle quali la regione Calabria ha dirottato i servizi che non riesce a garantire nel pubblico.

In primis, abbiamo rilevato alcune anomalie rispetto agli spazi fisici dove i presidi sono collocati; il Consultorio familiare di Via Popilia, il più frequentato nel Comune di Cosenza e con lunghe liste d’attesa, ha una sola sala visite, contesa dal personale di ginecologia e pediatria. Il Consultorio, inoltre, che stando ai progetti regionali, dovrebbe garantire corsi preparto gratuiti, è impossibilitato per ragioni di spazio. I locali angusti del Consultorio sono di proprietà di un privato, al quale l’ASP di Cosenza paga migliaia di euro di affitto ogni mese. In questa struttura, il dirigente medico, responsabile del Consultorio, dr. Miceli afferma serenamente di non voler effettuare certificati per l’aborto farmacologico, poiché non lo ritiene un metodo adeguato (La pillola abortiva Ru486 è già in uso in vari Paesi e dal 2005 è inserita nella lista dei farmaci dell’organizzazione mondiale della Sanità Oms).

Lo stesso ginecologo non è disponibile a visitare le minorenni non accompagnate, non garantendo, di fatto, quelli che sono i servizi che un Consultorio dovrebbe offrire. Nel Consultorio di Piazza de Chiara, la maggioranza delle ginecologhe, se non tutte, sono obiettrici di coscienza e si rifiutano di certificare la volontà di una donna ad abortire, interpretando, tra l’altro, il diritto di obiezione in modo del tutto personale, poiché solo il personale che effettua fattivamente l’aborto può rifiutarsi per questioni morali. Il Consultorio di Piazza de Chiara, inoltre, ha strumenti diagnostici obsoleti, con i quali è impossibile valutare i casi di endometriosi e di ovaio policistico. Lo stesso impedimento si registra nel Consultorio dell’Unical, che addirittura non dispone di ecografo. In generale, nessuno dei presidi consultoriali risulta adeguato a soddisfare le necessità territoriali. Non viene implementata nessuna forma di educazione sessuale, né rispetto alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, né sul piano della contraccezione e, non a caso, il 90% degli/delle adolescenti non sa neppure cosa sia un Consultorio. Se sul fronte ambulatoriale la situazione è carente, sul fronte ospedaliero la situazione è molto grave. Non è un segreto che i reparti dell’Annunziata siano pericolosamente inadeguati, con ingenti mancanze di personale e strumenti. L’Azienda Ospedaliera di Cosenza, come tante altre, tenta di rispettare i diktat ministeriali sulla pelle delle persone che frequentano I suoi reparti. Moltissime donne, ad esempio, sono costrette a partorire naturalmente, anche quando le condizioni non lo permetterebbero, mentre i parti cesarei sono quasi un’esclusiva dei presidi ospedalieri privati, significante fonte di speculazione. Nell’ospedale pubblico, anche quando il parto naturale è la scelta più idonea, è di norma difficilmente accessibile l’epidurale, specialmente alle donne migranti.

Se partorire è ingiustamente doloroso o addirittura pericoloso, abortire è quasi impossibile. L’unica sede provinciale dove è disponibile il servizio di IVG è il presidio ospedaliero di Rogliano, spesso intasato dalle numerose richieste e che, nel migliore dei casi, offre solo ed esclusivamente la possibilità dell’aborto chirurgico. Il servizio viene garantito a fatica in un’Azienda Ospedaliera costretta a fare richieste di assunzione specificatamente per medici/che non obbiettori/trici, in quanto il 95% dei/delle ginocologi/ghe si rifiutano di effettuare gli interventi di IVG. Le donne, a Cosenza, per interrompere una gravidanza indesiderata o frutto di violenze sessuali, devono necessariamente spostarsi a Rogliano, a Catanzaro o a Lamezia, in un viavai di visite, accertamenti ed esami, che non implicano quindi la trasferta di un giorno soltanto.

Come per l’aborto, sono innumerevoli i servizi sanitari per i quali le donne, e non le donne solamente, sono costrette a viaggiare, spesso macinando anche migliaia di chilometri. Pensiamo alle cure per il cancro, per le sindromi croniche, da quelle più lievi a quelle molto gravi, che costringono i/le malati/e a spendere risparmi e ingenti somme per potervi accedere. Pensiamo anche a tutte quelle persone che non hanno le risorse per curarsi altrove, lontani/e da casa, e che rinunciano ai trattamenti e alle terapie.
Noi crediamo che non ci sarà Commissario/a ad Acta che tenga, riteniamo che nessun progetto, regionale o locale che sia, possa risanare miracolosamente il servizio sanitario calabrese. Crediamo che i miracoli, a meno che non esistano interessi economici o politici di questo o di quell’altro partito, non avvengano. Il cambiamento è possibile solo se le persone che vivono e attraversano il territorio diventano portatrici dirette delle istanze di autodeterminazione e liberazione. Dobbiamo conoscere i nostri diritti, saper riconoscere e denunciare gli abusi e le negligenze, trovando la forza di reagire, senza delegare a nessuno/a quella che è una lotta urgente e necessaria.
Sulle nostre vite e sui nostri corpi decidiamo noi.

Fem.In. Cosentine in Lotta