Le trame della giudice cosentina Castriota arrestata a Latina: «Questo deve fallire, va arrestato. I 1.500 euro? Mettimeli in borsa»

Le trame della giudice Castriota arrestata a Latina: «Questo deve fallire, va arrestato. I 1.500 euro? Mettimeli in borsa»

Fonte: Corriere della Sera

«Te devo dà na cosa, te la do adesso perché sennò…». «Che cos’è?… A noooo, in Tribunale no». È il 18 febbraio e la cimice piazzata nell’auto del gip Giorgia Castriota intercetta uno dei tanti incontri tra lei e Silvano Ferraro, l’uomo col quale ha una relazione e che ha messo a gestire alcune aziende sotto sequestro perché lui le giri parte (cospicua) del suo stipendio. Stavolta Ferraro ha 1.550 euro in contanti: «Mettila in borsa» (la busta) le suggerisce lei. «Te li metto nella zip», suggerisce lui. «E nun ce va, nun ce vanno».

La disinvoltura con cui la giudice commette reati in spregio del suo ruolo è pari solo alla sua bramosia costante di denaro, in nome del quale, annota l’ordinanza che l’ha portata in carcere, «sono emersi suoi ulteriori e plurimi atti contrari ai doveri di ufficio», tra omissioni e manovre «attive». È lei a nominare l’amministratore giudiziario Stefano Evangelista (indagato) a gestire le società sequestrate a Fabrizio Coscione ed è lei ad affiancargli i coadiutori per completare la triangolazione delle nomine in cambio di denaro. Da ultima, la sua amica di lunga data Stefania Vitto: «Stefà, ormai sei tu la padrona, l’ho detto anche ad Evangelista, sei tu che gestisci… Sei pronta al tuo primo bonifico ricco?», la festeggia Castriota, alludendo al suo stipendio da 10mila euro, dei quali 3mila le verranno prontamente riversati ogni mese su una postepay. Per la giudice è una svolta perché potrà affrancarsi da Ferraro («l’ingrato»), con il quale ormai c’è una insopportazione reciproca per i continui battibecchi sui soldi: «Mi sono stancata pure dell’elemosina che mi fa – si sfoga Castriota con la colf che hanno in comune – basta, basta, tanto da sto mese c’è Stefania e buonanotte vaff…».

L’indagine su Coscione e le sue società però evolve e Castriota teme di perderne il controllo. L’idea, violando ogni dovere d’ufficio, è di portarle al fallimento. Per arrivare all’obbiettivo briga con Evangelista, invitato a denunciare l’imprenditore, e cerca di persuadere i pm titolari dell’indagine ad arrestarlo, adombrando la bancarotta: «Altro che dissequestro, questo deve fallire, spero lo arrestino». I pm però non la assecondano e Castriota appreso di essere sotto indagine, si affretta a inquinare le prove: distrugge un telefono, dicendo che «l’ha mangiato il mio cane Riccardo»; prende un pc in permuta per sviare gli accertamenti sul suo personale; infine si disfà di alcuni oggetti di valore, prove della corruzione, tra cui una borsa. «Meno male che so da dove viene — confida a Ferraro di ritorno dalle terme di Viterbo — Semmai me la voglio riprendere, era dell’outlet».

L’inchiesta di Perugia sta intanto smuovendo dalle fondamenta gli uffici giudiziari di Latina. Castriota ha gestito alcuni dei più delicati e recenti fascicoli di inchiesta, a partire da quelli che hanno portato alla caduta dei comuni di Terracina e Sabaudia, e in molti si fanno domande sulla loro gestione. Anche l’ordine degli avvocati pontini esprime «preoccupazione e apprensione» per i fatti emersi, rimarcando come la vicenda riporti d’attualità «la problematica dei criteri di affidamento degli incarichi giudiziari».