Lettere a Iacchite’: “Vibo, il monte Poro e la tradizione dei carabinieri corrotti: il caso Rombiolo”

Gentile direttore Gabriele Carchidi, ecco nuove da Vibo Valentia.

Dopo la sentenza di primo grado del processo Rinascita Scott ci sembra doveroso fare delle osservazioni in merito all’argomento relativo ai pezzi di stato deviato e in particolare alla condanna emessa nei confronti del funzionario dei carabinieri accusato di rivelazione di segreti di ufficio. La questione dei carabinieri corrotti in provincia di Vibo Valentia è una “tradizione” che va avanti da più di 40 anni. La gente ha paura di andare in caserma a sporgere querela, soprattutto quando si parla di ‘ndrangheta e massoneria. Perché? Ma perché subito dopo la denuncia iniziano le ritorsioni nei confronti di chi ha cercato di far valere i propri diritti. Le evidenze sono chiare e lampanti, lo si evince dai numeri delle querele presentate appunto contro la ndrangheta o contro prevaricazioni massomafiose che in una provincia ad altissimo tenore massomafioso non possono essere così esigue. 

Basti pensare a quanti, sopraffatti dalla soffocante prevaricazione di queste organizzazioni segrete hanno trovato come unica via di uscita l’emigrazione. Scappare è l’unica soluzione, proprio così,  proprio per questo ci ritroviamo una provincia popolata per lo più da azionisti e fiancheggiatori delle stesse organizzazioni. 

L’invito che il procuratore Gratteri aveva fatto agli organi inquirenti cioè quello di andare a recuperare i vecchi ‘cold case’ per capire le reali dinamiche della provincia è stato apprezzato da pochi e attuato da pochissimi, anzi forse da nessuno.  

Attraverso una semplice ricerca storica e qualche informazione sul campo siamo riusciti ad acquisire informazioni su un caso che ha dell’incredibile. Un omicidio-suicidio avvenuto negli anni 90 in uno dei paesini alle pendici del monte Poro, un evento accaduto in concomitanza di una serie di manifestazioni pubbliche contro il fenomeno dell’abigeato che stava mettendo economicamente in ginocchio l’intera area del Poro.

Il fatto ha dell’incredibile perché vittime di questo omicidio-suicidio sarebbero due carabinieri: uno storico appuntato da tutti riconosciuto come vicino alla ‘ndrina del posto e un nuovo arrivato in servizio nella medesima caserma del basso Poro. Tra le testimonianze raccolte quelle degli amici del bar dove si è svolto il tragico evento. Dopo qualche tentennamento si sono lasciti sfuggire qualche indiscrezione, riferendo che l’appuntato in questione era solito fare battute poco cortesi sull’onore del collega, chi dice per puro spirito di caserma – ‘Nonnismo’ – ma c’è anche qualcuno che afferma che il comportamento dell’appuntato vittima fosse da ricondurre a logiche di corruzione che venivano perpetrate proprio per insabbiare il fenomeno degli abigeati ricorrenti in quel periodo nella zona del Poro. 

Qualcuno si è lasciato sfuggire testuali parole: “truffa doppia, gli ha sparato perché era un corrotto” e li hanno anche risarciti, riferendosi ad un qualche risarcimento che gli interessati alla vicenda hanno riscosso.   

La verità su un caso così delicato solo chi di competenza potrà stabilirla, ma il fatto che la popolazione abbia un’idea cosi poco chiara e pulita sulla vicenda è un punto a sfavore nei confronti della fiducia che gli individui hanno nei confronti della giustizia e delle istituzioni.  

Il caso proposto è solo uno tra i più eclatanti della provincia. I fatti e gli avvenimenti storici equivoci notati ed acquisiti negli anni dalla popolazione sono tanti, ogni singola realtà del territorio ha i suoi esempi negativi da proporre per sfiduciare le nuove e le vecchie generazioni in materia legalità e giustizia. PER MAGGIORI INFORMAZIONI  https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/02/26/carabiniere-uccide-il-collega-si-suicida-davanti.html 

Lettera firmata