L’Europa protesta e noi restiamo addormentati (di Gad Lerner)

(DI GAD LERNER – Il Fatto Quotidiano) – La Reggia di Versailles quest’oggi rimane prudentemente a disposizione dei turisti: la collera dei francesi avrebbe rischiato di trasformare lo sfarzoso ricevimento previsto da Macron per accogliervi Carlo III d’Inghilterra in un revival del 1789 o della Comune di Parigi. L’annullamento per motivi di ordine pubblico di quella visita di Stato meticolosamente programmata è una clamorosa vittoria del movimento di protesta che non accenna a fermarsi. Per martedì è già previsto un nuovo sciopero generale convocato dalle centrali sindacali contro una riforma delle pensioni che riunisce nello sdegno la generazione dei padri e la generazione dei figli. Sì, proprio “operai e studenti uniti nella lotta”, come mezzo secolo fa, nonostante la mutata composizione etnica e sociale delle classi subalterne. Anche in Israele, da più di tre mesi, è nelle piazze che si ritrova una folla che nella prossimità fisica e nella rivolta contro i soprusi del potere torna a viversi soggetto politico protagonista. Sommovimenti reali cui i social network forniscono un mezzo, ma di cui non si accontentano.

Non è finita. Domani tocca alla Germania con lo sciopero dei trasporti che paralizzerà il Paese per chiedere aumenti salariali del 10-12%. Come già avvenuto a febbraio nel Regno Unito, protagonisti i dipendenti pubblici, con replica prevista il 30 marzo e il 1º aprile. Anche in Uk la rivendicazione è di adeguamenti retributivi che compensino l’inflazione, e il governo conservatore ha dovuto retrocedere dal suo tentativo di limitare il diritto di sciopero. In molti si chiedono come mai proprio l’Italia, governata prima dai tecnici e ora dalla destra, fanalino di coda nel tariffario salariale, primatista nella precarietà dei contratti e nella diffusione del lavoro povero, figuri in un tale panorama come la bella addormentata d’Europa. Proviamo a scorrere l’elenco delle possibili risposte, che sono numerose, ma alla fine scopriremo che, da sola, nessuna risulta davvero convincente.

Ieri, il lettore Vincenzo Magi, ex militante della Cgil, commentando un articolo di Peter Gomez, sosteneva che l’apparente pace sociale all’italiana dipende dall’eccessiva propensione al compromesso dei dirigenti sindacali, consenzienti con le politiche dell’austerità. Mi piacerebbe accontentarmi di questa spiegazione. In effetti la riunione delle segreterie Cgil, Cisl e Uil convocata dopo il varo di una riforma fiscale confezionata su misura per le imprese e il lavoro autonomo, per non parlare del rilancio dei voucher, autentico strumento di sottomissione dei bisognosi, ha partorito solo un generico mese di non meglio precisate mobilitazioni.

Dubito però che se Landini proclamasse oggi uno sciopero generale le adesioni sarebbero paragonabili a quelle degli altri Paesi. Mario Monti, a sua volta, ha sostenuto che l’assai penalizzante riforma delle pensioni varata dal suo governo nel 2011 passò senza rivolte di piazza perché gli italiani sapevano di trovarsi sull’orlo del crac finanziario. Ciò che non vale, in effetti, per i francesi. Tradotto al giorno d’oggi, potremmo dire che l’assenza di conflitto sociale deriva proprio dai fattori che più dovrebbero motivarlo. In altre parole, i bassi salari e la facilità con cui in Italia si può liquidare un rapporto di lavoro regolare, fanno sentire i più sotto ricatto e disincentivano dall’unirsi nella lotta. Possiamo aggiungere che i confederali, asserragliati nella tutela delle categorie tradizionali, hanno abbandonato al loro destino interi settori in cui prolifica lo sfruttamento selvaggio e rifiutano di instaurare un rapporto col sindacalismo di base che a sua volta li addita come nemici.

Ma c’è un’ultima ragione che dobbiamo considerare, emersa vistosamente al congresso della Cgil con l’intervento di Giorgia Meloni. Dove lei è andata a presentarsi come esponente di una “destra sociale”, addirittura portavoce del popolo contro le élite. Una suggestione destinata a svanire cammin facendo, quando apparirà evidente che ai lavoratori offre solo la sopravvivenza facilitando le paghe in nero e alle imprese l’aggiramento dei vincoli contrattuali e fiscali. L’imbonitrice è destinata a gettare la maschera, inevitabile. Ma intanto è con questa falsa rivoluzione di destra contro i tecnocrati che dobbiamo fare i conti. Credo che Landini, confermandosi sindacalista prima che politico, abbia voluto prendere la Meloni in parola invitandola a Rimini perché confida sul fiato corto della sua propaganda, ma non può ignorarne la presa popolare.

Paghiamo gli effetti di un ciclo di retrocessione del lavoro che in Italia è iniziato nel lontano 1980 e che ora sta giungendo alla resa dei conti. Lo stereotipo della Francia Paese delle rivoluzioni e degli italiani popolo servo, per essere sovvertito, necessiterebbe di una rigenerazione dal basso della sinistra. Ma questa è ancora tutta da vedere.