Mafia-stato e Calabria. La Reggio bene, bellezza! Il giudice, il consigliere regionale e il boss

Franco Morelli e Vincenzo Giglio

MILANO – Il giudice Vincenzo Giuseppe Giglio dovrà risarcire al Ministero della Giustizia 52.794 euro per il danno d’immagine causato dalla sua vicenda giudiziaria. Un terremoto che esplose all’alba del 30 novembre 2011, quando gli agenti della Squadra mobile di Milano misero le manette al magistrato, allora presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria. La notizia della condanna è stata pubblicata da Il Giorno. Giglio, che era esponente di spicco di “Magistratura democratica” e docente universitario all’Università Mediterranea, fu accusato dalla Dda di Milano di essere a disposizione del clan Valle-Lampada. Ai membri della cosca avrebbe fornito informazioni riservate sulle inchieste in corso. La sentenza penale a carico dell’ex giudice è diventata definitiva nell’ottobre 2015: 4 anni e 5 mesi. E a poco più di 5 anni dalla conclusione del processo penale, è arrivata la sentenza d’Appello della Corte dei Conti.

La notizia risaliva a qualche tempo fa e ci dava la possibilità di spiegare chi è il giudice Giglio e rievocare quel periodo grazie anche a quanto uscì fuori dal libro-inchiesta di Francesco Forgione “Porto Franco: politici, manager e spioni nella Repubblica della ‘ndrangheta”, che ci fa capire come funzionava il cuore del problema: la corruzione della magistratura. 

LA REGGIO BENE, BELLEZZA!

L’idea di fondo è che la storia dovesse avere a che fare con la politica. Perché? Perché la politica, che ci piaccia o no, ha influenza diretta sulla vita di ognuno, può rendere peggiore o migliore il nostro mondo, può spalancarci le porte del futuro o ricacciarci nel passato. E perché, a suo modo, è un mondo affascinante fatto di passioni e di interessi, di gesti nobili e di piccole miserie. E’ chiaro che la politica vera, per fortuna, non coincide con quella che ho messo in scena… E tuttavia, ogni tanto, qua e là, le cronache fanno trapelare comportamenti anche più imbarazzanti di quelli descritti nel libro. Mi si vorrà perciò perdonare, e se possibile non mi si accuserà di qualunquismo, per aver ritratto qualche piccola debolezza di quel mondo…“.

Il brano è tratto dalla prefazione dell’autore al libro “Il Politico, una storia di casa nostra”. Il romanzo è un feroce atto d’accusa del degrado etico e morale della politica reggina e l’autore, per costruire le sue storie, ha avuto un osservatorio privilegiato, il Tribunale di Reggio Calabria, da dove passano tutte le porcherie della città.

Lui è un giudice tosto come a Reggio non ce n’è, giacobino pure nella sua corrente di Magistratura Democratica che ormai per lui è diventata troppo moderata. Quando non è in Tribunale, partecipa a tutti i convegni dell’associazione Libera e alle manifestazioni antimafia. Si chiama Vincenzo Giglio ed è il presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria. Il 30 novembre del 2011 è finito in galera per corruzione e rivelazione di segreti d’ufficio con l’aggravante di aver favorito la mafia.

Vincenzo Giglio

Anche questa volta gli ordini d’arresto erano partiti da Milano. E meno male, perché quando si deve indagare sui giudici di Reggio se ne deve occupare la Procura di Catanzaro e da quelle parti tutti dicono che in passato un po’ di cose hanno trovato il modo di “sistemarle”. Anche perché nel Tribunale di Catanzaro magistrati reggini ce n’è tanti e tra chi ha fatto il concorso insieme, chi è stato uditore, chi è amico di famiglia, chi è imparentato col nipote della cugina, insomma, qualche buona parola, o da una parte o dall’altra, arriva sempre.

Per Giglio non era andata così. Nella stessa operazione, oltre a lui, le manette scattano per un medico suo omonimo, un avvocato di Palmi con studio a Milano e a Como, Vincenzo Minasi, un maresciallo della Guardia di Finanza, Luigi Mongelli, i boss dei clan Valle e Lampada, emissari padani dei De Stefano-Tegano, e Franco Morelli, un consigliere regionale del Pdl in Calabria.

Quando si arriva alla politica le sorprese non mancano mai: finisce in carcere anche Mario Giglio, che dei giudice giacobino è cugino ed era stato il capo della segreteria del vicepresidente del Consiglio regionale Francesco Fortugno. Ma questo, ammazzato dalla ‘ndrangheta nel 2006 durante le primarie dell’Unione, era un esponente dell’Ulivo. Insomma, quaggiù destra e sinistra sono cose novecentesche, sono altri i “valori” che uniscono.

Il giudice Giglio, quando vanno a prenderlo può leggere di se che “contribuisce in modo discriminante ad ampliare la rete di relazioni costituente la cosiddetta zona grigia dell’associazione mafiosa. Zona grigia che poi gli associati sfruttano per avere notizie riservate, per ottenere favori nelle aste immobiliari, per allargare le proprie relazioni istituzionali e la capacità di penetrazione nel tessuto economico e istituzionale”. Sono queste le parole che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, Giuseppe Gennari, ha scritto nella monumentale ordinanza di arresto dell’operazione denominata “Infinito”.

Lo spione Giovanni Zumbo

Giglio conosceva bene anche Zumbo, lo spione. I due si stimavano e proprio al commercialista il giudice aveva assegnato l’amministrazione giudiziaria di beni milionari sequestrati sia alla cosca Ficara-Latella che ad alcune delle principali famiglie mafiose della Piana di Gioia Tauro, tra cui il supermercato Idea Sud, quello di proprietà di Rocco Molè. Favori ricambiati, a quanto si capisce ascoltando le intercettazioni delle parlatine a casa Pelle: oltre ai militari del Ros transitati ai Servizi, era lui una delle fonti che – tra le notizie che gli passavano dal Tribunale di Catanzaro e quelle che riusciva ad avere a Reggio – svelava i segreti sulle indagini dei suoi colleghi. E Gambazza, da quello che si diceva con Ficara e Zumbo, forse già lo conosceva, visto che sperava in lui per evitare il carcere e scontare agli arresti domiciliari un residuo di pena: “.. Ora vediamo che si può fare col giudice Giglio”. Insomma, un giudice generoso e pure un po’ spia.

Ma Giglio non è che stava nel sistema dei purcariusi soltanto per amicizia e perché era riggitanu come faceva Zumbo. Lui aveva anche qualcosa da chiedere e ottenere. Cose che, in un certo senso, gli erano dovute e certi suoi amici politici lo sapevano bene. Soprattutto Franco Morelli che non è uno così, eletto tanto per prendere lo stipendio e fare avanti e indietro con la sede del Consiglio regionale a Reggio e la sua Cosenza.

Franco Morelli

Il consigliere pidiellino è il presidente della Commissione bilancio, da dove passano tutte le delibere di spesa della Regione ed è anche il capo della “destra sociale” calabrese, la corrente del sindaco di Roma Alemanno, che ha fatto pure uno spot televisivo per la sua elezione. Insomma, in era post ideologica, per un giudice di sinistra come Giglio, Morelli, anche se è un po’ fascista, è la persona giusta.

Anche per il clan, avere a disposizione un politico con agganci a Roma è un fatto di prestigio. Un prestigio di cui si compiace proprio Giulio Lampada in una telefonata a Mario Giglio, l’avvocato della stessa cricca vicino all’Ulivo, raccontandogli di un ricevimento al quale avevano partecipato… 

Lampada: “… L’altra sera mi hanno presentato Gianni Alemanno; eh! Bellezza! Ma sai che cosa bella che abbiamo fatto? Un buffet, senza giochi d’artificio, senza fontane, però, in piccolo, al livello, al Cafè de Paris, là a Roma, una cosa veramente molto bella.. Tu immagina il ministro con il microfono in mano, seguimi, “ringrazio il gruppo Lampada, noto industriale calabrese a Milano e il dottore Vincenzo Giglio”… e noi in un angolino che gli alzavamo la mano tipo “cià, cià, cià”… Detta dal ministro, vedi che…”.

Giglio: “E’ una buona cosa!”

Lampada: “Noi eravamo i Vip, diciamo. La Reggio bene, bellezza!”-

E dove si erano ritrovati a brindare insieme il giudice di Reggio, il consigliere regionale cosentino, il boss che vive a Milano e l’allora ministro dell’Agricoltura del governo Berlusconi che diventerà sindaco della Capitale d’Italia? Al Cafè de Paris di via Veneto, naturalmente, che a quel tempo era di proprietà della potente cosca degli Alvaro di Cosoleto e dopo solo qualche anno verrà confiscato dallo Stato. Ovviamente è solo un caso, una coincidenza, uno scherzo del destino.

Invece, a spiegare le ragioni del legame tra il consigliere regionale Morelli e i boss della ‘ndrangheta ci pensano gli avvocati difensori del politico di destra, che hanno pure una storia politica di sinistra, Vincenzo Lo Giudice e Franco Sammarco. Lo scrivono nella richiesta di revoca della custodia cautelare in carcere, un incredibile capolavoro di retorica paradossale: “La mentalità elettoralistica-clientelare è diventata cultura, è diventata costume, inevitabilmente è anche modo di governare… Morelli vive e opera in questo difficilissimo ambiente nel quale è quasi d’obbligo mettersi a disposizione: senza grandi possibilità di crearsi una difesa che lo garantisca da immorali ed infedeli strumentalizzazioni. E “mettersi a disposizione” è condizione quasi fisiologica dell’attività politica svolta in Calabria, con la conseguenza di affidarsi supinamente alla lealtà dell’interlocutore“.

Franco Sammarco versione “007”

E meno male che gli avvocati lo dovevano difendere. Di fatto, come scrive il Gip nella sua ordinanza, gli avvocati avevano confermato di che pasta era fatto Morelli: “Il tenore della richiesta difensiva stupisce oltre che assumere contenuto sostanzialmente confessorio (qualora sostanzialmente confermata dall’indagato)“. Insomma, si era “messo a disposizione” della ‘ndrangheta, ma solo per ragioni “ambientali”. E solo per ragioni ambientali sarebbe entrato in affari, con quote societarie, nelle attività dei boss. 

Anche le mogli danno il loro contributo negli affari dei mariti, in queste storie. La moglie del giudice Giglio, Alessandra Sarlo, è una dirigente della Provincia di Reggio, ma da qualche anno è distaccata alla Regione Calabria. La nuova collocazione le piace, ma è in cerca di un ruolo di prestigio. Sai com’è, a Reggio: in certi ambienti è vero che è moglie di giudice e nelle cene sulle terrazze che guardano Messina tutti le fanno l’inchino e il baciamano, però lei è un’alta dirigente della pubblica amministrazione e non vuole vivere di luce riflessa. Il potere, lei, lo vuole toccare con mano. Non cerca un favore, per l’amor di Dio, ma solo il riconoscimento della sua passione per il lavoro. Giglio lo spiega al suo amico consigliere regionale con un sms che dà il via a un traffico di messaggini telefonici tra i due.

Giglio: “Ti confesso un piccolo segreto: mia moglie fa parte della piccola cerchia di persone a cui piace lavorare molto. Perciò, quale che sia la destinazione, per favore, che sia un posto fortemente operativo e non di mera rappresentanza. Questo per la sua serenità e per il mio equilibrio interiore, per cui invoco la solidarietà maschile. Grazie”.

Il giudice è preoccupato che la Provincia revochi il distacco della moglie alla Regione e Morelli lo rassicura: “La Provincia sino a quando c’è Giuseppe (Scopelliti) non può revocare…”. Morelli, pressato quotidianamente, investe del problema il capogruppo del Pdl alla Regione, Luigi Fedele, e alla fine pare che la questione si risolva. La moglie lo comunica al marito e lui informa subito l’amico: “Lunga ma utile discussione con mia moglie. La prospettiva individuata è quella, appena possibile, del trasferimento definitivo di mia moglie al Consiglio. Nell’immediatezza Ale gradirebbe arrivare al Consiglio anche con formule provvisorie che però tengano conto anche della sua qualifica dirigenziale. Stiamo chiedendo troppo? Luigi può impegnarsi in tal senso? Un marito stressato“. Come diceva il marito scrittore, la politica può rendere peggiore o migliore il nostro mondo… assai migliore, se uno si dà da fare. 

In realtà, nel giro di pochi mesi, la signora Sarlo in Giglio otterrà molto di più: con decreto del presidente della Regione, il 14 luglio del 2010 viene nominata commissario straordinario dell’Azienda sanitaria provinciale di Vibo Valentia. L’Azienda sanitaria di Vibo non è un posto come altri. Nell’ospedale della città tirrenica negli ultimi anni si è registrato il triste primato di morti per mala sanità e nel 2006 l’Asp è stata sciolta per inquinamento mafioso: le cosche Lo Bianco di Vibo e Mancuso di Limbadi condizionavano e controllavano tutto, dai reparti ospedalieri alle lavanderie, dalle forniture dei pasti per i degenti ai concorsi interni per i primari agli acquisti farmaceutici.

Il nuovo commissario in fa in tempo a insediarsi e dopo soli cinque mesi, il 29 dicembre del 2010, il presidente della Repubblica Napolitano firma il decreto proposto dal ministro dell’Interno e scioglie per la seconda volta l’Asp di Vibo per inquinamento mafioso. Ma il marito e i suoi amici non la mollano. A settembre del 2011 si ritrova a capo dell’appena costituito Dipartimento Controlli della Regione Calabria. Tra tutti i dirigenti interni all’amministrazione regionale non c’era nessuno idoneo. L’unica buona era lei, che era esterna e per giunta dipendente della Provincia di Reggio. Come si dice da noi, ci avevano messo la buona parola il consigliere Morelli e il capogruppo Fedele.

Lo mette nero su bianco anche il Gip di Milano Gennari, che riferendosi al capogruppo del Pdl, nella sua ordinanza scrive: “Quello che è certo è che Fedele si presta per calcolo politico e clientelare a promuovere un personaggio – la dottoressa Sarlo – che non viene sostenuta per suoi meriti, ma perché moglie del giudice Giglio“. Se non ci fosse la ‘ndrangheta di mezzo, sarebbe una semplice storia di piccole debolezze del mondo della politica: così, con sarcasmo e ribrezzo l’avrebbe indicata nel suo libro “Il Politico”, Vincenzo Giglio, giudice antimafia e narratore giacobino.