Mimmo Lucano per i giudici è “un Robin Hood al contrario”

Quello di Mimmo Lucano, si legge nelle motivazioni della sentenza depositata ieri dal giudice Fulvio Accurso che lo ha condannato a 13 anni e due mesi di reclusione in primo grado nel procedimento denominato “Xenia”, era “un mondo privo di idealità, soggiogato da calcoli politici, dalla sete di potere e da una diffusa avidità”, dove l’ex sindaco di Riace occupava il ruolo di «dominus indiscusso di una associazione a delinquere finalizzata alla strumentalizzazione del sistema dell’accoglienza a beneficio della sua immagine politica». Va giù pesante Accurso e descrive così Lucano: Un individuo «divorato» da un «demone ossessivo» costituto «dalla ricerca di una sempre maggiore visibilità, da attuare ad ogni costo, tanto da non essere più riconosciuto neppure dalle persone che gli stavano accanto».

Mimmo Lucano sarebbe stato a capo di sodalizio criminale che il giudice Accurso così descrive: «… un sodalizio tutt’altro che rudimentale, che rispettava regole precise a cui tutti si assoggettavano, permeata dal ruolo centrale, trainante e carismatico di Lucano il quale consentiva ai partecipi da lui prescelti di entrare nel cerchio rassicurante della sua protezione associativa, per poter conseguire illeciti profitti, attraverso i sofisticati meccanismi, collaudati negli anni e che ciascuno eseguiva fornendogli in cambio sostegno elettorale».

Per il giudice Accurso Mimmo Lucano è un freddo e lucido delinquente che metteva in pratica truffe di ogni genere ai danni dei poveri migranti strumentalizzati a livello mediatico attraverso quello che tutti conoscono come il “Modello Riace”, al punto che : « piuttosto che restituire ciò che veniva versato dallo Stato, aveva pensato di reinvestire in forma privata gran parte di quelle risorse, con progetti di rivalutazione del territorio, che, oltre a costituire un trampolino di lancio per la sua visibilità politica, si sono tradotti nella realizzazione di plurimi investimenti». Che dimostrano inequivocabilmente, secondo le motivazioni, l’arricchimento personale di Lucano che con “l’acquisto di un frantoio e di numerosi beni immobili da destinare ad alberghi per l’accoglienza turistica”, si sarebbe garantito « una forma sicura di suo arricchimento personale, su cui egli sapeva di poter contare a fine carriera, per garantirsi una tranquillità economica che riteneva gli spettasse, sentendosi ormai stanco per quanto già realizzato in quello specifico settore, per come dallo stesso rivelato nel corso delle ambientali che sono state esaminate».

Il processo celebrato a Locri dice il giudice Accurso «non ha neppure sfiorato la tematica dell’integrazione che nei primi anni veniva senz’altro praticata su quel territorio» ma si è occupato solo di analizzare i capi d’imputazione relativi alla gestione dei progetti Sprar, Msna e in particolar modo Cas attivi a Riace dal 2014 al 2017 portando alla «… luce i meccanismi illeciti e perversi fondati sulla cupidigia e sull’avidità, che ad un certo punto hanno cominciato a manifestarsi in modo prepotente in quei luoghi e si sono tradotti in forme di vero e proprio “arrembaggio” ai cospicui finanziamenti».

Il collegio giudicante presieduto dal giudice Fulvio Accurso conclude il suo “giudizio” su Lucano con una espressione chiara che non lascia spazio ad altre interpretazioni: «Nelle intercettazioni e nei documenti esaminati non vi è nessuna traccia dei fantomatici “reati di umanità”».

Insomma, per il giudice Accurso, Mimmo Lucano agiva come una specie di Robin Hood al contrario, rubava ai poveri neri, per donare a se stesso e alla sua “paranza”. Una motivazione talmente tanto assurda  che conferma la nostra tesi: più di qualcuno, in riferimento ai Salvini, ai Minniti, alle Meloni, ha spinto per condannare Mimmo, e non avendo vere motivazioni da scrivere, hanno pensato bene di inventarsi tutto questo.