Morte in carcere: Azzurra e Susan suicide a Torino, ennesimo suicidio a Rossano

Comunicato stampa de La Base Cosenza e foto dell’azione simbolica al carcere di Cosenza, avvenuta questa mattina
La morte di Susan e di Azzurra sono morti annunciate avvenute nelle mani e per mano dello Stato, esattamente come lo sono le decine e decine di persone detenute che ogni anno muoiono dietro le sbarre, in molti casi in circostanze non chiare.
Dall’inizio dell’anno sono 47 i suicidi avvenuti dietro le sbarre, uno ogni quattro giorni.
Oggi in una giornata di festa, siamo al carcere di Cosenza per ricordare che nelle mura dell’oblio non è garantito alcun diritto e per puntare il dito, ancora una volta, contro un sistema che continua ad auto assolversi rispetto a crimini che calpestano la dignità dei detenuti e delle detenute.
Ogni crisi sociale, economica e sanitaria colpisce prima fra tutte  la popolazione detenuta, chi si trova in carcere ne paga sempre il prezzo più alto. Ne abbiamo avuto testimonianza durante la pandemia, quando a causa dell’abbandono e dell’inasprimento del sistema di detenzione le rivolte scaturite nelle carceri sono state soffocate nel sangue, impunemente. Ne hanno prova tutti i giorni i familiari di chi è in carcere, costretti a dedali burocratici per incontrare o avere contatti con i propri affetti.
Il carcere è tortura, perché negare l’acqua fresca  con 40 gradi lo è, perché costringere le persone in celle sovraffollate lo è, perché tagliare i finanziamenti per le attività occupazionali, formative e ricreative costituisce non riconoscere i detenuti e le detenute come persone.
Dal Governo le proposte emerse in questi giorni, a seguito dell’impietosa passerella del Ministro Nordio al carcere di Torino, puntano a preservare lo status quo del sistema carcerario. Aprire nuovi spazi di detenzione vuol dire ridurre qualsiasi problematica al sovraffollamento, e soprattutto creare condizioni di carcere duro nelle strutture esistenti, volendo riutilizzare le caserme come istituti detentivi per chi ha una pena inferiore a tre anni.
Il sovraffollamento nelle carceri è una cartina tornasole di come la detenzione sia mera amplificazione di disagio e sofferenza nonché uno specchio sociale di come marginalizzazione e repressione sostituiscano un welfare efficiente.
La maggior parte della popolazione detenuta soffre di disagi psichici e gravi problemi economici e non solo il supporto psicologico continua a mancare anche nelle carceri, molte delle pene inferiori ad un anno vengono fatte scontare con il carcere duro, a riprova di come i servizi sociali  siano completamente inesistenti, dentro e fuori le case circondariali.
Di fatto l’insostenibilità della detenzione si palesa ancor di più rispetto a detenuti/e, giovani, donne o stranieri/e.
Non possiamo non ricordare  anche il recente suicidio nel carcere di Rossano, negli anni teatro di orrori ormai normalizzati dalle Istituzioni, e la morte di Francesco avvenuta due anni fa qui nel carcere di Cosenza a causa di un diniego al ricovero ospedaliero per “mancanza di personale”, nonostante le sue condizioni di salute fossero critiche e accertate.
Oggi non vogliamo vedere ulteriori sopralluoghi farlocchi nelle carceri italiane, nè sentire dichiarazioni di ogni tipo funzionali all’autoreferenzialità.
La classe politica deve assumersi le responsabilità del disastro creato e cambiare radicalmente sul piano legislativo e sociale questo sistema che uccide e isola.
*Fonti: Ristretti Orizzonti; Antigone. 
La  Base Cosenza – 15.08.23