‘Ndrangheta a Milano, negli atti il traffico illecito dei rifiuti e i rituali recitati a memoria

Estorsioni, intestazioni fittizie di beni, traffico illecito di rifiuti e truffe alle agenzie di lavoro interinale. E’ una ‘ndrangheta che si ‘muove’ per settori di competenza quella ricostruita dalla gip di Milano Sonia Mancini nell’indagine che ha portato a 14 arresti, tra cui quello di Salvatore Giacobbe ritenuto, “senza timore di smentita, capo indiscusso e promotore” dell’organizzazione smantellata dalla Guardia di finanza.

Ogni attività, si legge nell’ordinanza di oltre 600 pagine, “risulta supervisionata” da lui – le indagini hanno confermato lo stretto legame con la cosca dei Piromalli, nella persona di Girolamo, detto Momo – poi, a seconda delle specifiche “capacità” dei figli e dei suoi collaboratori più stretti, “ne ha suddiviso tra questi la loro diretta ed immediata gestione”. Il quadro che emerge è di un uomo che “all’indomani stesso della sua scarcerazione nell’ottobre 2019” espande la sua attività “delinquenziale”, compie un “salto di qualità” rispetto ai traffici illeciti precedenti e che contando sulla sua “già acquisita fama criminale, sulla disponibilità di uomini ancora fedelissimi, sull’evidente disponibilità di investire capitali”, entra in settori più redditizi quali il traffico di rifiuti e l’interposizione fittizia in attività commerciali, che gli consentono “di muoversi su un territorio meno circoscritto e angusto rispetto a quello in cui risultava prima ristretto in base al regime di spartizione del territorio tra boss che stava alla base del sistema delle locali”.

La ‘ndrangheta quindi si ‘reinventa’ non si lega più alle cosiddette locali, “alla strettissima distribuzione territoriale dei traffici illeciti” ma agisce, piuttosto, “per competenze funzionali”. L’indagine fotografa i Giacobbe – Salvatore e i figli Vincenzo e Angelino – “interloquire con i Casalesi quando opera nel settore dei rifiuti, con i Piromalli quando si occupa di acquisizioni di esercizi commerciali, con i Mancuso quando deve risolvere questioni legate alle mere estorsioni”.

Se l’articolazione della ‘ndrangheta ha radici storiche lontane, questa indagine “ha rivelato l’attuale, costante ed asfissiante presenza della stessa in vari settori economici, che il gruppo Giacobbe ha permeato giovandosi di imprese a ciò strumentali, portando avanti, peraltro, un piano chiaramente espansionistico perché volto a prendere il controllo di una serie di attività economiche particolarmente redditizie operanti nel tessuto della ristorazione milanese e del traffico illecito di rifiuti”. In merito a questo in particolare, emblematica appare la frase che uno degli arrestati riferisce alla compagna di Salvatore Giacobbe: “Tu stai tranquilla, il tempo che veniamo noi qua, faremo diventare qua la terra dei fuochi”.

Conosceva più o meno a memoria tutte le formule ed i riti da seguire per chi fosse affiliato all’”onorata società” o volesse entrare a far parte della ‘Ndrangheta, Salvatore Giacobbe, tra le 14 persone arrestate per essere stato alla guida e aver ricostituito un gruppo criminale con legami con il clan dei Piromalli di Gioia Tauro, ma operativo a Milano e nell’hinterland, che ha esteso il suo raggio di azione in Lombardia e anche in Piemonte. E’ quanto testimonia una lunga intercettazione del 16 febbraio 2020 tra Giacobbe e Giovanni Caridi, anche lui in carcere, riportata nell’ordinanza firmata dal gip Sonia Mancini e ritenuta centrale “perché non solo contiene dichiarazioni autoaccusatorie (…) ma soprattutto perché è valida (…) a delineare (…) quella che potrebbe essere definita la stessa ‘essenza’ mafiosa del gruppo”. Gruppo che ha interloquito con altre mafie, come la camorra, e con altri clan a seconda del settore dell’attività criminale con cui fare affari.

“Non siamo, infatti, dinanzi ad una compagine di calabresi trasferiti al nord che, nel delinquere, – prosegue il giudice – vogliono semplicemente emulare o scimmiottare atteggiamenti e metodi dei boss della propria terra di origine, ma siamo innanzi a soggetti che hanno culturalmente interiorizzato e condiviso tutto quel nucleo di regole e rituali della Ndrangheta più profonda e tradizionale”.

Come scrive il giudice Mancini, le regole e i rituali tradizionali della ‘Ndrangheta “costituisce la base stessa su cui i Giacobbe hanno solidamente costruito – e soprattutto mantenuto – sia le gerarchie interne della propria compagine criminale che, e non secondariamente, i rapporti e le gerarchie ‘esterne’ con altri gruppi criminali omogenei ma distinti, con i quali è, infatti, essenziale spartirsi – coordinandosi – i settori illeciti di competenza”. E così, nel corso della conversazione, Giacobbe, che aveva la “dote di Vangelo”, impartisce al suo fedelissimo una lezione sui rituali “delle iniziazioni” che appartengono ai secoli scorsi. Spiega, per esempio, le modalità del “battesimo” o “rimpiazzo” (‘…a voi… sì! Quando hanno fatto… tagliato la coda’), cui dovevano essere presenti cinque persone (…) ed occorreva pronunciare alcune formule rituali (‘…il cuore mi taglierei non so parlare, dei nostri sogni lontani [inc.le]…e [inc.le]… tu lo sai [inc.le]… il nostro compagno di sangue’). Inoltre fa riferimento all’esistenza di una sorta di organo giurisdizionale all’interno di ogni locale a cui era demandato il compito di giudicare eventuali colpe degli associati, il “Tribunale di Omertà”, e parla di quando formano “i stiddi” (…) …quando formano i capi della Ndrangheta”. E poi recita una formula: “una zampa di cavallo alla romana, dove si forma la società si deve sedere con cinque ramoscelli nella mano destra e con cinque nella mano sinistra con parole d’omertà è formata ‘sta onorata società!!!”.