‘Ndrangheta a Milano. Turi Giacobbe, il boss del clan Piromalli che diventa “milanese”

Turi Giacobbe nasce come padrino di Agrate e Pessano con Bornago. Ma quando finisce di scontare la sua pena, anziché tornare lì dove il suo nome incuteva paura, decide di trasferirsi in un palazzo di via Cappellini, vicino alla stazione Centrale. Fa base al bar «Baldassarre» di piazza San Camillo De Lellis. «Ha fatto quasi 40 anni di carcere, loro avevano una villa tipo Scarface. Però è sempre stato una persona di cuore. Sempre di malavita però non cose esagerate, brutte. Ai bambini, agli anziani, cose così. Ancora gli baciano le mani», lo descrive la moglie nelle intercettazioni contenute nell’ordinanza del gip Sonia Mancini.

Cent’anni di storia

Non è mimetismo, ma una sorta di osmosi: il boss che diventa «milanese» e Milano che spalanca le porte al referente della potentissima cosca Piromalli della ‘ndrangheta di Gioia Tauro (Reggio Calabria). Una famiglia allargata che ha «cent’anni di storia», come ricordava uno dei capibastone in una memorabile intercettazione. Salvatore Giacobbe, 72 anni, ‘ndranghetista con la dote del «vangelo» è — secondo le accuse del pm della Dda Silvia Bonardi — il braccio operativo della cosca a Milano. Lui e Mommino Piromalli, alias Girolamo, 44 anni, nipote (alla lontana) del capoclan Girolamo «don Mommo» Piromalli. I Giacobbe (il figlio Vincenzo e il nipote Angelino) agivano su mandato della cosca madre soprattutto in ambito «economico», ma non solo. Perché al centro dell’inchiesta del Gico della guardia di Finanza — partita dalla collaborazione del pentito comasco Luciano Nocera — ci sono anche estorsioni e traffico di rifiuti: «Il tempo che veniamo noi qua, faremo diventare qua la terra dei fuochi», diceva un indagato.

Soldi sporchi

Ma il vero terremoto è sul fronte dei locali: una lunga fila di piccoli esercizi, bar e ristoranti in tutto il Nord Italia (dal Comasco, al Mantovano fino al Piemonte) e in particolare a Milano dove la Dda ha eseguito il sequestro preventivo d’urgenza delle quote societarie di quattro punti vendita aperti al nuovo Mercato comunale Isola di piazzale Lagosta, inaugurato in pompa magna due anni fa sul modello di Barcellona. Invece dentro la struttura comunale, affidata a un gruppo di società private (Mediolana e Serim, gruppo delle macchinette del caffè che fa capo all’imprenditore Bruno Mazzoleni, non indagato), s’era infiltrato il volto economico dei Piromalli, l’imprenditore Agostino Cappellaccio. Chiusi il bistrot Glory, il ristorante pescheria Piscarius, il ristorante Masseria, il pub Sciambola. «Un casino, ho aperto per primo e c’era pieno di macchine della Finanza», racconta uno dei commercianti non coinvolti nell’indagine.

Il blitz all’alba

Dentro l’atmosfera è da abbandono: la merce sugli scaffali, i banchi chiusi in fretta, i clienti in coda fatti entrare dai vigili. Il sequestro firmato dal pm Bonardi si inserisce in un altro filone dell’inchiesta, ma collegato all’indagine principale che ha portato in carcere 14 persone, compreso Cappellaccio. Il nuovo filone parte a fine gennaio quando gli agenti dell’Annonaria effettuano un’ispezione nel mercato. Mentre i vigili sono al lavoro si presentano Cappellaccio e uno dei gestori, Orazio Barbaro, anche lui calabrese e di fatto proprietario di due delle società sequestrate. «Questi ultimi nell’occasione avrebbero asserito di essere i nuovi responsabili di alcune delle attività presenti — annotano gli inquirenti —. E di essere intenzionati ad acquisire “la gestione dell’intera struttura”». In realtà i finanzieri sono già al lavoro su Cappellaccio e il suo rapporto con i Piromalli: «L’educazione della nostra famiglia, ci sono delle regole sacrosante non si toccano donne e bambini e non si ha a che fare con la droga», spiega il 38enne a una donna. Dalle intercettazioni si scopre che le aziende di gestione dei locali sono piene di debiti, usate come bancomat o per fare la spesa gratis in famiglia e che da mesi non pagano l’affitto alle società che gestiscono il Mercato per conto del Comune. Dagli accertamenti delle fiamme gialle, inoltre, emergono altri locali per i quali però non è stato disposto il sequestro.

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Movida e ristoranti

Perché i Piromalli — per interposta persona — abbiano deciso di investire in una struttura comunale, con il rischio di subire maggiori controlli, non è chiaro. Per questo la procura vuole capire se ci siano state eventuali complicità (o sviste dolose) nelle assegnazioni dei locali. Per l’Antimafia il piano dei Piromalli è preciso: investire nella movida. Il primo caso con il «Dom» di corso Como, poi chiuso dalla prefettura nel 2018. Lunedì sigilli anche al Beats di via Borsieri: «Ho un cocktail bar accanto al Blue Note», si vantava Cappellaccio. Giacobbe e family erano di casa a Milano, anche nel noto ristorante di pesce «Terraferma» di via Melchiorre Gioia dove, secondo gli inquirenti, «potevano vantare un trattamento privilegiato rispetto alla clientela ordinaria in quanto la loro reputazione era ben nota ai gestori» (il titolare ha precedenti per traffico di droga). In carcere è finito anche il guardaspalle di Giacobbe, Livio Pintus. È sempre lui a intervenire quando servono le maniere forti. I finanzieri intercettano le minacce dei Giacobbe alle vittime: «Gli stacco la testa e la faccio marmellata».