‘Ndrangheta a Roma: una coriglianese (arrestata) intestataria di quote societarie

La “prestanome”. Immacolata Giustino, 50 anni, non immaginava di ritrovarsi sul groppone, già all’alba d’una soleggiata giornata di autunno, una ordinanza di custodia cautelare. Gli investigatori della Dia hanno fatto irruzione nella sua casa di Marina di Schiavonea, a Corigliano Rossano, cogliendola di sorpresa. Il tempo delle notifiche di rito ed è stata ammanettata e trasferita in carcere.
L’accusa? Essere la “testa di legno” di un temuto (presunto) boss della ’ndrangheta, Vincenzo Alvaro, con interessi nella Capitale. Un padrino a capo – secondo la Dda di Roma – del “locale” mafioso aperto in riva al Tevere per gestire affari variegati: dal traffico di droga al riciclaggio di denaro sporco. Un riciclaggio attuato rilevando esercizi commerciali, società imprenditoriali, locali pubblici.

A Immacolata Giustino, al fine di eludere le disposizioni dì legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, sarebbe stata attribuita fittiziamente, da esponenti della ‘ndrangheta, la titolarità del capitale sociale della “Prontomar Roma s.r.l.” azienda specializzata nella vendita di prodotti ittici. Il passaggio di quote societarie sarebbe stato deciso proprio da Vincenzo Alvaro, ritenuto esponente apicale della cellula mafiosa insediata nel capoluogo laziale e dai suoi sodali Giuseppe Penna e Marco Pomponio, con il contributo di Massimo Cella. I fatti contestati risalirebbero al tre febbraio scorso.

La donna conosce il tintinnio delle manette perché il marito, Giorgio Antonio Florio, 54 anni, è stato condannato nel 2019 a quattro anni di reclusione nell’ambito della maxinchiesta “Gentleman” condotta dalla Dda di Catanzaro contro una rete di narcotrafficanti attiva nella Sibaritide. una rete riconducibile agli Abbruzzese di Cassano, disarticolata dalle forze dell’ordine nel 2015. Un congiunto della Giustino, invece, nel giugno del 2020, venne arrestato dalla Guardia di Finanza perché fermato al valico del Brennero a bordo di un’auto nella quale erano nascosti 33 chili di cocaina.

Della Giustino ha parlato in alcuni interrogatori resi ai magistrati della Dda di Roma la moglie di un indagato finito nelle maglie della precedente inchiesta condotta dai pm capitolini contro le infiltrazioni di Alvaro nella vita imprenditoriale romana. La teste ha spiegato che la 50enne coriglianese era intestataria di quote della “Prontomar Roma srl” che avrebbe poi dismesso – d’accordo con il marito – tornandosene in Calabria. Fonte: Gazzetta del Sud