‘Ndrangheta e massoneria, a chi servono gli arresti? (di Saverio Di Giorno)

di Saverio Di Giorno

A chi servono gli arresti? È una domanda difficilissima che ha più ordini di risposta. Esula dalla stupida diatriba tra garantisti e giustizialisti, è una questione di grammatica del potere. Chi lo studia e lo osserva impara in fretta che una delle regole fondamentali è che quando emerge è nella sua fase finale, è al crepuscolo e si è già rinnovato.

In Calabria, quando ci sono le retate non è quasi mai una novità. Come se l’aria lo avvertisse, resta poca gente per strada. E anche questa volta il pronostico del boss era corretto: “ne arrestano 400”. Un tale terremoto purtroppo non arriva mai come un fulmine a ciel sereno. Non arriva mai senza un pentito che decide di parlare, senza una frattura, dei contrasti che si aprono tra le varie ’ndrine. Questo è avvenuto a Vibo. Si sono susseguiti atti intimidatori, spari e rinvenimenti di armi. Il clima si stava surriscaldando e proprio per questo, qualcuno ha deciso di passare dall’altra parte. Questi episodi attirano l’attenzione dello Stato e quindi, tanto vale aiutarlo prima di trovarsi gli agenti in casa e in posizione di debolezza. Aiutarlo e decidere cosa dire e cosa non dire, chi vendersi e chi no.

Le guerre fanno bene solo ai generali. Mai ai re. Sono modi per fare carriera facendosi “aiutare” dallo Stato che toglie di mezzo il vecchio re. Luigi Mancuso. Non è raro vedere persone uscite dopo poco che acquistano paradossalmente potere e carisma: “a quello non hanno fatto nulla”. È come avere una medaglia al valore. Stesso discorso per chi ne resta fuori. Anche questa, purtroppo, è la Calabria. Dove un arresto può acquisire un significato al contrario. Che non si faccia questo errore stavolta: non vuol dire di certo buttare la chiave abolendo le garanzie, ma evitare che ci siano buchi nelle indagini, evitare scappatoie. Anche perché, altrimenti, si rischia di dar ragione alla Bossio che, senza vergogna, liquida tutto come uno show.

Si diceva di un potere al crepuscolo e in questo discorso è centrale la figura dell’avvocato Giancarlo Pittelli, massone e cerniera tra il mondo criminale e quello politico. Era stato indagato già nell’inchiesta Poseidone, condotta dall’allora pm De Magistris. Poi tutti sanno come finirono le cose: le inchieste gli furono tolte di mano. Questa volta per l’avvocato è andato diversamente. E questo è il punto: perché? Perché prima no e ora sì? Probabilmente, l’inchiesta era prematura o forse De Magistris è stato meno astuto di Gratteri. Quest’ultimo ha reso la procura blindata: nessuno che non fosse fidato poteva accedervi. Ha anticipato l’operazione per una fuga di notizie. È stato accorto. Questa volta le entrature di Pittelli non sono bastate, il suo potere si è affievolito. Certo, non è nullo e ha deciso di farlo valere restando in silenzio e facendo un favore a qualcuno per averlo ricambiato ai processi.

Un discorso del genere è forse troppo pessimistico. Significa dare alla ‘ndrangheta un potere assoluto: si fanno arresti solo quando questa li rende possibile e funzionalmente ad essa. Non è detto, qualche pazzo onesto deve esserci, però, il dubbio atroce resta: perché proprio ora?

Gli arresti servono alle persone. La Calabria è la terra dove i carabinieri sono troppo spesso gli “sbirri”. Le serrande dei negozi alzate. Uno spettacolo non sempre scontato. Per una volta, alle forze dell’ordine sono andati gli applausi meritati, i caffè offerti e le rose. Servono a scendere in piazza e questo è sempre bene. Servono a ricompattare una comunità nella fiducia. Si è ringraziati per aver liberato uno spazio. La domanda è: siete sicuri che quello spazio è stato liberato perché ormai non serviva più o non poteva essere più difeso? E poi, siete sicuri che è compito della magistratura liberare uno spazio? Purtroppo, la risposta è sì. Perché tutti gli altri hanno fallito: la politica, la società civile, la scuola, la Chiesa.

La parola liberazione non è la stessa cosa della parola libertà: non è detto che chi voglia essere liberato, poi voglia la libertà. La libertà ha a che fare con l’amore, la liberazione con la rabbia o con la disperazione. Liberazione è una parola che in questi mesi hanno ripetuto Gratteri, Salvini e tanti altri.

In varie accezioni, certo, ma è sintomatico del clima che si respira in Calabria. Un clima inevitabile data la situazione.

L’unico problema è che la libertà è il rifiuto solitario di ogni potere, mentre la liberazione è la lotta di un potere contro un altro. Qualunque esso sia. Ma da “una ginnastica di obbedienza bisogna farne di strada per capire che non ci sono poteri buoni”. Ad ogni modo questi sono vaneggiamenti futuri, ora c’è bisogno di liberazione, di compattarsi per qualcosa per cui ben vengano (con tutto quel che comporta) gli arresti, le retate e gli show. Sempre meglio di altri teatrini.