‘Ndrangheta e Pd: don Magorno costretto alla scissione perché “ricattato”

Se dovessimo ripercorrere gli ultimi 5/6 anni di vita politica di don Magorno, diremmo che: è stato di sicuro un renziano della prima ora, un fedele servo di Lotti, e ancora lo è, ma è stato anche costretto a fare il fedele cagnolino di Oliverio, anche quando non avrebbe voluto. È stato Renzi (Lotti) a volerlo come segretario regionale del Pd per le sue rinomate caratteristiche: si accuccia a comando ed è sempre ubbidiente. Per tutta la reggenza Oliverio, don Magorno ha fatto tutto quello che Palla Palla gli ha chiesto senza mai lamentarsi, subendo e attirando a se, spesso e volentieri, gli strali destinati ad Oliverio. Palla Palla lo ha usato come una specie di pattumiera politica destinata a raccogliere i rifiuti di tutti: l’uomo giusto a cui dare sempre la colpa. E questo don Magorno non se l’è mai scordato.

Don Magorno, con quella sua faccia da prete può anche infondere tenerezza, ma sotto la corchia si nasconde un vero e proprio diavolo, capace di vendersi l’anima pur di occupare una poltrona. E don Magorno l’anima non l’ha venduta solo a Renzi e compari, ma anche alla cosca di ‘ndrangheta (clan Muto) che regna incontrastata nel suo territorio: alto Tirreno cosentino.

Racconta di lui il direttore Pollichieni (anche se non fa apertamente il nome) in un famoso editoriale del 22 Luglio 2016 dal titolo “L’autogol di Aieta e quel parlamentare Pd “a braccetto con Muto”:

“… Addirittura abbiamo pensato che Aieta, che certe cose le avrà sentite dire da sindaco di Cetraro, potesse riferirsi alla difficoltà di stare in un partito, il Pd, del quale un autorevole rappresentante si ritroverebbe in queste ore al centro di indagini della Dda per via dell’assidua frequentazione con un boss della sanità privata cetrarese sospettato di essere intestatario di cliniche per conto dei Muto. Si ha notizia, infatti, di un parlamentare calabrese del Pd, purtroppo un omissis copre ancora il suo nome, che avrebbe scorrazzato per il Cosentino utilizzando un’autovettura di proprietà del facoltoso imprenditore privato oggetto delle indagini della Procura distrettuale di Catanzaro (si scoprirà in seguito che il facoltoso imprenditore privato è il proprietario della omonima clinica privata “Tricarico” di Belvedere Marittimo, ndr). Peccato, per il parlamentare, che quella macchina era imbottita di “cimici” piazzate dalla Dda e quindi ecco narrate agli inquirenti, le aspettative del boss, i suoi interessi, la necessità di contare sul territorio. Anche per il trasferimento di una dirigente amica all’interno delle Poste italiane, il boss chiede e il parlamentare esegue…”.

Di lui si sa che ha avuto (e ha) un importante incarico nel partito e in una delle amministrazioni locali sfiorate dall’inchiesta”.

Nell’intercettazione si parla evidentemente dell’alto Tirreno cosentino, dove i carabinieri dei Ros tenevano sotto controllo la cosca Muto in un’indagine sfociata poi nell’operazione del 19 luglio del 2016 denominata “Frontiera”, curata dal duo Gratteri/Luberto, con l’arresto di 58 esponenti del clan di Cetraro. Ed è evidente che detta intercettazione si trova, o si trovava, all’interno del “fascicolo Frontiera” del pm Luberto, altrimenti chi è perché intercettava un deputato?

Ma chi è il deputato del PD ammanicato con la cosca Muto? Tutti gli indizi portano a lui: Magorno guarda caso è nato proprio a Diamante e risulta l’unico esponente del Pd eletto in quella zona. Si dice che è un renziano di stretta osservanza, e Magorno è un renziano della prima ora. Si dice che ha avuto incarichi dal partito, ed infatti è stato segretario regionale del Pd, si parla anche di incarichi nell’amministrazione locale e Magorno è stato sindaco di Diamante dal 2007 al 2013. E poi c’è la Peugeot nera (l’auto che secondo i Ros avrebbe scorrazzato per il cosentino il deputato del PD) che taglia la testa al toro perché risulta in uso alla clinica privata Tricarico di Belvedere (alto Tirreno cosentino), gente che don Magorno, frequenta e conosce bene. Se non è di lui che si parla ditemi voi chi altro potrebbe essere questo deputato del Pd dell’alto Tirreno cosentino.

Ovviamente di questo verbale dei Ros, di cui parla Pollichieni non si è saputo più niente. Le intercettazioni sono sparite e la DDA non ha promosso nessuna altra azione mirata a scoprire la verità. Tutto è finito a tarallucci e vino come più volte vi abbiamo raccontato. E la presenza del pm Luberto in questa operazione non è certo casuale. È lui l’uomo che ha in mano le chiavi delle catene di don Magorno.

Le domande sarebbero tante, tipo: chi ha fornito questo verbale al direttore Pollichieni, o meglio chi spiffera la notizia al direttore, e perché?  Come mai il verbale viene tirato fuori proprio nel momento in cui Magorno dimostra di voler alzare la testa nei confronti di Oliverio? Tutto fa pensare ad un Magorno ricattato, costretto, per via di questa sua inconfessabile colpa, a sottostare agli ordini dell’allora duo Minniti/Oliverio, in ferma contrapposizione a Renzi.

L’arrivo del nuovo governo e di Zingaretti alla guida del Pd, mal visto da Renzi e Lotti, aprono nuove prospettive di ribellione dal giogo oliveriano a don Magorno. Pollichieni non scrive più, Oliverio è finito in esilio, grazie all’aiuto del duo Gratteri/Luberto, e Minniti il ripescato non conta più niente. La possibilità di continuare a ricattarlo non c’è più. Ed è qui che Lotti – dopo avergli per anni garantito l’insabbiamento del verbale che lo incrimina, ponendosi come colui il quale non solo era (ed è) in grado di bloccare anche Minniti, ma si fa anche forte dei buoni rapporti che legano Renzi al duo Gratteri/Luberto – gli ordina di rompere definitivamente con Oliverio: bisogna iniziare a sperimentare, e la Calabria si presta all’esperimento politico, una scissione morbida dentro il Pd. Ma don Magorno non è del tutto convinto, e chiede a Lotti garanzie sulla definitiva uscita di scena di Palla Palla dall’agone politico. E Lotti lo rassicura dicendogli che Gratteri ha già pronte altre “retate”, così come dallo stesso annunciato (Gratteri dopo l’arresto di Palla Palla disse: non finisce qui).

Sentendosi ringalluzzito da questo, don Magorno annuncia pubblicamente la sua volntà di mollare Oliverio e che alle prossime regionali presenterà una lista tutta sua. Un messaggio chiaro ed inequivocabile: Renzi proporrà un suo candidato in Calabria e sperimenterà nuove alleanze fuori dal centrosinistra. E Magorno, ancora una volta, è l’uomo giusto a cui affidare il compito. Attraverso le sue conoscenze ‘ndranghetistiche è in grado di mettere d’accordo fazioni opposte per il bene degli amici degli amici.

Ma Lotti sa che la carne è debole e don Magorno potrebbe avere qualche ripensamento se pressato dalla parte giusta, e così fa sapere allo stesso che la sua amicizia con Luberto è sempre all’apice, e che il verbale è bene imboscato, ma sempre pronto all’occorrenza.

Magorno, capita l’antifona, esegue gli ordini, convinto che da lì a poco la Cassazione avrebbe confermato la misura a Palla Palla, e tutto sarebbe filato liscio come l’olio, ma così non è andata. E questo imprevisto – perché in Italia non tutta la magistratura è corrotta o prezzolata, esistono tantissimi magistrati onesti che bene svolgono il proprio lavoro – getta nel panico don Magorno che si accorge di aver sbagliato i tempi, e non solo.

Il ritorno sulla scena politica di Palla Palla è una bella gatta da pelare per don Magorno, specie dopo l’oltraggiosa dichiarazione di scissione, e non può più fare marcia indietro. Ed è questo che teme don Magorno: la furia di Oliverio che dopo la riabilitazione risulta più forte che mai. La cosa che più lo spaventa è che quel famoso verbale di cui aveva parlato Pollichieni possa ritornare nelle mani proprio di Palla Palla, che potrebbe rendergli pan per focaccia. Magari con il consenso di Luberto, che in questa torbida partita ha giocato, come sempre, con tre mazzi di carte.

Una cosa è certa, non vorremmo mai essere, anche a 20.000 euro al mese, nei panni di Magorno.