‘Ndrangheta e turismo. La storia del villaggio Sayonara: l’ascesa dei clan del Vibonese e l’appoggio della malapolitica

Le domande che abbiamo riproposto sul ruolo della Tui Magic Life di Pizzo nelle vicende emerse con l’operazione Olimpo e più complessivamente sul mondo del turismo nel suo rapporto con la ‘ndrangheta ci portano a fare inevitabilmente una riflessione più approfondita (La figuraccia di Gratteri e le domande senza risposta sulla Tui).

‘Ndrangheta e Turismo – Prima puntata (https://www.iacchite.blog/ndrangheta-e-turismo-lanatra-zoppa-dei-villaggi-sequestrati-che-tornano-sempre-ai-boss/)

SECONDA PUNTATA

Nella conferenza stampa seguita all’Operazione Olimpo di gennaio scorso, Nicola Gratteri  dichiara: “Crediamo di aver dimostrato, questa notte, un sistema capillare e sistematico di controllo di tutte le attività alberghiere e turistiche di tutta la provincia di Vibo Valentia e in particolar modo di Tropea e i paesi vicini. La ‘ndrangheta chiedeva la tangente per qualsiasi attività, finanche il controllo sul porto di Tropea, con tangenti da 20mila euro al mese”.

Analisi totalmente condivisibile. L’importanza del turismo per la ndrangheta non solo del vibonese ma in tutta la Calabria esce fuori da una ricerca svolta da Demoskopika che ha quantificato in 2,2 miliardi di euro  i guadagni che la ‘ndrangheta realizza nel turismo ricettivo in Italia. Si tratta della stima dei proventi della criminalità organizzata derivante dalla infiltrazione economica nel comparto turistico italiano. Di questi, ben 810 milioni sarebbero ad appannaggio della ‘ndrangheta: il 37% degli introiti complessivi. A seguire la camorra con 730 milioni (33%) e la mafia con 440 (20%) e la criminalità organizzata pugliese e lucana con 220 (10%).

La ‘ndrangheta fa il salto di qualità passando da una mafia delle campagne a quella vera e propria imprenditoriale puntando negli anni 70/80 sul turismo e sullo sviluppo immobiliare urbano e costiero. Nel turismo vengono investiti i proventi derivanti dai sequestri di persona ma anche dalle opere pubbliche come il raddoppio ferroviario e il Porto di Gioia Tauro. Il traffico di stupefacenti non era ancora arrivato.

Dove vi erano campi coltivati nascono campeggi, le coste vengono cementificate selvaggiamente. Sulla costa di Tropea si allungano le mani delle cosche della Piana, dai Piromalli ai Mammoliti, e la famiglia Mancuso cresce e diventa importante proprio perché capisce il business del turismo. Questo avviene in tutta la Calabria, dalla costa dell’Alto Tirreno sventrata da una cementificazione massiva e senza sosta, alla costa dell’Alto Jonio, alla costa del Crotonese fino in giù a quella jonica reggina, che in parte è stata salvata dalla presenza della statale e delle ferrovia a ridosso del mare. Nascono campeggi e i primi villaggi. Poi piano piano i cafoni diventano imprenditori, spesso fior fiore di imprenditori, che acquisiscono terreni, trasformano i loro campeggi in strutture a quattro stelle utilizzando soprattutto i contributi della Comunità Europea. Sia chiaro che non tutto è ‘ndrangheta, ma di certo molto lo è stato e ancora molto lo è. La ‘ndrangheta si sviluppa grazie ad una sottovalutazione dello Stato del suo potere e della sua pericolosità. La politica, gli amministratori locali, gli apparati dello stato pensavano di poter gestire quei quattro cafoni che potevano tornare utili nel controllo elettorale del territorio.  La ‘ndrangheta fuori dalla provincia di Reggio Calabria per la politica, lo Stato e molta magistratura non esisteva. Ladri di galline e abigeato. Non vorremmo semplificare una storia che è invece complessa con sfumature e intrecci profondi ma in sostanza è accaduto quello che abbiamo spiegato in queste poche righe.

Pino Scriva

Quando negli anni 80 il primo pentito di ‘ndrangheta Pino Scriva accese le luci sulla famiglia Mancuso e sui rapporti con le famiglie Piromalli e Mammoliti, solo il Pci calabrese denunciò pubblicamente l’estendersi della ‘ndrangheta nella provincia di Vibo Valentia, ritenuta fino ad allora esente dalla penetrazione mafiosa. E di questo ne erano totalmente convinti apparati importanti dello Stato nelle sue articolazioni, magistratura compresa. In un convegno svolto a gennaio 1984  sulla ‘ndrangheta a Vibo Valentia alla presenza di Luciano Violante si denunciava: “… Si può dire che la mafia del reggino si è estesa nel vibonese dove ha creato alleanze politiche  profonde e ha dato forza e rilievo ad alcune cosche e famiglie locali. Ha trovato un nuovo terreno per accrescere il proprio potere economico e  finanziario, riciclare denaro sporco in attività commerciali, agricole, turistiche, imprenditoriali. Si è fatto credere, e ancora oggi ci sono forze che vogliono far credere, che la mafia nel vibonese non esista… La mafia nel vibonese è in verità una vera forza imprenditrice che ha investito e accumulato denaro nella compravendita di terreni e nella speculazione edilizia. La situazione sulla costa, da Briatico a Nicotera, è pesante”. (Storia dell’antindrangheta- Danilo Chirico- Rubbettino). 

La storia del Villaggio Sayonara a Nicotera fa parte di questa epoca ed è significativa degli enormi passi avanti compiuti in questi decenni, ma anche di una strada tortuosa fatta di stop and go. La Dda di Catanzaro ha sequestrato il villaggio nell’ultima operazione definita “Imperium”. Eppure il villaggio è passato nelle cronache degli ultimi decenni per essere stato il luogo di un summit ad alto livello tra ‘ndrangheta e mafia siciliana, nel  1992, dopo la strage di via D’Amelio.

“Dopo la strage di via D’Amelio, vengo convocato dai Mancuso. Era estate inoltrata nel 1992”, rivela ai magistrati il pentito cosentino Franco Pino,troviamo il nipote di Luigi (Mancuso ndr) e ci dice di andare tutti al campeggio Sayonara. Era un villaggio turistico (…) Arrivò un’imbasciata che i siciliani di Totò Riina e quelli vicini a lui, avevano chiesto ai calabresi di partecipare con loro ad un’offensiva contro lo Stato”. Lì in quell’incontro furono stabiliti una serie di attentati. La conseguenza furono i  tre attentati contro i carabinieri che a fine ’93 sono costati la vita ai brigadieri Fava e Garofalo e gravi ferite ad altri quattro militari. L’inchiesta ‘Ndrangheta stragista ha svelato tutto questo con condanne confermate  in appello a marzo scorso (a 30 anni dall’omicidio di due carabinieri Fava e Garofalo) all’ergastolo per il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, ritenuti espressione della cosca Piromalli di Gioia Tauro.

Il villaggio Sayonara non viene sequestrato per questi fatti. La proprietà di oggi ha acquisito il villaggio dal Tribunale di Vibo Valentia nel febbraio 2017 dopo una procedura fallimentare dellavecchia società Sayonara srl, fallita nel 2009. La somma pagata, si legge nell’ordinanza di sequestro delle Dda è stata di un milione e 73 mila euro. Sempre nell’ordinanza si legge: “Le risultanze investigative hanno evidenziato come Luigi Mancuso abbia preventivamente avallato l’aggiudicazione dell’immobile in favore del Fonti (il nuovo proprietario, ndr), interloquendo con l’ex proprietario ‘Tonuccio’ Ranieli (deceduto, ndr) che, nonostante la sentenza dichiarativa di fallimento, continuava ad interessarsi degli esiti dell’asta fallimentare”.

L’accusa della Dda si basa sul fatto di come la vecchia proprietà fallita, ma ancor più l’imprenditore ittico Assunto Megna, secondo il pm «figura di rilievo della cosca Mancuso», cognato di Pantaleone Mancuso detto Scarpuni, abbia in pratica indirizzato la vendita della struttura consigliando l’acquirente e stabilendo anche le modalità di gestione del villaggio che doveva andare ad un’altra società ben vista dalla cosca Mancuso. La vicenda ci mostra  la forza attrattiva della ‘ndrangheta anche vero imprenditori lontani dal suo mondo. Certo pesa l’amicizia tra l’imprenditore Giuseppe Fonti di Cittanova e i vecchi proprietari della struttura, ma Fonti, secondo la Dda, si dimostra, in una conversazione registrata nella sua Mercedes, a conoscenza della storia pesante del villaggio. Nonostante ciò è entusiasta dell’acquisizione per le potenzialità economiche del villaggio e non si fa remore di acconsentire alle richieste complessive dei Mancuso. L’accordo, secondo il pubblico ministero, consisteva nell’acquisizione del villaggio e successivamente la concessione in gestione ad un imprenditore siciliano con la decurtazione di 600 mila euro dai canoni di locazione e che dovevano andare ai Mancuso. Per completare la storia ci stanno anche i presunti agganci con la Regione Calabria e i finanziamenti comunitari.

Nella conversazione intercettata Giuseppe Fonti si lamentava con Rapisarda (proprietario della società che ha preso il villaggio in gestione) che, quando è entrato nell’affare del Sayonara, il villaggio turistico avrebbe dovuto ricevere un finanziamento da parte della Regione Calabria: “… La pratica con la Regione è stata di sei miliardi (di vecchie lire, ndr)… due e quattro glieli hanno dati qua… tutto questo inglobamento che tu vedi… di eternit… Si, due miliardi e quattro glieli hanno dati… non gli avevano dato il resto… Dopo che cosa succede… Joppolo… per rientrare… quattrocento milioni a Gentile, a Pino Gentile (ex assessore regionale non indagato, ndr)… c’ero io quando glieli ha dati… … era una sera nel lontano novanta… novantotto… eravamo in lire… e noi siamo entrati… loro… loro… io non c’entravo niente… quindi ecco perché ero convinto che prendevo i soldi io… hai capito? Lui è entrato nel bando… ha pagato!”.

L’inghippo lo ha intuito subito Rapisarda: “Solo che poi, praticamente a lui gli è uscita l’antimafia, no?”. La conferma di Fonti è stata immediata: “Gli è uscita l’antimafia”. Ma l’imprenditore è andato oltre: “… che a me diceva che era una telefonata… di un certo… ‘Vedi che veniamo a mangiare al Beach’. ‘E c’è bisogno che mi telefoni, fai conto che è il tuo’. Invece non era un cazzo… era per quel fatto del novantadue… che io non ho mai saputo e che dopo me lo ha ammesso”. Il “fatto del novantadue” era proprio il summit in cui Cosa Nostra ha chiesto alla ‘ndrangheta di aderire alla strategia stragista.

In questa storia c’è tutto. C’è lo spaccato di un certo mondo del turismo calabrese, di come è nato, cresciuto e sviluppato. Vedremo l’esito finale dell’indagine e poi dell’eventuale processo, se le accuse reggeranno e gli indizi saranno sufficienti. Per adesso abbiamo che il villaggio è sotto sequestro ma la strada è lunga. Siamo appena agli inizi della Storia.

Ma di storie simili è pieno il turismo calabrese, dove si intrecciano imprenditori seri e trasparenti ad altri collusi e compromessi. Nel 2011, al Sabbie Bianche di Parghelia, nel vibonese, nel 2011 i carabinieri hanno arrestato Agatino Zammataro, latitante catanese che lì si nascondeva con moglie e figli al seguito. Al Garden Resort di Curinga/ Pizzo, i pentiti Andrea Mantella e Francesco Michienzi hanno dichiarato che hanno soggiornato il broker della droga Rocco Morabito Giuseppe De Stefano, capocrimine di Reggio Calabria. E dal Garden Resort e dalla famiglia Stillitani ripartiremo nel nostro viaggio nel mondo del turismo nella nostra prossima puntata.

(2- continua)