Non solo Renzi&Giggino ‘a purpetta: tutti i salvati dalla Casta. E Marco Siclari è sulla buona strada

(DI ILARIA PROIETTI – ilfattoquotidiano.it) – La regola numero uno è fare melina, traccheggiare e se non basta lavorare di fino: fatto sta che in Parlamento, quando si tratta di votare sulle grane giudiziarie di deputati e senatori, si viaggia con il freno tirato e sempre con qualche asso nella manica. Pur di accordare lo scudo dell’immunità che salva dai processi Lorsignori persino quando insultano sui social. Figurarsi quando i magistrati chiedono misure cautelari o di poter utilizzare le intercettazioni che inguaiano deputati e senatori: lì prevale sempre la cautela estrema, ma più spesso la mandrakata.

Un esempio? La Giunta per le autorizzazioni di Palazzo Madama, per dire, si è inventata persino la immunità parlamentare retroattiva pur si salvare dal processo Gabriele Albertini e sì, come ha poi certificato la Consulta, che non era ancora senatore quando aveva coperto di accuse infamanti il magistrato Alfredo Robledo. E che dire dell’assist servito su un piatto d’argento alla leghista Cinzia Bonfrisco? Sempre il Senato ha deciso che aver favorito in ogni modo un’azienda, che poi l’aveva generosamente ricompensata, rientrava nel libero esercizio delle sue prerogative parlamentari, altro che reato.

L’ultimo regalo è però quello a Matteo Renzi per il quale la Giunta ha agito in tempi record, tre sedute appena – tale era la fretta – per mettere nero su bianco che i pm che gli contestano il finanziamento illecito nell’ambito dell’inchiesta su Fondazione Open, hanno sviato l’indagine violando le sue prerogative e quelle del Senato tutto. Che dunque per lui intende sollevare un conflitto di attribuzione di fronte alla Consulta dove sotto processo sarà l’operato dei magistrati proprio com’era fin dal principio nel disegno del leader di Italia Viva. Stesso servigio che, a maggior ragione dopo il sì a Renzi, ora pretende per sé pure Carlo Giovanardi che è già a processo per fatti gravissimi: stando alle accuse, pur di ottenere dai funzionari della prefettura di Modena che una ditta sua amica in odore di ’ndrangheta, come si è poi scoperto, potesse lavorare alla ricostruzione post-terremoto, avrebbe fatto fuoco e fiamme minacciando di usare persino le sue conoscenze al Viminale.

La Giunta, intanto, due giorni fa, ha già salvato Giggino ’a Purpetta, al secolo Luigi Cesaro, che ha invece alle calcagna i magistrati di Napoli che lo accusano di concorso in associazione di tipo mafioso e corruzione elettorale: per i magistrati partenopei avrebbe dato un “un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo alla conservazione, all’operatività e al rafforzamento” del clan Puca favorendone gli affari e l’infiltrazione nel Comune di Sant’Antimo, comune natìo del senatore forzista e dei suoi fratelli con lui coimputati: la Giunta ha respinto la richiesta dei domiciliari perché “il pericolo di reiterazione del reato non è ravvisabile sia perché il senatore Cesaro è incensurato sia perché i fatti sono risalenti nel tempo”.

Ha dunque eccellenti motivi per ben sperare anche l’altro senatore azzurro Marco Siclari: ha fatto in tempo a essere processato e condannato dal Tribunale di Reggio Calabria a cinque anni e quattro mesi con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici per concorso in scambio elettorale politico-mafioso grazie al quale ha conquistato lo scranno nel 2018. Ma i suoi colleghi non hanno avuto ancora mezzo minuto di tempo per decidere sulla richiesta di arresto inoltrata al Senato il 20 febbraio 2020.

E che fine ha fatto dal 2019 la richiesta di autorizzazione della Procura di Milano nei confronti all’ex potentissimo sottosegretario leghista Armando Siri, accusato di aver ricevuto dalla Banca di San Marino mutui a tasso di strafavore? La pratica non è mai stata calendarizzata per il voto definitivo dell’aula del Senato. La Giunta invece continua a rinviare sulla richiesta di autorizzazione per l’uso di intercettazioni formulata a settembre dalla Procura di Roma dove Siri è a processo con l’accusa di essersi dato da fare, in cambio della promessa di una mazzetta, per favorire Paolo Arata, l’imprenditore in affari con il re dell’eolico Vito Nicastri considerato uno dei finanziatori di Matteo Messina Denaro. Guanti bianchi anche per il leghista Roberto Marti inseguito dall’accusa di tentato abuso di ufficio, falso ideologico aggravato e tentato peculato per aver favorito illecitamente l’assegnazione di una casa popolare al fratello di un boss. I magistrati di Lecce si sono rivolti alla Camera (dove era eletto all’epoca dei fatti contestati) a febbraio 2019 per chiedere l’autorizzazione a usare talune intercettazioni compromettenti: dopo mesi e mesi per stabilire di chi fosse la competenza a decidere la pratica è passata al Senato che solo a maggio 2021 ha emesso il suo verdetto: sono state autorizzate solo le intercettazioni per lui meno compromettenti, perché le altre sono state ritenute illegittime. Motivazione? I magistrati non potevano non sapere che intercettando i suoi sodali sarebbe inevitabilmente finito nella rete delle captazioni pure lui.

Alla Camera, Barbara Saltamartini, della Lega, indagata per aver insultato un giornalista, ha scampato il processo nonostante non vi fosse alcun aggancio tra le sue parole e la sua attività parlamentare. I suoi colleghi di Montecitorio hanno stabilito che lo scudo per lei dovesse valere lo stesso, perché non era certo colpa sua se in quel periodo la Camera era chiusa, causa crisi di governo. Quisquilie se paragonate al caso di Diego Sozzani di FI.

I magistrati che lo stanno processando per l’affare “Mensa dei poveri” (un sistema di mazzette, appalti, nomine pilotate e finanziamenti illeciti che ha lambito i massimi vertici della Regione Lombardia), si sono visti respingere la richiesta di autorizzazione all’uso delle intercettazioni e pure la richiesta di arresto. Prima i deputati hanno fatto secche le intercettazioni ché le captazioni tramite trojan installato sul telefono di Nino Caianiello (ex coordinatore di Forza Italia a Varese che per l’inchiesta ha già patteggiato 4 anni e 10 mesi di condanna) “sono prevalentemente effettuate in un bar abitualmente frequentato dal deputato Sozzani”. Risultato? Sono inutilizzabili perché ritenute non casuali. Ma non è tutto: la Giunta aveva almeno dato semaforo verde alla richiesta di arresto, tale era la mole di indizi a suo carico, ma poi la mandrakata l’aveva fatta l’aula al momento del voto definitivo. Quando con il favore del voto segreto in 309, nove avevano detto no all’arresto lasciandolo a piede liberissimo.

Poi c’è il caso di Cosimo Ferri. È già stato graziato dalla Giunta per le autorizzazioni, che ha impallinato la richiesta che aveva fatto il Csm per poter utilizzare le intercettazioni di Perugia del Palamaragate onde potergli almeno mettere una nota sul registro disciplinare, laddove per gli stessi fatti i suoi colleghi magistrati che con lui si erano apparecchiati all’hotel Champagne c’hanno rimesso la carriera. Ora manca solo l’aula e poi nessuno potrà più fargli niente.