Notizie sui media: Nordio vuol punire i procuratori…

(DI VALERIA PACELLI E GIACOMO SALVINI – ilfattoquotidiano.it) – Colpire i procuratori della Repubblica per le notizie sui media (il caso di Daniela Santanchè) paragonandoli agli imprenditori che hanno la “responsabilità oggettiva” per le violazioni in azienda, rendere completamente segreti gli atti in fase di indagine e alzare il tetto di 5 anni per evitare di intercettare gli indagati per reati contro la pubblica amministrazione. La riforma della Giustizia di Carlo Nordio, approvata il 15 giugno dal Consiglio dei ministri, non è ancora arrivata in Parlamento e la maggioranza è già pronta a modificarla dopo le inchieste giudiziarie che hanno riguardato la ministra Santanchè, il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro e il figlio di Ignazio La Russa, Lorenzo Apache.

Toghe nel mirino In arrivo nuove norme
Per evitare altri casi Santanchè, la nuova idea che si sta facendo strada nel governo è quella di punire direttamente i procuratori della Repubblica per le notizie che riguardano i fascicoli affidati ai loro sottoposti. Il principio sarà simile a quello della “responsabilità oggettiva” che viene contestato agli imprenditori per i casi di violazioni in azienda. Una volta avvenuta la pubblicazione di notizie sui media, il governo vuole imporre l’obbligo di aprire un fascicolo in cui la procura “sotto accusa” dovrà dimostrare di aver fatto di tutto per evitarla. Se così non sarà e non si troverà il colpevole sarà chiamato il procuratore capo a risponderne in solido.

L’altra idea, in parallelo, è quella di rendere segreto ogni atto di indagine prima della fine dell’inchiesta evitando quindi la pubblicazione. Un modo per farlo potrebbe essere quello proposto da Forza Italia in una proposta di legge a prima firma Tommaso Calderone: sanzionare i giornalisti con una multa da 50 a 150 mila euro rispetto ai 50-258 euro di oggi.

Captazioni Il rischio: saltano per la corruzione
L’altro intervento in sede parlamentare sarà quello di limitare non solo la pubblicazione delle intercettazioni ma anche il loro utilizzo per determinati reati. Forza Italia e Italia Viva spingeranno per eliminare l’uso del trojan, il virus che trasforma i telefonini in microspie ambientali, per i reati contro la Pubblica Amministrazione, mentre i forzisti chiedono di alzare il tetto dei 5 anni di pena entro i quali non si può intercettare. Il rischio, quindi, è quello di tagliare le captazioni per reati che sono tipici dei colletti bianchi, come la corruzione e il peculato.

Cortocircuito il caso “rave”
Che però non sarebbe gli unici reati non più intercettabili qualora quest’ultima iniziativa dovesse andare in porto. Infatti, in linea teorica, non si potrà utilizzare questo strumento di indagine neanche per un reato nuovo di zecca, quello che punisce i rave party, di cui tanto andava fiero il ministero dell’Interno poco dopo l’insediamento del governo. L’articolo 633 bis infatti prevede pene fino a sei anni, una scelta dovuta proprio alla volontà di poter intercettare chi organizzava questi eventi. Ed era stato proprio Fratelli d’Italia a voler intervenire in questo senso. Se la normativa sulle captazioni verrà modificata però ciò non sarà più possibile. È l’ennesimo corto circuito, che dà l’idea di quanto siano in contraddizione tra loro le singole iniziative.

C’è ad esempio anche quella che l’imputazione coatta. E che nasce dal caso Delmastro: dopo la richiesta di archiviazione il Gup di Roma ha chiesto ai pm di formulare un capo di imputazione con il reato di rivelazione di segreto per il cosiddetto caso Cospito: l’accusa al sottosegretario alla Giustizia è quella di aver fornito al collega Donzelli, che ne ha parlato in aula, le conversazioni dell’anarchico in carcere. La procura aveva chiesto l’archiviazione, non condivisa dal Gup. Ora l’idea del governo, secondo quanto riferiscono qualificate fonti di Chigi, sarebbe proprio quella di abrogare l’imputazione coatta.

La riforma Il colle vigila
Intanto, dopo la bollinatura del Tesoro, il disegno di legge Nordio è arrivato al Quirinale per la firma, prima di essere trasmesso al Senato. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, appena tornato dalla missione in Sudamerica, valuterà le norme del testo. Chissà che non voglia anche pronunciarsi sullo scontro tra governo e magistrati.