Omicidio Bergamini, 39^ udienza. Donata: “Abbate mi disse di sapere che era stato ucciso ma che siamo in Calabria…”

Cosenza, 23 Marzo 2023 Processo Bergamini In foto: Donata Bergamini, sorella del calciatore Denis tragicamente scomparso il 19 Novembre 1989

Donata Bergamini ha testimoniato per circa 5 ore oggi in Corte d’Assise a Cosenza per la 39^ udienza del processo per l’omicidio volontario pluriaggravato di suo fratello Denis. Il pm Luca Primicerio ha ricostruito con lei tutti i delicati passaggi che l’hanno coinvolta e che l’hanno portata, sin da subito, alla convinzione che Denis Bergamini fosse stato ucciso, al contrario di quanto ha sempre dichiarato l’imputata Isabella Internò. L’ex fidanzata del calciatore oggi era contumace: non se l’è sentita di affrontare lo sguardo di Donata Bergamini. 

Donata Bergamini ha ricordato l’ultima volta che ha visto Denis, nella casa dei genitori a Boccaleone di Argenta, lunedì 13 novembre 1989, il giorno dopo la sua ultima partita con la maglia del Cosenza a Monza. E ha subito chiarito che suo fratello era infastidito dal fatto che si ritrovasse Isabella Internò dappertutto: “Sembrava l’Attak…” ha detto Donata riferendo le parole di Denis, che non riusciva a liberarsi delle “attenzioni” dell’ex fidanzata e non nascondeva il suo fastidio per la circostanza.

Pochi minuti dopo, la strana telefonata che Denis ricevette. Una telefonata brevissima che lo aveva messo in evidente stato di agitazione: “Era diventato rosso paonazzo, sudava e restò evidentemente scosso da quella breve conversazione ma non aveva spiegato qual era il motivo”. Denis era poi partito la mattina dopo per ritornare a Cosenza: nulla lasciava presagire quanto sarebbe accaduto sabato pomeriggio a Roseto Capo Spulico.

LA FAMIGLIA BERGAMINI SUL LUOGO DEL DELITTO

Sono stati i carabinieri della stazione di Argenta ad informare la famiglia Bergamini sabato sera che Denis “aveva avuto un incidente” e Donata insieme al marito, al padre e alla madre si mise subito in viaggio per il Sud. La famiglia Bergamini arriva alla stazione dei carabinieri di Roseto Capo Spulico nel cuore della notte: “Volevamo parlare con il brigadiere che aveva effettuato le prime operazioni – ricorda ancora Donata -. Ci dissero che dovevamo aspettare, che si stava facendo la barba e che avrebbe parlato solo con mio padre. Ci siamo arrabbiati, ma non c’è stato nulla da fare”

Il brigadiere Barbuscio, rasato a puntino, riceve Domizio e gli racconta la storia assurda, quella del suicidio. Gli racconta che Denis si era buttato sotto un camion e che era stato trascinato per 60 metri. Che lo aveva fatto perché voleva lasciare il calcio e andare in Grecia. Il papà di Denis sente il sangue ribollire e così anche Donata, suo marito e la madre.

A un certo punto, prima di uscire dalla stanza, Barbuscio consegna a Domizio una busta gialla. Dentro ci sono i documenti di Denis, 500.000 lire in contanti, un assegno di 8 milioni non cambiabile, la catenina e l’orologio che portava al polso il giorno prima: “Era intatto – ricorda Donata -, così come la catenina. Non c’era neanche un graffio. E funzionava. Ma come: uno viene investito da un camion di 130 quintali (che poi ripassa anche a marcia indietro sul corpo, secondo la versione ufficiale) e la catenina e l’orologio neanche si rompono?”.

Domizio vuole vedere il luogo dell’incidente, ma Barbuscio inizialmente non intende accompagnarlo. Poi si rassegna all’incombenza. Ma le “sorprese” non finiscono. “Mentre usciamo dalla caserma, vediamo il Maserati bianco parcheggiato nel garage. È pulitissimo, nessun segno di fango, niente. Come nuovo. Eppure il giorno prima pioveva…”.

Non quadra nulla. E sarà peggio con il passare dei minuti. Riprende il racconto Donata: “Veniamo condotti fino alla famosa piazzola. È un’area vastissima, enorme. Coperta di fango. La strada è lontana. Chiediamo al brigadiere di indicarci il punto esatto dell’impatto e lui farfuglia qualcosa. Gli facciamo delle domande e non risponde. Mio marito Guido va sull’asfalto. Non ci sono segni di frenata. Si sposta, percorre alcuni tratti a piedi, ma nulla. Eppure ci hanno detto che il corpo è stato trascinato per oltre sessanta metri…”.

Il mistero si infittisce. Gli interrogativi rimangono senza risposta. Peggio che mai quando i familiari di Denis si recano all’obitorio, a Trebisacce: “All’inizio ci ostacolarono”, ricorda Donata. “Chiedemmo di avere i suoi vestiti, ma ci dissero che non era possibile. Poi riuscimmo ad alzare il lenzuolo e vedere il volto di Denis. Era intatto… nessuna traccia del trascinamento… Il direttore sportivo Ranzani ci disse che sarebbe stato necessario fare l’autopsia ma quando ci dissero che avrebbero dovuto farla a Bari e che saremmo dovuti rimanere lì a lungo papà disse che avrebbe preferito farla da noi perché non si fidava a farla in Calabria”.

LA FAMIGLIA BERGAMINI AL MOTEL AGIP 

La testimonianza prosegue con il racconto dell’arrivo della famiglia Bergamini al Motel Agip dove incontrano i compagni di squadra e dove, poco dopo arrivano anche Isabella Internò con i suoi genitori.

“Isabella ci ha raccontato che Denis dopo averle sorriso ha fatto l’autostop a 5 macchine e si è buttato sotto il camion. Ci ha raccontato che Denis le ha detto che era stanco del calcio e voleva andare all’estero e che le aveva detto: «Ti lascio il mio cuore ma non il mio corpo». Mio padre le chiese poi se fosse stata lei a chiamare lunedì sera a casa a Ferrara e in quel momento intervenne il padre di lei affermando «Lei proprio no!».”. 

Il giorno del funerale Donata e i suoi familiari trovano Isabella Internò vicino alla bara. “Mia madre mi fece notare subito – ricorda Donata – come doveva esserci lei sulla bara di Denis e non la Internò”. Poi il viaggio di ritorno verso Argenta assieme a padre Fedele che avrebbe celebrato il funerale nella città natale di Denis il giorno successivo.

“Lungo il viaggio ci siamo fermati in un autogrill e in tv stavano trasmettendo Il Processo del lunedì nel quale mostravano le immagini dell’incidente. Per la prima volta abbiamo quindi visto la pozza di sangue e quanto distava dalla piazzola. Padre Fedele subito ci invitò a contattare l’ospedale di Trebisacce e spingere per fare l’autopsia. Quando riuscimmo a contattare l’ospedale di Trebisacce mio padre parlò con un infermiere e gli chiese degli indumenti di Denis. L’infermiere gli rispose che erano in un sacchetto nero da portare all’inceneritore. Papà lo invitò a trattenerli lì perché sarebbe partito subito per andare a prenderli”. Dieci minuti dopo l’infermiere richiamò per dire di non partire perché i vestiti erano già stati inceneriti.

INTERNO’: “CI VOGLIONO LE PROVE…”

Dopo pochi giorni dalla morte di Denis Isabella “chiamò a casa ad Argenta dicendo a mio padre che Denis le aveva promesso che la macchina sarebbe rimasta a lei. Mio padre le disse che se avesse detto la verità gliene avrebbe regalate due di Maserati ma lei lo incalzò affermando «Lo devono dimostrare che le cose non sono andate come dico io».”

Probabilmente Isabella Internò, dall’alto delle sue protezioni, è andata anche oltre il “lo devono dimostrare…” per andare a parare direttamente al fatidico “Ci vogliono le prove…”, che peraltro è un “classico” quasi da giallo (di Serie D) dei piani criminosi di chi si sente sopra la legge o di essere… egli stesso la legge.

IL COLLOQUIO ALLUCINANTE CON ABBATE: “SIAMO IN CALABRIA…”

Il 2 dicembre 1989 Donata Bergamini viene convocata a Castrovillari dal procuratore Abbate: “Ricordo quel colloquio come qualcosa di allucinante, lui aveva fretta mentre io ero scossa e venivo continuamente interrotta. A un certo punto mi disse: «Allora se suo fratello si fosse suicidato lo avrebbe fatto per l’aborto, per la droga o per il calcioscommesse?», io gli risposi che mio fratello non si era affatto suicidato e lui mi disse «E lo sappiamo ma qui siamo in Calabria…». Una circostanza che finora non era mai emersa e che è fondamentale a questo punto per capire come sia stato possibile il depistaggio delle indagini, che è stato concepito direttamente da colui che non solo si è rifiutato di indagare ma ha “confessato” in maniera disarmante quanto non fosse degno di rappresentare lo stato. Una vergogna che grida vendetta.

Al termine dell’udienza, proprio per rimarcare quanto ha detto, Donata Bergamini ha rilasciato una breve dichiarazione, parlando di dolore grande che “ha portato me e la mia famiglia all’ergastolo, per quel magistrato che non ha voluto scrivere la verità”. E quel magistrato non può che essere Ottavio Abbate. 

L’ABORTO A LONDRA 

Il pm Primicerio, a questo punto, introduce il tema dell’aborto di Isabella Internò. Donata Bergamini è stata la prima a parlare dell’interruzione volontaria di gravidanza cui si sottopose Isabella Internò nel luglio del 1987 quando è stata sentita dal procuratore Abbate, il 2 dicembre del 1989:
“… La ragazza non intendeva portare avanti la gravidanza e Denis chiese a me di aiutarlo in questo frangente. Insieme ad Isabella venne a casa mia ed io li accompagnai dal
mio ginecologo, che sottopose a visita Isabella, effettuò anche una ecografia e stabilì che ormai la gravidanza era giunta al quinto mese circa e che comunque non rientrava più nei
termini previsti dalla legge. La ragazza a tale notizia reagì in modo piuttosto vivace, sembrava una pazza, affermando comunque che non intendeva portare avanti la gravidanza e che sapeva che esisteva la possibilità di abortire all’estero preannunciando – tra l’altro – che aveva a tal proposito interessato una sua zia (tale Tina) di Torino che, tramite contatti con il partito Radicale, aveva trovato una soluzione per interrompere la gravidanza in una clinica di Londra. Il dottore, dopo averla invitata alla calma, le fece presente i rischi connessi con un aborto in tali condizioni e la sconsigliò vivamente di pensare a pratiche abortive casalinghe, pericolosissime per la sua incolumità. Denis presente al colloquio disse alla ragazza che la decisione apparteneva solo a lei e che nel caso in cui avesse deciso di tenere il figlio non avrebbe avuta alcuna opposizione di principio. La ragazza mostrò decisa volontà ad abortire. Era il mese di luglio del 1987…”.

Donata ha aggiunto che non si vedeva affatto che Isabella Internò fosse incinta di 5 mesi e che lei aveva manifestato in modo esagitato l’intenzione di voler abortire, “… benché mio fratello – a mia domanda su quali fossero i suoi intendimenti – ribadiva in continuazione la seguente frase testuale: <<se il figlio è mio, io lo riconosco. E lo mantengo pure!>>; quando lui pronunciava queste parole la Internò rimaneva ammutolita e, alla mia richiesta se intendevano quindi sposarsi, mio fratello mi rispose di no…”. E anche successivamente il problema principale sembrava essere questo: “… Però lui non mi sposa…” ha ribadito Donata al pm.

Isabella Internò il 23 novembre 1989, quando affronta il discorso della relazione con Bergamini davanti al procuratore Abbate che la sente per la prima volta, tace sulla circostanza dell’aborto. Parlerà di tale episodio invece il 6 luglio 1990, è lecito supporre su esplicita richiesta dell’Autorità Giudiziaria.

Testualmente le parole della Internò: “…mi è capitato di dover ricorrere alla interruzione volontaria della gravidanza nell’estate del 1988. Sono stata in una clinica di Londra
accompagnata da Denis. Il ragazzo lasciò decidere me non avendo nulla
in contrario a tenere il bambino…”.
Come si vede Isabella Internò colloca l’interruzione volontaria di gravidanza nell’estate del 1988, ma gli elementi in possesso dimostrano che in realtà tale episodio risale al luglio del 1987: esistono agli atti dichiarazioni che pongono l’episodio dell’aborto al luglio del 1987. Ma soprattutto il video amatoriale girato da Denis a Londra in occasione dell’intervento e persino il biglietto della clinica londinese che è stato trovato nel portafogli di Denis dopo l’omicidio. Sulle motivazioni che hanno indotto la donna a “posticipare” l’aborto, ci possono essere varie interpretazioni di “comodo” per la Internò, nel chiaro tentativo di addossarne tutte le colpe a Bergamini. Vedremo se l’imputata e il suo degno marito avranno il coraggio di affrontare la questione in aula…

Dopo aver fatto vedere e riconoscere alla testimone alcune lettere frutto di una corrispondenza tra Isabella a Denis, e alcuni suoi certificati bancari, l’udienza si è interrotta.

Si riprenderà venerdì 31 marzo con la prosecuzione dell’esame del testimone da parte del pm Primicerio e delle parti civili. Per il controesame si dovrà attendere l’udienza in programma il 4 aprile.

 

 

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