Rende, il secolo di Ingmar Bergman

IL SECOLO DI INGMAR BERGMAN

Al Cinema Santa Chiara di Rende (CS) domani, giovedì 3 maggio alle ore 21, è in programma un incontro ideato e condotto da Ugo G. Caruso per il centenario dalla nascita del grande regista svedese Ingmar Bergman, autentico gigante del Novecento.
Nella serata verrà riproposto L’ora del lupo (Vargtimmen 1967), un titolo tra i meno noti e visti, considerato erroneamente un’opera minore ma al contrario un film da recuperare e riconsiderare.

Al Maestro svedese del cinema mondiale ed indiscusso genio del nostro tempo, di cui quest’anno ricorre il centenario, è dedicato l’incontro ideato e condotto dallo storico del cinema Ugo G. Caruso in programma giovedì 3 maggio alle ore 21 al Cinema Santa Chiara (V. Raffaele De Bartolo, 27) che nell’antico e suggestivo centro storico di Rende dalla sua riapertura, grazie all’appassionato attivismo di Orazio Garofalo è divenuto un punto di riferimento imprescindibile per gli appassionati del cinema di qualità residenti nell’area urbana cosentina.

La serata di giovedì avrà luogo infatti sotto l’egida delle principali associazioni di cultura cinematografica attive in provincia, riunite ancora una volta su invito dello stesso Caruso, ovvero il Circolo Cinema Cosenza, il Cineforum “Falso Movimento” di Rovito e “Cinepresi”.
In apertura Caruso illustrerà brevemente la titanica, complessa, profonda personalità artistica di Bergman cui nel corso della sua lontana attività di critico militante ha dedicato una quantità di saggi ed articoli, intervistando il grande regista in occasione alla Mostra del Cinema di Venezia, quando questi nel 1982 presentò Fanny ed Alexander.

Fedele comunque alla sua impostazione, Caruso non proporrà nessuno dei tanto celebrati capolavori, come Sorrisi d’una notte d’estate, Il settimo sigillo, Il posto delle fragole, Il volto, Come in uno specchio, Luci d’inverno, Persona, Sussurri e grida o, appunto, Fanny e Alexander, bensì quello che dalla critica viene rubricato come un titolo minore nella filmografia del regista, L’ora del lupo (Vargtimmen), realizzato nel 1967 ed interpretato da uno stuolo dei suoi attori abituali, come Max Von Sydow, Liv Ullmann, Ingrid Thulin, Erland Josephson, in cui sono però racchiusi i temi più ossessivamente ricorrenti nella sua opera e qui potentemente rappresentati.

Poco visto, decisamente raro, L’ora del lupo è tratto da un testo teatrale “Gli antropofagi” scritto dal regista pochi anni prima e racconta del pittore Johan Borg e di sua moglie Alma che vivono in una casa vicino la costa. Lui però è profondamente angosciato e tormentato da terribili incubi. Esortata da un’anziana signora, Alma legge il diario del marito apprendendo così che Johan ha incontrato sull’isola Veronica Vogler, una donna conosciuta in passato. Invitati nel castello del Barone Von Merkens, Alma riconosce nei partecipanti alla festa i protagonisti degli incubi del marito che Hohan ha ritratto nel suo quaderno di appunti. Durante la serata sarà pure mostrata una scena del Flauto magico di Mozart all’interno di un teatro di marionette. Sulla strada del ritorno, Alma confessa a Johan di aver letto il suo diario e di contro lui le confida di avere picchiato a morte nei giorni scorsi un ragazzo che lo aveva adescato e provocato sulla cima di una roccia.

Più tardi Johan viene informato della possibilità di incontrare Veronica. D’accordo con Alma torna al castello dove i demoni si sono riuniti per schernirli. Al centro della sala il corpo di Veronica sembra giacere senza vita…
Il film liquidato frettolosamente come un horror onirico contiene, come detto, alcuni dei temi più cari al regista: l’isolamento, la follia come condizione feconda di creatività, il potere demiurgico dell’arte che arriva a carnalizzare la propria materia, la paura per un’alterità enigmatica.
Opera terribilmente personale, tra le più cupe, allucinate, visionarie ed “espressioniste” della sua filmografia, L’ora del lupo mostra esemplarmente la distanza che intercorre sempre in Bergman tra verità e messa in scena. Ecco perchè è uno dei titoli più congeniali per ricordarlo e stimolare una discussione che vada oltre le consolidate quanto talvolta ingannevoli certezze della critica ereditate fin qui, per riconsiderare sotto un’altra luce e nuove angolazioni la colossale opera che ci ha lasciato e che ne fa un indiscusso gigante del Novecento.