Rende, la demolizione è abusiva: il sindaco chiarisca (di Matteo Olivieri)

RENDE |

di Matteo Olivieri

La demolizione è abusiva, il sindaco chiarisca

Dodici giorni dopo l’abbattimento dell’edificio rurale di Commenda noto come “Casino dei Conti”, e 24 ore dopo il mio articolo in cui denunciavo la più totale assenza del cartello di cantiere obbligatorio per legge, questo è ora magicamente apparso sulla recinzione. Inutile dire che la considero una vittoria personale!

Avrei preferito definirla una vittoria della legalità, ma purtroppo non è così. Se, infatti, tocca ad un privato cittadino come me accertare i fatti, ascoltare i testimoni, studiare le leggi e scrivere, scrivere, scrivere nella speranza che si smuovano le coscienze, mentre chi è pagato dai contribuenti si gira dall’altro lato per non vedere, beh, vuol dire che l’illegalità si è impadronita delle istituzioni nella mia città.

Qualcuno potrebbe pensare che con l’affissione del cartello, la vicenda si sia conclusa nel migliore dei modi. Nemmeno per sogno! Se infatti si osserva il cartello, si noterà che mancano informazioni fondamentali, obbligatorie per legge. È il caso della denuncia certificata di inizio attività. I lavori, insomma, non risultano essere mai ufficialmente iniziati. Almeno così si capisce leggendo il cartello. E, nonostante il cantiere sia abbandonato da giorni, nessuno può dirvi con certezza neppure se i lavori siano ultimati, visto che sul cartello è rimasta in bianco perfino la voce “data contrattuale di ultimazione dei lavori”, e manca pure l’indicazione della “destinazione d’uso” e delle “unità immobiliari consentite”, per come richiesto dalla legge. Tra l’altro, anche la recinzione del cantiere non è a norma, visto che non è tinteggiata né ci sono le lanterne di segnalazione “ben visibili agli angoli”, come la normativa impone. Vedremo quanto tempo ci vorrà per apportare tali ulteriori modifiche e ristabilire la legalità.

Chi abbia da guadagnarci da errori così macroscopici, è presto detto: infatti, come confermato da autorevoli voci indipendenti, tra fine anni ’90 e inizi anni ’00 in molti hanno cercato – sempre senza successo – di far apporre sul sito un vincolo specifico della Soprintendenza per i beni culturali. E chiunque abbia un minimo di conoscenza storica del nostro territorio, sa che quell’edificio è tutt’altro che la “topaia pericolante” descritta dal sindaco.

Evidentemente bisognava agire in fretta e “alla chetichella” per non allarmare nessuno, e porre le persone di fronte al fatto compiuto, una volta che queste fossero rientrate in città dal ponte di Ferragosto. A pensarci bene, un cantiere dotato di tutti i crismi di legge avrebbe sicuramente allertato qualcuno, mentre era più probabile farla franca mettendo in piedi quattro lamiere anonime su un sito privato.

Io ritengo tuttavia che – dopo tutto questo clamore mediatico – il cantiere rimarrà abbandonato per sempre, e chi ci ha investito rischia di perdere tanti soldini. Infatti, anche concedendo che l’edificio non fosse vincolato (come sostiene il sindaco), tuttavia l’area in questione risulta essere classificata come “Zona Omogenea A” nel PRG di Rende, una sigla che indica “agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale o porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”. In altre parole, l’intera area è riconosciuta – ormai da quasi 50 anni – di particolare pregio storico, artistico ed ambientale…e noi sappiamo bene il perché.

Pertanto, prima di concedere il permesso di demolire, il Comune di Rende avrebbe dovuto chiedere il parere preventivo della Soprintendenza dei beni culturali, ma non risulta che ciò sia stato fatto. Se fosse stato fatto, sul cartello di cantiere troveremmo anche tale indicazione, che invece è assente. Perché? Il cantiere è forse fermo perché è stato bloccato dalla Soprintendenza? Vogliamo saperlo!

In conclusione, abbiamo a che fare sicuramente con un cantiere abusivo nel cuore della città, e il sindaco – anziché schierarsi dalla parte dei cittadini e della legge – ancora una volta difende i “cow-boy” di turno, che evidentemente pensano di dettare la loro legge in città.

Ma anche questa volta gli è andata male, sia pure di un soffio, sebbene ciò abbia comportato il sacrificio di una delle ultime testimonianze di case rurali “in commendam” presenti sul nostro territorio. Ricordiamocene per il futuro.