Rogo di corso Telesio: indagini sempre ferme al palo

Del tragico e premeditato rogo della torre campanaria del Duomo di Cosenza – avvenuto il 18 agosto scorso, nel quale morirono bruciati vivi Tonino, Serafina, Roberto e il loro cagnolino –  non esiste ancora un colpevole.

Tutte le analisi scientifiche sono state espletate e le risultanze, come riportato da tutta la stampa locale, non lasciano spazio a dubbi: l’incendio è di natura dolosa ed è stato appiccato dall’esterno. Questa è l’unica certezza della triste ed amara vicenda. Lo dicono i Vigili del Fuoco, lo dice la Polizia scientifica che ha rinvenuto l’innesco all’esterno del portone, lo dicono i cani molecolari portati sul posto, lo dicono i tanti testimoni di questa assurda vicenda.

Ma nonostante ciò la procura brancola nel buio. Le indagini e le ipotesi della procura, come vi abbiamo già raccontato, sono rivolte alla stretta cerchia familiare e amicale dei poveri Noce. Un’ ipotesi che più che ad una svolta delle indagini, lascia pensare ad una soluzione di comodo del caso. Ed è per questo che le indagini si erano concentrate sul fratello di Tonino Noce (vittima del rogo), Pinuzzu. Ma evidentemente, dopo i nostri scritti, la procura ha abbondonato la pista “Pinuzzu”, che pare abbia un alibi per quel giorno.

L’unica ipotesi che resta in piedi è quella di un’azione su commissione. I motivi sono diversi a sentire le voci sottobanco della procura: una vendetta per una lite tra emarginati finita male, qualcuno stanco di veder trasformato il quartiere in una discarica, o molto più prosaicamente qualcuno interessato alla torre campanaria del Duomo e all’appartamento dove vivevano, in condizioni indicibili sotto il profilo dell’igiene, i poveri tre.

Il materiale probatorio raccolto fino ad ora dalla procura, per quanto significativo per la ricostruzione dell’evento criminoso, non ha “chiarito” le responsabilità.

E poi c’è un aspetto che non si può sottovalutare quando c’è di mezzo la procura di Cosenza, ed è quello che l’inchiesta potrebbe essere “insabbiata” perché risulterebbero convolti pezzotti intoccabili. Ovvero: prendere l’esecutore materiale del rogo potrebbe significare arrivare al presunto mandante. Ed evidentemente questo presunto mandante non può essere toccato.

Dunque si fa sempre più probabile la messa in scena della solita pantomima a cui ci hanno abituati i pm di Cosenza quando si tratta di loro protetti: tirarla alle lunghe fino a giungere ad una archiviazione. E’ questa la conclusione più probabile dell’ inchiesta. Ricordiamo che un’inchiesta – specie se condotta dalla procura di Cosenza – può essere archiviata anche dopo sei mesi.

Lo diciamo da sempre e questo caso è l’emblema della dell’incapacità investigativa della procura, abituata com’è a coprire piuttosto che scoprire. Se qualcuno aveva ancora qualche dubbio su come opera la procura, dopo questa inchiesta che non renderà Giustizia ai poveri tre, siamo sicuri che non li avrà più. Le uniche inchieste che riescono a condurre sono quelle contro di noi e contro qualche ragazzino che vende fumo.