Samb-Cosenza: Walter Perrotta, l’eroe dei due mondi rossoblù

Il gol più bello di Perrotta con la maglia del Cosenza

Ci sono tanti incroci tra Cosenza e San Benedetto del Tronto. In questi giorni infuocati che fanno da contorno alla sfida tra le due squadre rossoblù con la Serie B in palio, ne abbiamo ripercorsi tanti. Da quelli degli ex di oggi (Rapisarda, Patti e Perina) a quelli degli ex di ieri come mister Nedo Sonetti, che all’alba degli anni Ottanta ha conquistato una promozione con il Cosenza e una con la Samb. Ma ce n’è un altro, di ex, cosentino purosangue, che ha vissuto momenti bellissimi anche a San Benedetto. Si chiama Santo Walter Perrotta, classe di ferro 1959. “Eroe” sia a Cosenza sia a San Benedetto, insomma un “eroe dei due mondi rossoblù” perfetto per la vigilia di questa sfida attesissima di stasera.

Perrotta, ma tu ti chiami Santo o Walter?

A casa mi hanno sempre chiamato Walter, poi ho scoperto che il mio vero nome era Santo. I miei genitori mi hanno spiegato che c’era stata un po’ di confusione all’anagrafe e che comunque mio padre mi aveva registrato come Santo. No, non mi sono mai vergognato del mio vero nome di battesimo e nel corso della mia carriera in molti mi hanno chiamato Santo, anche gli ultrà.

Che cosa ti ha dato la “vecchia” Friends, la squadra del quartiere di San Vito nella quale hai iniziato a muovere i primi passi da calciatore?

Tantissimo. Armando Spera detto “la volpe”, con la sua passione per il calcio, mi ha levato dalla strada e mi ha fatto capire che poteva essere la mia professione. E poi ho avuto la possibilità di incontrare ragazzi autentici, straordinari. Come Marco Lorenzon. Le vittorie con la Friends avevano un sapore particolare, bellissimo.

Armando Spera

Quando hai capito che stavi diventando davvero bravo?

Nel 1973, quando ancora non avevo 15 anni, perché i calciatori del Cosenza “premevano” affinché entrassi nel settore giovanile rossoblù, Facevo soltanto il raccattapalle ma avevano capito che ero bravo e che potevo sfondare in questo mondo difficile. Ma avevo capito che ero bravo anche quando il Torino chiese informazioni su di me e mi invitò a fare un provino. Ho ancora quella lettera a casa… Era stato un vecchio giocatore rossoblù, il portiere Corti, a segnalarmi alla società granata. I miei genitori però non mi lasciarono andare via.

Poi al Cosenza ci sei arrivato davvero.

Eh sì, nel 1975, a sedici anni ancora non compiuti. E’ stato Franco Pavoni a lanciarmi nella formazione “Berretti”. Il primo anno ho segnato subito 25 gol e sono stato il capocannoniere del girone, battendo un certo Gabriele Messina, che giocava col Crotone. Avevo una bella intesa con Vincenzo Liguori, che come me arrivava da una squadra di quartiere, la Torre Alta. Giocava da ala destra, ma anche da mezzala. I suoi assist erano perfetti: io gli dettavo il passaggio e lui sapeva sempre dove mettere il pallone.

E’ stato il tecnico Umberto Mannocci a lanciarti in prima squadra.Sì, nel campionato di Serie C 1976-77. La società aveva deciso di puntare su di me e Mannocci era stato entusiasta, mi ha fatto giocare titolare fin dalla prima giornata. Purtroppo non eravamo una squadra forte e già dalle prime gare era chiaro che avremmo dovuto lottare per non retrocedere. Ho giocato 30 partite e segnato 4 reti. La più bella a Bari, contro la corazzata del campionato. Io, così piccolino, ho segnato di testa il gol dell’1-0 gelando 20.000 spettatori. Poi abbiamo perso 4-1… E’ stato il campionato dell’invasione di campo al San Vito contro la Paganese, siamo retrocessi. L’anno successivo, in Serie D, con la prospettiva di giocare tutto il campionato in campo neutro per la pesantissima squalifica del nostro stadio, sono stato ancora titolare ed ho segnato 8 reti determinati per poterci piazzare al quarto posto e accedere al primo campionato di Serie C2.

Ma la società ti ha ceduto in prestito al Trebisacce.

E io l’ho presa malissimo, volevo smettere di giocare e mi sono anche iscritto all’Università. Pensa che sono stati costretti a cacciarmi dal San Vito perché non volevo proprio saperne di andare a Trebisacce. Alla fine ho accettato la situazione e devo dire che mi sono anche divertito. Giocavamo il campionato di Serie D e tutti ci davano per spacciati e invece ci siamo salvati alla grande e io ho segnato anche 10 gol. Sono stato una specie di “salvatore della patria”.

Quanto basta per farti ritornare a Cosenza.Sì, sono tornato subito alla “casa madre” ma ho trovato una concorrenza spietata. Partivo come quarta punta dietro a giocatori navigati come Labellarte, Berardi e Tucci. Il presidente Elio Spadafora aveva preso in mano la società e c’era l’ambizione di tornare in Serie C a vele spiegate. Il tecnico era Nedo Sonetti. Nonostante fossi “chiuso” da tutti quegli attaccanti, mi stava vicino e capiva che potevo essere la “svolta” del campionato. Anche perché nel frattempo Labellarte se n’era andato e Berardi segnava poco. E’ finita che giocavamo io e Walter Tucci, cioé quelli meno “reclamizzati”. Diciamo pure che Sonetti mi ha fatto giocare perché non poteva farne a meno… Ho segnato ancora 10 gol, tutti pesanti e decisivi. A partire dal primo, che ci è valso una vittoria importantissima a Gela contro il Terranova. Ho segnato il gol decisivo anche a Potenza, all’ultima di andata e poi il posto di titolare, la maglia numero nove, non me l’ha tolta più nessuno e ho cominciato a segnare anche in casa…

Festeggiavi facendo una capriola: sei stato tra i precursori delle esultanze “moderne”.Mi fa piacere che te lo ricordi. La capriola mi veniva sul momento, ero troppo felice quando riuscivo a far gol e davo sfogo alla mia creatività. L’ultima che ho fatto, nella partita interna con il Potenza, è stata la più signficativa. Al San Vito erano in ventimila: ho provato un’emozione grandissima e la curva e la Tribuna B gridavano sempre “Segna per noi Walter Perrotta”. Mi sembra ancora di sentire i brividi.

E’ in quel periodo che nasce il nomignolo “Motorino”: chi l’ha inventato?

Il professore Eugenio Gallo, giornalista sportivo della “vecchia guardia”, mi pare che scrivesse per la Gazzetta dello Sport. Mi diceva che ero troppo veloce e che gli piaceva come me ne andavo via in progressione e allora è uscito fuori “Motorino”. Un bel ricordo di gioventù. Pensa che quando siamo stati promossi in Serie C1, nel 1980, non avevo ancora compiuto 21 anni.

Parlaci di Sonetti e dei ragazzi cosentini.

Nedo Sonetti ha sempre lavorato bene con i giovani, era tra quegli allenatori che non si creavano problemi nel dare fiducia a ragazzi sconosciuti e pieni di volontà. Io gli devo molto ma come me anche altri ragazzi cosentini che quell’anno rischiavano di dover fare parecchia panchina e tribuna. Nella fase finale del campionato, poi, eravamo addirittura in quattro a rappresentare Cosenza in prima squadra. Non succedeva da una vita in un campionato di alta classifica. Oltre a me c’erano Vincenzo Liguori, di cui ti ho già parlato, Walter Tucci e Giancarlo D’Astoli, che era tornato a Cosenza dopo aver giocato in Serie B a Reggio Calabria. Ed esordì anche il giovanissimo Mimmo Cairo, centrocampista, classe 1962.

A fine campionato la cessione alla Samb di Nedo Sonetti.Il mister me l’aveva promesso ed è stato di parola. Sapevamo che avrebbe accettato l’offerta di un club che puntava dritto alla Serie B e, a poche giornate dalla fine, mi ha confidato che era sua intenzione portarmi con lui. D’altra parte, ero stato convocato anche nella Nazionale Under 21 di Serie C con gente come Cuoghi, Acerbis, Di Carlo e Bertoni e avevo tutte le carte in regola per entrare nel “grande giro”. A San Benedetto era arrivato anche il nostro capitano Bruno Ranieri. Abbiamo vinto subito il campionato a mani basse e per me è stata la consacrazione definitiva: 9 gol in C1. Un’annata splendida: la nostra era una squadra “mista” tra calciatori esperti e giovani di belle speranze. Ranieri, Cagni e Cavazzini erano i “senatori” e tra i ragazzi, oltre a me, c’erano Walter Zenga, Caccia e il fratello di Speggiorin. I tifosi mi avevano eletto tra i loro idoli. Sono rimasto a San Benedetto altri tre anni, tutti di Serie B. Ho vissuto momenti indimenticabili. Ci siamo sempre salvati e abbiamo lasciato il segno con alcune imprese memorabili. Nel 1982-83 il Guerin Sportivo mi ha premiato con il “Guerin d’oro” come miglior opportunista della Serie B. Tra campionato e Coppa Italia ho segnato una trentina di gol.

I due più significativi sono stati quelli al Milan e alla Lazio. 

Ho fatto gol al Milan in Coppa Italia. Di testa, sul primo palo, in anticipo sul portiere Piotti. Ma quello più bello è stato contro la Lazio di Giordano, Manfredonia e D’Amico. Ultimo minuto: loro premevano per vincere, noi ci difendevamo come potevamo. Il mio compagno di squadra Minuti, in fantasista tutto talento, se ne va in contropiede sulla sinistra e io lo seguo. Arrivati al limite dell’area, mi mette la palla al centro, io ci arrivo di testa in grande elevazione dopo una corsa di settanta metri e la piazzo all’angolino. Il Riviera delle Palme è esploso. I giornali scrivevano che la “Banda Bassotti” aveva colpito ancora. Sì, perchè anche Minuti era bassino e veloce come me. A San Benedetto hanno realizzato un Dvd sugli anni di gloria della squadra rossoblù in Serie B e i giornalisti, bontà loro, hanno inserito entrambi questi gol. Rivederli sullo schermo dopo più di vent’anni mi ha emozionato molto.