San Giovanni in Fiore e la “rivoluzione”

A San Giovanni in Fiore ormai da tempo la cittadinanza non ne può più della sindaca occhiutiana, la “regina” Rosaria Succurro e di suo marito, il “re” Marco Ambrogio, ma anche di tutta la corte di papponi al loro servizio, come per esempio il prezzolato addetto stampa Emiliano Morrone, un tempo grillino e “rivoluzionario” e oggi succurriano, ambrogiano e di conseguenza (pure) occhiutiano.

Qualche mese fa, tanto per farvi capire di cosa parliamo, era scoppiata una vivace polemica perché a San Giovanni in Fiore in molti non hanno gradito il mancato inserimento della cittadina silana nell’elenco (o prospetto come dicono quelli bravi) dei Comuni in cui dovrebbero sorgere case della comunità, ospedali di comunità e centri operativi territoriali, strutture di assistenza territoriale finanziate con i fondi del Pnrr. Sono in tanti a pensare che l’ospedale di San Giovanni abbia perso una buona occasione per essere rilanciato. Ma c’è anche naturalmente chi difende la “pagnotta” e quindi non perde occasione per leccare il culo a Occhiuto e compari…

Di seguito, riportiamo la presa di posizione del consigliere comunale di opposizione Antonio Barile (che sarà di destra, ha un passato di lecchino del Cinghiale ma quantomeno è l’unico che parla a differenza di altri soggetti pidioti e fiancheggiatori dei media massomafiosi) a proposito dei “cavalieri serventi” della regina e del parassita…

UN GIORNO ERA UN GIORNALISTA RIVOLUZIONARIO

Ma quel prospetto a San Giovanni in Fiore solo lui ha il diritto di interpretarlo e le competenze per capirne il contenuto?
Solo lui hai le competenze per capire che un chirurgo, che forse arriverà a San Giovanni in un reparto di chirurgia in Day surgery dove non c’è rimasto nessuno, servirà a qualcosa?
Solo lui puoi essere politico o giornalista o addetto stampa a seconda di come gli conviene?
O forse vuole distrarre l’attenzione dal fatto che il suo sindaco è venuto a decretare la morte di questo paese mentre ci fa credere che avremo il titolo di città?

Ai posteri l’ardua sentenza, aggiungiamo noi. Sempre a futura memoria.