Sandro Principe: “Rende tornerà ad essere una comunità”

Garofani e bandiere rosse al vento, tanta gente e anche tanti “politici” sul palco. Rispetto a due settimane fa, la differenza sta proprio in quei “politici”, che al primo turno non erano con Sandro Principe e adesso lo supportano con affetto e convinzione. Perché in prima battuta Mimmo Talarico e Sergio Tursi Prato hanno corso da soli ma in cuor loro forse sapevano già che l’epilogo sarebbe stato questo e del resto lo affermeranno anche con la loro viva voce.

La nuova Pd2 da queste parti non ci viene da una vita, esattamente da tre anni e mezzo, da quando cioè la “banda” di Lotti, Renzi, Minniti, Madame Fifì, Capu i Liuni, Palla Palla e Palamara ha dato il via libera all’arresto di Sandro Principe cancellando finanche ogni prova sulla rete dei loro rapporti. Però ci sono Mimmo Bevacqua e Peppino Aieta, che ormai da tempo non sono più organici al clan dei “sinistri” come li chiama qualcuno. Loro – i “sinistri” – hanno completato l’opera iniziata dal Cinghiale e dai suoi scagnozzi, che avevano soffiato Rende a Principe dandola all’avvocato quaquaraquà dei poteri forti, che poi – strada facendo – si è buttato proprio con i “sinistri”, imbarcando pistoleri, faccendieri, sorelle di mafiosi, avvocati dei clan, voltagabbana e persino i grillini doppiogiochisti di Laura Ferrara. Probabilmente non pensavano che Principe sarebbe sceso in campo in prima persona e pensavano che Manna – sì, insomma, il quaquaraquà – avrebbe vinto a mani basse e invece… si prenderà addirittura i voti del Cinghiale come nel più classico dei “ribaltoni”.

Corleone apre le danze e snocciola i nomi dei politici come si faceva una volta: qualcuno è veramente impresentabile. Per esempio, Franco Iacucci, ma ormai lo sanno tutti che ha una faccia talmente di bronzo che riuscirebbe a sostenere, in trenta secondi, tutto e il contrario di tutto. Ma anche Diego Tommasi, che magari si sarà anche sganciato da quel signore con la testa di leone ma dopo aver combinato tutti quei danni forse se ne poteva restare pure a casa invece di mettere in imbarazzo i principiani: vabbè, speriamo almeno di non vederlo alla festa finale…

Talarico dedica il suo discorso quasi esclusivamente al racconto dello “stalkeraggio telefonico” (lo definisce proprio così) dell’anatra prestata alla politica. “Un assalto continuo e progressivo – afferma -, decine e decine di telefonate… Poi gliel’ho detto chiaro: non ci mettiamo nemmeno davanti ad un tavolo perché noi la nostra scelta di campo l’avevamo già fatta prima del 26 maggio… Manna è stato il peggiore sindaco della storia di Rende: incapace, bugiardo, inadeguato”.  Sandro Principe confessa di essere andato un po’ in depressione dopo il trappolone di Attilio “Fede” ma rivela di essere stato rimesso in sesto dall’affetto e dall’amore della sua gente mentre definisce gli avversari come “una compagnia di ventura che anche la Legione Straniera avrebbe rifiutato”. Ironizza sulle vicende del Parco Acquatico prima osteggiato e poi improvvisamente rivalutato (con la metafora del cuculo che avrà fatto fischiare le orecchie a Manna) e ride di gusto quando ricorda che ci hanno messo anche i lettini per prendere il sole. Poi torna indietro nel tempo e dice che a Rende si è realizzata un’utopia, ricordando persino un suo vecchio zio (che somigliava a Pertini) che aveva una precisione chirurgica nell’attaccare i manifesti.

Il concetto politico di fondo è che Rende deve mirare al progresso dopo aver centrato l’obiettivo dello sviluppo. E il progresso significa guardare all’uomo e alle sue esigenze. Principe ha ben chiare le idee che serviranno per realizzare la cittadella del progresso e non si può certo dire che gli manchi l’esperienza. Era il 9 giugno del 1980 (corsi e ricorsi storici) quando, ad appena 31 anni, indossò la fascia tricolore di sindaco di Rende e da allora di strada ne ha fatta tanta, tra luci e ombre, tra alti e bassi ma sempre in trincea.

Per i nostalgici, ci sono romantici accenni allo storico Lunetto Vercillo e all’architetto Empio Malara: raggi di sole nella chiesa di Santa Maria Maggiore, l’Immacolata di Passaretti e una disquisizione sugli intonaci da tecnico sopraffino. Poi il mito della vecchia Arintha (altro che Alarico…) e il concetto finale, quello che mira ancora di più al cuore della gente: “Dobbiamo ricostruire la nostra comunità”. Il riferimento sottintende una velata autocritica per quanto non è stato fatto negli ultimi anni ma anche una grande volontà di riparare agli errori commessi e il suo richiamo finale al ruolo di “riformista pacificatore” che vuole ricoprire dopo il voto è il suggello finale ad una serata di grande passione politica.