Sanità, la verità sui tagli: tutte le promesse (tradite) della politica

(PAOLO RUSSO – lastampa.it) – Le Regioni in rivolta per i tagli alla sanità, danno un ultimatum al governo: «Siamo pronti a ricorrere alla Corte costituzionale». E intanto la premier Giorgia Meloni garantisce: fondi ai massimi storici.
Abbiamo puntato la lente d’ingrandimento su una serie di temi legati alla sanità. E alle promesse (tradite) dalla politica.

Soltanto 500 milioni per ridurre le attese. Il resto ai contratti
Partiamo dai 3 miliardi citati dalla premier: larga parte di quella somma, ben 2,5 miliardi, sono andati al rinnovo dei contratti del personale sanitario. I soldi investiti per abbattere le liste di attesa sono 500 milioni, destinati alle maggiori prestazioni erogate soprattutto dalle strutture private convenzionate. Gli effetti di questa cura sono di fronte agli occhi di tutti. La nostra inchiesta di qualche giorno fa sui tempi comunicati dai Cup regionali dice che tra visite e accertamenti diagnostici solo in 5 casi su 66 si sta entro i tempi massimi previsti per legge. Ora Schillaci annuncia un nuovo Piano da 600 milioni, destinati alle aziende sanitarie in difficoltà, che potranno farsi dare una mano dai privati o pagare medici e tecnici affinché visite e accertamenti si facciano a orario quasi continuato. Vedremo se questa volta dalle parole si passerà ai fatti.

I soldi mai spesi e molte strutture senza personale
Il riferimento del ministro per gli Affari europei e il Pnrr è al finanziamento di 312 case di comunità sulle 1.350 inizialmente previste dal Pnrr e di 74 ospedali di comunità su 381. Strutture fondamentali per rilanciare la sanità territoriale, le prime come maxi ambulatori aperti 7 giorni su 7, 24h, i secondi luogo di assistenza per chi può essere dimesso ma non è in grado di tornare a casa. A finanziare le strutture stralciate dal Pnrr sarà l’ex articolo 20 della finanziaria datata 1988. Ma non sarà un caso se in 36 anni le regioni non siano riuscite ancora a spendere 10 di quegli originari 30 miliardi. Soldi rimasti impigliati nella rete della burocrazia. Ma al di là dei soldi manca ancora un provvedimento che vincoli in qualche modo medici di famiglia e specialisti ambulatoriali a lavorare nelle nuove strutture. Così le oltre 300 già realizzate risultano essere nella maggioranza dei casi delle scatole vuote.

Ospedali in difficoltà dove sono state escluse le coop
L’appello del ministro della Salute è stato raccolto solo dalla Lombardia, che ha subito bloccato i contratti con le coop dei gettonisti. Risultato: gli ospedali lombardi sono andati in tilt per carenza di personale, prima che intervenisse il Tar regionale a sospendere tutto. Nelle altre regioni si sta andando avanti più o meno come prima, perché il decreto bollette è andato con i piedi di piombo sul taglio dei gettonisti, prevedendo comunque una proroga dei contratti in essere con le coop. Il problema è che, ha ammesso dallo stesso Schillaci negli organici di Asl e ospedali mancano 4.500 medici e 10mila infermieri. Al di là del superamento del tetto di spesa per il personale, promesso dallo stesso ministro, per assumerli servono soldi. Quelli che il governo non ha programmato di investire nei prossimi anni che vedono un nuovo calo della spesa sanitaria dal 6,4 al 6,2% del Pil nel 2026.

I progetti al palo. Molti enti hanno già finito i fondi
A dicembre, dopo l’incendio all’ospedale di Tivoli, il coro da destra a sinistra fu unanime: i nostri ospedali sono troppo vecchi, vanno messi in sicurezza. Per tutta risposta il governo ha tolto dal Pnrr 1,2 miliardi destinati a 200 interventi sui nostri malandati nosocomi, facendoli planare nel fatidico fondo per l’edilizia sanitaria, per attingere al quale occorre vedersela con procedure borboniche. Ma il problema è che i 2,2 miliardi di cui parla Fitto saranno pure disponibili al Sud ma non al Centro Nord, dove ad esempio Piemonte, Lombardia e Lazio hanno già impegnato tutte le risorse. Contro quello che le regioni continuano a definire un taglio i governatori minacciano ora di ricorrere alla Corte costituzionale. Intanto, in attesa che spuntino 500 milioni che Schillaci vuole mettere allo scopo in manovra, i lavori restano al palo con buona pace della sicurezza di ospedali e pazienti.

Lavori e formazione: perché i governatori chiedono più tempo
Se le liste di attesa si allungano la colpa è anche di un parco macchine dei nostri ospedali dell’era giurassica. In Italia ci sono quasi 37mila apparecchiature obsolete. Il 92% dei mammografi convenzionali ha più di dieci anni e lo stesso dicasi per il 96% delle Tac e il 91% dei sistemi radiografici fissi. E questo tipo di macchinari quando diventano obsoleti finiscono per andare fuori uso frequentemente, allungando così i tempi di attesa per chi deve fare un accertamento. Lo slittamento a giugno del 2024 degli acquisti è stato in effetti richiesto dalle Regioni. Quel che sembrano incredibili sono però le motivazioni: la necessità di svolgere dei lavori per ospitare apparecchiature più grandi, prendere tempo per smaltire quelle vecchie, formare il personale all’utilizzo delle nuove. Coma se la parola “programmazione” fosse esclusa dal vocabolario della nostra sanità.

Tumori e anoressia, le cure innovative rimandate al 2025
Per i nuovi Lea, i Livelli essenziali di assistenza arriva invece la beffa del rinvio delle cure innovative al 2025. Parliamo di procreazione assistita, malattie rare, la diagnosi e il monitoraggio della celiachia, il riconoscimento dell’endometriosi come malattia invalidante, esami e visite per tenere sotto controllo bulimia e anoressia, l’adroterapia per alcuni tipi di tumori e ausili al passo con i tempi per i disabili. Ma governo e regioni non hanno resistito al pressing dei privati che chiedono una riduzione delle tariffe, del 30% e in alcuni casi persino dell’80% rispetto alle attuali. La Ragioneria generale dello Stato ha osservato che si sarebbe potuto applicare il nuovo tariffario se solo le regioni avessero fatto piazza pulita dei piccoli laboratori che lavorano a costi più elevati. Inoltre i 3,4 miliardi erogati dal 2017 per i nuovi Lea sono finiti a tappare i buchi di bilancio