Scalea terra di nessuno. Non ci sono intoccabili né zone sicure

di Saverio Di Giorno

Non ci sono intoccabili, protetti. Né zone sicure. Questo è il messaggio lanciato e passato forte e chiaro per le vie del paese di Scalea. Il tempo sembra maledettamente riavvolgersi, avvilupparsi in un continuo eterno ritorno. L’ombra di un passato che ritorna o di un nuovo che lo imita.

Eccolo il fuoco, ecco le armi, ecco la droga e i brutti ceffi che passeggiano tronfi per le vie. La costa con il suo falso sviluppo è questa e ogni volta che prova a dimostrare di aver voltato pagina ci sono la benzina, il fumo e le ceneri a ricordare che non può essere altro. L’ultimo è quello del Brigante a Scalea, ma è solo l’ultimo di una serie appunto. E non potrà esserci altro finché i conti non saranno chiusi e i debiti saldati. Fino a che i soldi passeranno per le stesse mani.

Quando un anno fa era stato incenerito il Lido da Pietro, sempre a Scalea, erano tornate in mente alcune frasi: “qua è tutto di legno, brucia tutto velocemente”. Detto ad alta voce. Così si leggeva negli incartamenti di “Plinius”. Ed era tornata la paura degli anni bui, degli sceriffi di quartiere arricchiti. Degli uomini al soldo di palazzinari e ras del cemento, del turismo e della spazzatura pronti a dare e togliere licenze, permessi e introiti. Perché questo ha sempre originato le violenze: i debiti e i crediti, le aste e i prestiti e gli investimenti anche nelle campagne elettorale. Il bisogno di far rispettare i doveri. Poi è arrivata Plinius I e II e poi Frontiera e via di seguito.

I più ingenui hanno pensato ad un reset, ad una pulizia. I più attenti hanno notate le anomalie, le cimici nascoste ma non troppo. Le intercettazioni mai approfondite. Chi si tradisce e chi sembra sapere quando e dove parlare. Qualcuno si tradisce, qualcuno si salva.

Intanto intorno diventa terra di nessuno. La dinastia egemone di Cetraro si richiude al suo interno, lacerata tra gang, eredi del vecchio Boss non all’altezza e nuovi gruppi abili e capaci di concepire omicidi in pieno centro. Il clan Muto può continuare (se riesce) in virtù del “prestigio” e delle informazioni, ma nel suo enclave. Il resto è terra di conquista: della camorra napoletana (da San Giuseppe, da Barra, da Giuliano etc.) che viene a comprare droga e nascondere fuggiaschi, dei cosentini (gli zingari) che fanno vere e proprie spedizioni a Diamante e dintorni. Chi resta prova a stabilire il suo potentato e ad agguantare e intimidire per come riesce. In queste estati la violenza non è mai cessata, si è solo sparpagliata. Per gli altri invece il tempo passa e le condanne scadono o cadono, i processi vanno avanti, cambiano.

Cambiano ma non per tutti. Chi è riuscito (o ha potuto) infilarsi tra i buchi delle inchieste si è rigenerato. L’economia del territorio è rimasta in mano a poche ditte del cemento consorziate e raggruppate, il demanio continua ad essere gestito tra concessioni e mazzette e pure gli incarichi continuano a ruotare tra sindaci, studi e qualche loggia (varie le anomalie dalla Stazione Unica Appaltante in giù). Tutte cose che abbiamo documentato nel tempo con dovizia di particolari e sulle quali la Procura in passato aveva provato a mettere luce. Ora si archivia tutto.

Le inchieste dei decenni passati hanno distribuito non solo pene, ma anche grazie. Chi ha avuto la grazie e chi è stato carne da macello. Chi ha difeso con bastoni e benzina le proprietà e chi le ha accumulate comodamente. E le antiche pendenze, i debiti, la semplice voglia di rivalsa non sono cose che passano. Oppure più semplicemente: in un territorio che ora è alla mercè di chiunque non c’è spazio per tutti. E occorre mostrare i muscoli.

Ecco quindi che arrivano i lidi, gli attentati incendiari alle auto, i mezzi della ditta Sciuto. Fino al Brigante. E con loro è tornata la paura. Nel caos totale ognuno prova ad arraffare quello che può. Paura di ritorsioni, di guerre e di giustizie private quando manca quella vera.