A che serve la Rai? (di Franco Dionesalvi)

Per diversi anni e fino a poco tempo fa, Franco Dionesalvi – scomparso oggi lasciando un profondo senso di tristezza nella città di Cosenza – ha scritto più o meno regolarmente su Iacchite’, regalandoci tante perle di saggezza, di ironia e ricordandoci tante grandi verità che non avrebbe mai potuto veicolare sui media di regime. Come questa, per esempio, sulla Rai… 

di Franco Dionesalvi – 20 maggio 2017 –

Prima si poteva evadere più facilmente l’obbligo di pagare la Rai; adesso, si sa, questa tassa è stata inglobata nell’energia elettrica, per cui se non la versi ti staccano la corrente: o accetti di pagare lo stipendio a Bruno Vespa e Amadeus oppure è buio pesto. Quello che puoi fare per non pagare è dimostrare che non possiedi alcun apparecchio televisivo. La cosa è curiosa: molti di noi non guardano la Rai ma le altre emittenti che sono gratuite, però devono pagare la Rai. Si potrebbe facilmente fare come accade per Sky o per Mediaset Premium: sono tv a pagamento, se vuoi vederle sottoscrivi con loro un abbonamento. La Rai non possiede una tecnologia simile? Più che altro le fa comodo non possederla.

Il fatto è che le altre televisioni cosiddette generaliste assolvono già i compiti di cui si fa carico la Rai, e anche meglio. Per fare compagnia alle signore anziane c’è Canale 5, per l’informazione c’è La7 che ha servizi giornalistici più puntuali ed equilibrati di quelli della Rai; e si pagano interamente con la pubblicità. Ma la Rai in buona parte è un carrozzone politico, serve per sistemare amici degli amici, come gli altri enti che dipendono dallo Stato.

Sarebbe giusto pagarla a parte, come una tassa sociale, se svolgesse davvero un servizio pubblico. Ma allora anziché arricchire i Fazio e i Conti dovrebbe servire per dare voce alle minoranze che non fanno audience, dovrebbe mandare in onda programmi di formazione e di istruzione d’intesa con le scuole, dovrebbe trasmettere i grandi film della storia del cinema che non si vedono più. Perché far vedere Fausto Leali o Anna La Rosa che ballano, e dimostrare che questo è servizio pubblico, beh, mi sembra un’impresa memorabile.

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