Sistema Rende, le cantate di Galdi: i “finanziamenti” di Pietro Ruffolo

Francesco Galdi è noto nell’ambiente della malavita come “il pentito che insegnava all’università”. Non a caso lo chiamano “il dottore”.

42 anni, di Figline Vegliaturo, Galdi è collaboratore di giustizia di ultima generazione. Esperto in materie commerciali, avrebbe dato la sua disponibilità ai clan cosentini, e in particolare a quello capeggiato dai Chirillo, organizzando per loro delle truffe e aprendo delle aziende intestate a prestanome.

Aveva due studi commerciali a Bologna, dove ha avuto anche modo di insegnare Economia e Informatica presso la prestigiosa università “Alma Mater Studiorum”
La DDA di Catanzaro ha puntato molto su di lui nella prima parte dell’inchiesta. E il pentito Galdi, esperto in materie commerciali, ricostruisce il ruolo di Pietro Ruffolo, altro fedelissimo di Sandro Principe, che rappresentava il braccio economico del sistema Rende.

“… Pietro Ruffolo – afferma Galdi – in quel periodo erogava finanziamenti e concessioni di credito sia a favore di uomini e società delle cosche mafiose locali sia a favore di imprese presentate da parte di esponenti delle cosche locali.

Si è trattato di centinaia di finanziamenti che possono essere documentati attraverso accertamenti bancari. Tali finanziamenti sono riscontrabili perché molti non sono stati restituiti anche perché, con la complicità del Ruffolo, venivano erogati a società in crisi finanziarie, i cui bilanci venivano scientemente “taroccati” dal compiacente commercialista Oranges, ovvero a persone fisiche non esistenti attraverso la creazione di documenti falsi di cui in ogni caso Ruffolo era pienamente a conoscenza.

Ruffolo prendeva una parte dei finanziamenti che erogava e dava una parte di questi proventi anche alla criminalità, al Di Puppo in particolare. La criminalità organizzata entrava in questi finanziamenti poiché molte persone che contraevano debiti per motivi vari, droga o altro, si rivolgevano al criminale di riferimento per avere un aiuto, questi poi si rivolgevano al Ruffolo per ottenere i finanziamenti.

A conferma degli stretti rapporti tra Michele Di Puppo e Pietro Ruffolo, veniva riferito un intervento del Di Puppo, a seguito di forti pressioni da parte di Giovanni Battista Romano, negli anni 2006-2008 legato alla cosca Cicero, successivamente contiguo al clan Chirillo di Paterno, articolazione della più ampia consorteria denominata Lanzino.

“Un giorno Michele Di Puppo – ricorda Galdi – intervenne in difesa del Ruffolo perché era diventato oggetto di troppa pressione da parte della criminalità. Il Di Puppo prese le difese del Ruffolo perché egli era molto utile sia per i finanziamenti sia per il fatto che egli sarebbe dovuto entrare in politica e dunque poteva tornare molto utile al gruppo Di Puppo ed alla cosca.

L’episodio di cui parlo riguardava Giovanni Battista Romano, il quale si era rivolto al Ruffolo, che rivestiva il ruolo di responsabile del settore concessione di credito alle imprese presso la filiale del Credito Italiano di corso Mazzini a Cosenza, per ottenere un finanziamento per un importo pari a circa 30 o 40mila euro.

Il Romano, che richiedeva tale somma di denaro per conto del gruppo Cicero, a seguito del rifiuto da parte del Ruffolo (poiché il soggetto richiedente aveva delle segnalazioni in Crif e vi erano seri problemi per superare tale ostacolo), il gruppo Cicero aveva in mente di porre in essere una ritorsione nei confronti del Ruffolo per effetto di tale rifiuto. Questa vicenda si colloca negli anni 2002/2003. Il Di Puppo Michele, informato dal Ruffolo delle pressanti e reiterate richieste, si rivolse al Romano intimandogli che il Ruffolo era uomo loro, era indispensabile al fine del finanziamento della cosca e quindi non poteva in nessun modo essere toccato.

Di tale appartenenza del Ruffolo al gruppo Di Puppo e dell’interagibilità del Ruffolo, si passò novità a tutti i gruppi malavitosi cosentini”.