Zabatta Staila & Solfami: una crew di tutto rispetto (di Adriano D’Amico)

di Adriano D’Amico

Cantare in dialetto non è assolutamente un limite se parliamo di una buona band, gli esempi nella musica leggera italiana sono tanti, tra questi i Tazenda e, perché, no La Spasulati band; ed è senz’altro il caso del gruppo emergente Zabatta Staila & Solfami, egocentrica crew di giovani cosentini, una via di mezzo tra un videogames ed un film di Kubrick per quello che fanno sul palco, per la scena e le scenografie usate; per le loro maschere, sprigionanti uno strano fascino, lo stesso che irrorano durante il concerto l’istrionico Zabatta Staila, il funambolesco Solfami ed il coniglio gigante dal volto malinconico Marracaibo, che passa tutto il suo tempo ad agitare una mazza da baseball ed a distribuire dollaroni falsi; tanta scena anche per lui, un po’ Arancia Meccanica ed un po’ Guerrieri della Notte.

La loro musica trasporta grandi e piccini: molto ritmo, contaminazioni varie, tante frasi in dialetto cosentino, espressioni strane, dette e non dette … bella questa…  belle davvero le loro canzoni.

I testi, poi, meritano particolar menzione; la band cosentina parla del nostro Sud, dei problemi del nostro tempo: ironici e mai volgari, si prendono gioco dei politici locali con molto garbo ed altrettanta ironia, tipica degli attori di teatro, che probabilmente avranno studiato; Machinè è senz’altro l’emblema della loro musica: massimo del ritmo, messaggi non troppo subliminali lanciati a chi, magari, non li capisce non li conosce, perché non capisce e non conosce i giovani, e chiede maggiori informazioni su questi strani tipi che saltano sul palco e ti dicono che non è serio dire di non aver lavoro se poi passi tutto il giorno a giocare “ari machinetti”; con Kalatrava, scritta dall’enigmatico Jakky Di Nola, si prendono gioco del loro sindaco, mettendone in luce l’ambizione, l’eccessiva vanità: tu si bella ma è chiu bellu u ponti i Kalatrava…, forse la stessa di tanti cosentini che prendono in giro con le loro canzoni, perché ogni popolo ha i governanti che si merita.

Mai pensare, tuttavia, che nei loro testi ci possa essere soltanto ironia e attacco ad un modo di fare e di essere tipico nella loro città in diversi ambiti, specie in quelli politici; a smentire l’assioma ci pensa Oi Ma! Un testo struggente, degno della migliore scuola d’autore italiana, che parla di un dramma passato, l’emigrazione, ancora presente, purtroppo, nella nostra società; un dramma che porta tanti cosentini ad emigrare in Inghilterra; così come accadeva agli inizi del secolo scorso, quando andavano in America ed erano ciuati, oggi sono crazy, ma partono per lo stesso motivo e con la stessa speranza; meridionali che hanno nel loro cuore la identica voglia di tornare che avevano i loro avi, per sistemare tutto: ohi Ma’ pu scinnu e n’accattamu tuttu Conzamu tutto…  meridionali che partono con la stessa valigia, che non è più di cartone come quella dei loro nonni, ma comprata dai cinesi; meridionali che sperano di tornare, ma che sono partiti per cambiare loro stessi ed i destini della loro terra Si minni signu jutu ohi Ma è picchi vuagliu cangià U sacciu ca tu si luntana ma ti siantu cca Ccu tutta a forza e ra speranza i mi ricoglia ohi Ma’ Picchi sa vita un si sa addi mi pò portà… che sono partiti per cambiare, il modo di essere dei giovani del Sud, forse anche per far vedere a chi non c’aveva creduto che sono cambiati davvero.