Cosenza, le mirabolanti “avventure” del fratello del Gattopardo e il patto con Tursi Prato

Questa storia inizia alla fine degli anni Ottanta quando due politici cosentini, Tonino Gentile alias il Cinghiale e Pino Tursi Prato entrano in conflitto nel vecchio e corrottissimo PSI di Craxi. Ma perché Gentile e Tursi Prato entrano in rotta di collisione? Ufficialmente per lo “strappo” della presidenza dell’USL (Tursi Prato diventa il capo della sanità cosentina senza il consenso del Cinghiale…) ma sostanzialmente perché Tursi Prato ha altri progetti per il futuro e smania per scappare via dal regno dei Cinghiali. Troppo riduttivo fare il “prestanome” e per portarlo via dai Gentile, oltre al “mammasantissima” di Reggio, Paolo Romeo, si impegna anche Giacomo Mancini, che all’interno del PSI ormai da tempo ha rotto con Craxi e non sta certo dalla parte di Pino e Tonino ovvero i Cinghiali di Cosenza.

Poi, una bella mattina, la procura di Cosenza arresta Tursi Prato e ne determina l’inevitabile addio al PSI. Ma, data la caratura dei personaggi, non era possibile che, prima del passaggio  di Tursi Prato al PSDI di Paolo Romeo, non si arrivasse ad un chiarimento con tanto di interventi “pesanti”.

IL SUMMIT ROMEO-PINO NELLO STUDIO CARUSO 

Ed è qui che entra in scena in prima persona Paolo Romeo con una preziosa opera di intermediazione con i clan cosentini. Che si sposa alla perfezione con l’estorsione messa in atto per appropriarsi del servizio di ristorazione ospedaliera, visto che Tursi Prato era ancora saldamente a capo dell’USL della discordia di Cosenza.

Fu Romeo, si legge negli atti del processo “Olimpia”, a organizzare «l’estorsione Sar per ottenere un miliardo e cento milioni di lire dall’imprenditore Montesano che si era aggiudicato in Cosenza una licitazione privata per il servizio di ristorazione ospedaliera». E lo fece «accompagnando Magliari Pietro, mafioso della zona di Altomonte, presso il Montesano a Reggio Calabria per ottenere “l’adempimento” degli impegni assunti».

Tra le frequentazioni cosentine di Romeo anche il boss Franco Pino, poi pentito storico della ‘ndrangheta. Nell’ordinanza si parla della partecipazione alla fine degli anni ‘80 «ad una riunione in Cosenza presso l’avvocato Franz Caruso, nel corso del quale, alla presenza del capo cosca cittadino Franco Pino, si compose un contrasto tra i politici Giuseppe Tursi Prato e Antonio Gentile».

La vicenda dell’Usl di Cosenza che va a finire nell’operazione Olimpia viene stralciata e diventa di competenza della procura della Repubblica della città bruzia dove ha iniziato a farsi strada un giovane magistrato che si chiama Mario Spagnuolo. Tursi Prato è ancora presidente dell’Usl, viene coinvolto ancora pesantemente e per mettere a posto le sue pendenze con la procura si dichiara disponibile a uno di quegli accordi che si definirebbero “inconfessabili” ma che almeno lo mettono al riparo (nell’immediato) da altre brutte sorprese della procura cosentina, sulla quale ieri come oggi Tonino Gentile esercita tutto il suo potere. E così Tursi Prato, tra gli atti della sua gestione della sanità cosentina, nomina dirigente facente funzioni dell’Ufficio Vaccinazioni un certo Ippolito Spagnuolo, fratello del giovane magistrato rampante. Lo nomina facente funzioni perché non ha i requisiti per vincere un concorso che non si svolgerà mai.

Il fratello di Spagnuolo rimarrà a capo dell’Ufficio fino a pochi anni fa, quando l’inchiesta dei furbetti del cartellino coinvolgerà pesantemente anche lui stesso…

Quanto a Tursi Prato, quando Spagnuolo, pochi anni dopo, diventa il “regista” del pentimento di Franco Pino, tornerà sulla graticola e sarà l’unico a pagare per le “cantate” del pentito. E’ storia.

I FURBETTI DEL CARTELLINO E IL FRATELLO DEL PROCURATORE

Il 10 aprile 2015 32 persone, tutte dipendenti – alcune anche con ruolo dirigenziale – dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza, sono state indagate (il processo è in corso nel Tribunale di Cosenza meglio conosciuto come porto delle nebbie) con l’accusa di truffa aggravata e continuata perpetrata ai danni della stessa azienda sanitaria.

L’indagine della procura, denominata “Camice bianco”, ha coinvolto medici, infermieri, dirigenti e dipendenti dell’Asp di Cosenza. Che erano stati additati all’opinione pubblica come i “furbetti” del cartellino. In sostanza, anche le recenti inchieste che hanno portato all’incriminazione di 18 persone a Rogliano e di altre 8 a San Vincenzo La Costa non sono certo una novità nel panorama cosentino.

Ma in queste indagini coordinate dall’ex procuratore Dario Granieri e dai sostituti procuratori Antonio Bruno Tridico e Domenico Assumma, c’è qualcosa che nessuno ha avuto il coraggio di tirare fuori. Sarà malafede, sarà sudditanza psicologica, sarà quel che sarà, Iacchite’ non potè esimersi dal tirarla fuori e dal farla notare all’illustre protagonista.

Non c’è dubbio che il personaggio più famoso finito nelle maglie dell’inchiesta sia Ippolito Spagnuolo, fratello dell’attuale procuratore di Cosenza (nonché sostituto anziano per più di dieci anni) Mario Spagnuolo. Sì, proprio lui, avete capito bene.

Mentre il fratello è alla sbarra tra i “furbetti del cartellino” cosentini, lui fa lo spadaccino con altri “colleghi truffaldini” del fratellino e gioca a fare il moralista. E’ proprio il caso di dire, citando Gesù, che il dottore Spagnuolo guarda la pagliuzza negli occhi dei roglianesi ma non guarda la trave che (moccivò!) è nell’occhio di suo fratello.

Perché, anche se in molti si affrettano a dire che il fratello di Spagnuolo è prossimo o è addirittura già andato in pensione (ci sono “lavoratori” che possono permettersi questo lusso anche se hanno superato da poco i 60 anni!), la posizione del soggetto non è molto diversa da quella degli altri. Diciamo pure che a Cosenza lo sanno tutti che Ippolito Spagnuolo, personaggio un po’ sui generis e certamente “pecora nera” dell’onorata famiglia che rappresenta, era il principale artefice delle false timbrature nei leggendari uffici di via XXIV Maggio a Cosenza. 

Secondo l’accusa, gli indagati, in servizio all’ospedale civile o nelle varie sedi dell’Asp, durante l’orario di servizio, regolarmente retribuito, anche con prestazioni extra di straordinario, «con sistematicità e abitualità», avrebbero posto in essere condotte di truffa in danno dell’amministrazione di appartenenza attraverso la falsificazione degli orari di presenza e di uscita, mediante l’infedele timbratura del cartellino marcatempo. In una circostanza, secondo quanto reso noto, sarebbe stata accertata l’effrazione di un distributore automatico di alimenti e bevande con la conseguente asportazione del denaro contenuto da parte di due indagati.

Per dovere di cronaca, rileviamo che il fratello di Spagnuolo ha ribadito al Tribunale la sua “totale e piena estraneità ai fatti contestati”: ha precisato che lui “era sempre al lavoro in ufficio e al massimo usciva dalla stanza solo per fumare una sigaretta o per bere un bicchiere d’acqua”. Quando non era sul posto di lavoro, poi, “era fuori per motivi esclusivamente professionali”. Ha poi specificato di aver ricoperto diversi ruoli all’interno dell’Azienda. Quando si spostava negli uffici di via Alimena lo faceva “per sopperire alla mancanza di personale e per questo timbrava prima perché poi si spostava in altra sede dell’Azienda. A volte capitava che timbrava in posti diversi soltanto per ottimizzare i tempi…”.

L’esito della sentenza, con la condanna a 1 anno e 2 mesi di Ippolito Spagnuolo, ci fa pensare che qualcuno stavolta abbia ragionato ed evitato l’ennesima figura barbina. Se avessero assolto il fratello di Spagnuolo stavolta neanche lui ce l’avrebbe fatta a fare finta di niente. Si sarà messo una mano sulla coscienza? Oppure qualcuno gli avrà detto che si sono accesi i riflettori anche su come il suo adorato fratellino era stato messo a capo dell’Ufficio Vaccinazioni? Eh già, qualche “uccellino” ha sussurrato che il ruolo dirigenziale di Ippolito Spagnuolo (senza concorso e senza un briciolo di requisito) altro non era che la merce di scambio per archiviare un’inchiesta sull’allora commissario dell’USL n.9 di Cosenza ovvero Pino Tursi Prato. Un “patto” tra il chiacchieratissimo personaggio politico e l’allora giovane magistrato cosentino. Perché il passato presenta sempre il conto.

Ci permettiamo tuttavia di far notare ancora altri aspetti tragicomici di questa vicenda dei furbetti del cartellino. .

Il pm Tridico

Abbiamo avuto modo di leggere le carte dell’inchiesta (con 31 indagati non era poi neanche così difficile…) e siamo rimasti quasi di sasso quando abbiamo riscontrato che ci sono ben cinque soggetti che, stranamente, vengono addirittura seguiti e pedinati dai carabinieri, colti con le mani nella marmellata ma clamorosamente ignorati.

Poiché facciamo sempre nomi e cognomi, ecco le loro identità.

Partiamo dal più “grosso” ovvero Pietro Arpaia, medico legale di una certa notorietà a Cosenza. Finito nell’inchiesta mani e piedi e uscito pulito pulito a quanto pare senza colpo ferire.

E continuiamo con i dipendenti: Giorgio Campolongo, Maria Paola Rocca, Andreina Carbone e Antonio Bartolotto. Almeno due di questi dipendenti hanno usufruito di molti periodi di “malattia” abbastanza generosa, eppure, nonostante i controlli accurati, non figurano nell’elenco.

A questo punto, sarebbe interessante capire come mai i pm Tridico e Assumma li abbiano agevolati in maniera così palese e smaccata. E il nostro elenco di domande alla procura di Cosenza aumenta esponenzialmente. Possibile che ci sia del marcio anche nelle cosiddette inchieste “di punta” di questi magistrati che non fanno (quasi) mai il loro dovere?

E possibile che dobbiamo sentire Mario Spagnuolo pontificare anche sulle reti nazionali per dirne di tutti i colori ai “furbetti” di Rogliano o di San Vincenzo La Costa o addirittura delle ginecologa del consultorio di Rende quando il fratello (!!!) è il primo ad aver fatto lo stesso? In qualsiasi altra città del mondo, il procuratore sarebbe stato trasferito per incompatibilità ambientale ma a Cosenza no… Misteri della “Giustizia” (?!?) cosentina!