Cosenza, il comunismo e la massoneria ai tempi di Ettore Loizzo

La massoneria cosentina, sulla quale non si è mai aperto un dibattito serio e organico, ha sempre seminato suoi autorevoli rappresentanti in TUTTI i partiti dell’arco politico, anche e soprattutto in quelli che vietavano il tesseramento dei massoni e ci riferiamo a DC, PCI e PSI.

La figura del “comunista massone” (che si attaglia alla perfezione anche per molti altri “soggetti”, come vedremo) è stata incarnata per molto tempo dall’ingegnere Ettore Loizzo, che proprio ieri (nonostante sia scomparso ormai da cinque anni) è ritornato alla ribalta attraverso le dichiarazioni dell’ex capo del Grande Oriente d’Italia Giuliano Di Bernardo al processo sull’inchiesta “Mammasantissima”.

Seccondo Di Bernardo, Ettore Loizzo, all’inizio degli anni Novanta, gli avrebbe confessato che su 32 logge massoniche esistenti in Calabria, 28 sarebbero state controllate dalla ‘ndrangheta.

Ettore Loizzo

Stiamo cercando di capire di più sulla personalità, sul carisma, sull’autorevolezza e sull’attività politica di Ettore Loizzo e in questi mesi abbiamo ricostruito la sua intensa “carriera”. Esiste, tuttavia, un documento importante sulla sua vita. E’ un libro-biografia, scritto dal giornalista Francesco Kostner con la tecnica dell’intervista allo stesso Loizzo, che si intitola “Confessioni di un gran maestro”. E’ chiaro che ci sono scritte solo le cose che “si possono dire” ma non mancano gli spunti interessanti.

Partiamo dal momento in cui si rompe l’idillio tra Loizzo e il PCI. All’indomani dello scandalo della loggia P2 tutti coloro i quali sanno che Loizzo è massone fanno partire una caccia all’untore che si risolve con le sue dimissioni dal partito. Sì, perché Loizzo non si candidava soltanto da “indipendente” nelle liste del PCI ma ne era proprio dirigente, per come conferma lui stesso.

Lei non ha mai pagato nessun prezzo per la sua scelta di essere massone?

“Certo. Basti pensare alla scelta, anzi alla costrizione di cui fui vittima, di abbandonare il PCI, del quale ero dirigente, per continuare a vivere la mia esperienza di massone”.

Perché fu costretto a scegliere?

“Il partito comunista sapeva della mia militanza massonica e l’aveva sempre accettata. Anzi, qualche volta l’avevo anche utilizzata. Quando si presentò per me la possibilità di essere eletto ai vertici nazionali dell’Istituzione (i fratelli chiamano così la massoneria, ndr). probabilmente perché eravamo nel polverone della P2, mi venne imposto l’aut-aut. Quel che mi diede fastidio fu il modo subdolo e ipocrita con cui questa posizione del partito venne evidenziata”.

Cosa successe?

In quel momento era segretario regionale del PCI Fabio Mussi. Gli feci presente che mi sembrava una richiesta assurda. Mussi, almeno con me, si mostrò d’accordo e condivise il mio pensiero, ricordando, tra l’altro che nessuna disposizione dello statuto prevedeva l’incompatibilità tra l’appartenenza al PCI e l’impegno massonico.Fabio Mussi

Fabio Mussi

Invece poi si scatenò il finimondo. Fui messo letteralmente sott’accusa dai miei cosiddetti “compagni”. In particolare da Italo Garrafa, che allora guidava la federazione PCI di Cosenza, il quale si rese protagonista di una vera e propria crociata personale, costringendomi ad optare per la massoneria”.

Le ha pesato molto quella scelta?

“Certo che ha pesato. Ero e sono rimasto sostanzialmente un marxista convinto. Anche se oggi (siamo nel 2001, ndr) non si capisce bene cosa voglia dire e quali impegni e scelte debba determinare in chi dice di esserlo. Non ho mai mandato giù, debbo dire la verità, l’atteggiamento di preclusione, l’intolleranza di cui fui vittima in quell’occasione. Limitata soltanto a me, peraltro”.

Vuole dire che altri massoni iscritti nel PCI non ebbero i suoi problemi?

“Voglio dire proprio questo. Ma solo per una questione di giustizia e di coerenza. O vale per tutti, un principio, o il comportamento nei confronti di una persona diventa persecuzione. Mi intervistò anche il Corriere della Sera ma mi limitai ad una protesta molto contenuta. Avrei dovuto dire, invece, che era prevalsa ancora una volta l’ipocrisia. E forse fare dei nomi. Ma sarebbe stato un atteggiamento squalificante”.

Lei ha detto che la sua appartenenza alla massoneria era conosciuta nel PCI ed anche utilizzata. Parla di ipocrisia per queste ragioni?

“Per queste ed altro. In molte circostanze, anche particolari, data la mia posizione ai vertici della massoneria regionale, sono stato contattato dai dirigenti del mio ex partito per risolvere alcuni problemi. Per esempio, di fronte a fatti clamorosi ed importanti, mi è stato chiesto di dare una mano al partito. Sia chiaro, sempre nel rispetto delle regole e dei principi che informano l’appartenenza di un iscritto alla massoneria. Nel caso di specie, di un suo rappresentante impegnato ai vertici della massoneria”.

Ad esempio?

“Ricordo che fui contattato in occasione del rapimento del giovane Paul Getty. Le indagini, secondo gli investigatori, portavano in Calabria, una pista che venne scrutata anche con il contributo della massoneria”.

Cioé attraverso il suo intervento.

“Sì, ma, per cortesia, non mi faccia passare per referente e conoscente dei capibastone della ‘ndrangheta”.

Dunque, già nel 2001 Loizzo si era tolto qualche sassolino dalla scarpa nei confronti del PCI (che ormai era diventato già prima Ulivo e poi DS) ma il comunista-massone rivela particolari assai pesanti sulla sua conoscenza del “pianeta ‘ndrangheta” ed, in effetti, il rapimento di Paul Getty è una sorta di pietra miliare per quanto riguarda la ferocia della nostra organizzazione criminale. Il fatto che Loizzo fosse stato chiamato ad intervenire non fa altro che confermare che la massoneria aveva contatti con la ‘ndrangheta. Ma questa non è certo una novità. Chissà che qualcuno, leggendo queste note, non si dia una svegliata e non si ricordi delle brillanti inchieste, ovviamente boicottate, di Cordova e De Magistris. Magari per risalire al livello politico, che a Cosenza è intoccabile ma a Reggio, per fortuna, no.

IL SEQUESTRO GETTY

John Paul Getty III, scomparso nel 2011, è stato un imprenditore britannico, primo dei 4 figli di Paul Getty e nipote del petroliere miliardario Jean Paul Getty, fondatore della compagnia statunitense Getty Oil.

paulIl 10 luglio 1973 venne rapito a Roma, a piazza Farnese, dalla ‘ndrangheta calabrese, facente capo alle ‘ndrine dei Mammoliti, Piromalli e Femia, con la richiesta di un riscatto di diciassette milioni di dollari. Nel novembre dello stesso anno fu inviato un suo orecchio per sollecitare ulteriori pagamenti e alcune fotografie furono fatte pervenire dai rapitori ai giornali per convincere l’inflessibile e ricchissimo nonno a pagare il riscatto.

Paul Getty III fu liberato sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria e ritrovato da un camionista all’altezza di Lauria dopo cinque mesi di segregazione e il pagamento di un miliardo e settecento milioni di lire. Era il 17 dicembre del 1973.

Profondamente segnato dai cinque mesi trascorsi nelle mani dei sequestratori, il giovane John Paul inizia a fare uso di stupefacenti ed alcol; nel 1981, a seguito di un ictus provocato dall’assunzione di una miscela a base di metadone, alcol e valium divenne quasi cieco e paralizzato.