Cosenza, sanità venduta. L’accordo tra Scura e iGreco smascherato dal Consiglio di Stato: “Restituite quei 4 milioni”

Nel fantastico mondo della sanità cosentina può accadere di tutto. E così abbiamo scoperto che, nonostante una sentenza inappellabile del Consiglio di Stato che condanna i famigerati iGreco a restituire circa 4 milioni di euro indebitamente percepiti, c’è stato un commissario “amica degli amici” che ne ha bloccato clamorosamente i pagamenti senza che nessuno aprisse bocca. Così come hanno fatto i suoi successori.

La vicenda è nota, anche se risale a qualche anno fa. Gli addetti ai lavori ricorderanno certamente che ci furono molte polemiche per la decisione dell’allora commissario per la sanità calabrese Massimo Scura di “regalare” 53 posti letto a due delle cliniche del gruppo iGreco, la Madonna della Catena e la Sacro Cuore. Con conseguente riconoscimento dello sforamento del tetto di spesa per il 2015 e il 2016: complessivamente qualcosa come 3 milioni 800 mila euro (1 milione 900 mila euro per anno).

Ebbene, risale al mese di aprile del 2019 la pronuncia del Consiglio di Stato, che ha bocciato la decisione del Tar Calabria di rigettare il ricorso della clinica Villa del Sole, alla quale fu data ampia ragione. Successivamente, a circa due mesi di distanza e all’indomani del decreto speciale Calabria che ha cambiato i vertici dell sanità, un decreto del commissario Cotticelli stabiliva che iGreco avrebbero dovuto rimborsare quanto avevano indebitamente percepito.

Non sappiamo se, nel frattempo, il gruppo iGreco ha proceduto a versare qualche rata ma quello che sappiamo con certezza è che dall’insediamento del nuovo commissario straordinario dell’Asp di Cosenza, Daniela Saitta, i pagamenti sono stati magicamente bloccati. E non è neanche un mistero che negli uffici “blindati” di via Alimena della signora Saitta, sono in pochi gli eletti che hanno l’onore di stazionarvi e tra questi ci sono anche i fratelli Saverio e Giancarlo Greco. Oltre, naturalmente, a Francesco Cribari, nominato da qualche settimana nella segreteria del commissario, e già consulente dello stesso gruppo iGreco.

C’era dunque un “filo rosso” che legava la famiglia iGreco al commissario straordinario Saitta, del quale la vicinanza al commercialista Cribari è solo la parte più visibile. Un “filo rosso” che porta dritto al solito puparo della sanità calabrese commissariata ovvero Andrea Urbani, non a caso subcommissario dello stesso Massimo Scura, che si è messo d’accordo con iGreco, che al mercato mio padre comprò…

Noi non sappiamo se successivamente i “tamarri arricchisciuti” di Terravecchia hanno restituito o meno i soldi (ma ci crediamo molto poco) ma ben difficilmente i successori della Saitta (Zuccatelli e la Bettelini erano ancora più amici de iGreco…) hanno fatto qualcosa. Sappiamo invece che l’ex commissario Scura non ha pudore di mostrare la sua faccia di bronzo addirittura in tivù (sia pure nel pollaio di Giletti) per affermare che lui ha combattuto (!) la sanità privata. Ccuri cazzi, dicimu a Cusenza. Per non parlare dell’ultima inchiesta del Gattopardo per la quale è stato anche indagato! Ppe fa ammucca i caggi, come diciamo a Cosenza. 

Adesso concentriamo la nostra attenzione su questo patto scellerato tra Scura, Urbani e iGreco per consentire ad un gruppo di affaristi di eludere la legge.

Leggere la sentenza del Consiglio di Stato è “illuminante” rispetto a certi metodi che sono andati avanti fino all’altro ieri e che probabilmente sono continuati e continuano, nel nome di quel rapporto assurdo con la sanità privata, indegno di ogni regione civile.

I giudici motivano l’annullamento del Dca con il quale il commissario aveva sfacciatamente beneficiato iGreco in maniera inequivocabile: è stato messo in atto un palese “imbroglio” (ma dovrebbe essere classificato a tutti gli effetti come “truffa”) da parte dell’ufficio commissariale a favore del potentissimo gruppo cariatese. Le motivazioni sono facilmente immaginabili. Poi la sentenza era stata notificata anche alla Corte dei Conti, ne era stato informato il nuovo commissario succeduto a Scura ovvero il generale Cotticelli, che però – come tutti sanno – è incapace di intendere e di volere… E ben difficilmente qualcun altro ha portato la questione al vaglio del nuovo commissario Longo. In perfetto stile Calabria… 

LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO

Ma veniamo al dettaglio della sentenza. Parliamo di tetti di spesa per l’acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera per il 2015 e per il 2016.
La casa di cura Villa del Sole appellante – operante in Cosenza in regime di accreditamento e dotata di un reparto di chirurgia con 44 posti letto e di un reparto di riabilitazione intensiva con 30 posti letto – ha impugnato dinanzi al Tar Calabria il decreto del Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi nel settore sanitario nella Regione Calabria 6 luglio 2015 n. 80, con cui sono stati determinato i tetti di spesa per l’acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera per il 2015.

La clinica Madonna della Catena

Con motivi aggiunti, l’impugnazione è stata estesa al d.c.a. 4 febbraio 2016, n. 17, nella parte in cui la Clinica Madonna della Catena s.r.l. è stata autorizzata ed accreditata per ulteriori 23 posti di riabilitazione intensiva, ed al d.c.a. 24 febbraio 2016, n. 27, nella parte in cui, per l’anno 2016, ha assunto a base di calcolo i tetti di spesa assegnati per l’anno precedente.

In sostanza, la ricorrente, sottolineando di aver registrato nel 2014 (al pari di altre strutture accreditate) un cospicuo over budget, rivendicava per il 2015 il riconoscimento della propria capacità operativa, lamentando che il Commissario, pur avendo destinato all’ASP di Cosenza maggiori risorse rispetto all’anno precedente, avesse poi assegnato gran parte di esse a due sole strutture (Casa di cura Sacro Cuore e Casa di cura Madonna della Catena – di proprietà dello stesso soggetto e concorrenti della ricorrente per le prestazioni di chirurgia, soprattutto della tiroide, e di riabilitazione intensiva-cod. 56) le quali si erano caratterizzate per non aver coperto i rispettivi budget e per un’elevata inappropriatezza delle prestazioni erogate.

Con la sentenza appellata (I, n. 1800/2016), il TAR Calabria aveva respinto il ricorso, ritenendo infondate tutte le censure dedotte.

Nell’appello, vengono dedotti quattro motivi. Con il primo, la Casa di cura torna a dolersi dell’insufficienza e dell’incongruenza della motivazione esposta nel d.c.a. n. 80/2015, nonché della motivazione postuma offerta in giudizio dalla difesa del Commissario, sulla base di quanto esposto dal Dipartimento regionale competente con la relazione prot. 293309 in data 6 ottobre 2015.
Sottolinea in particolare che, sul piano motivazionale, se, in una Regione sottoposta a piano di rientro, a giustificare il provvedimento regionale di fissazione dei tetti di spesa aziendali è sufficiente il richiamo alla pertinente normativa, di contro l’atto di distribuzione dei tetti singoli deve essere sorretto da congrua esternazione dei motivi, in concreta e specifica attuazione dei principi generali posti a presidio dell’interesse fondamentale alla salute dei cittadini (art.32 Cost.), della libera concorrenza tra imprenditori privati (art. 41 Cost.), del buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.).

Viceversa, nel provvedimento impugnato – oltre a riferimenti che costituiscono frasi di stile – non vi è alcuna effettiva motivazione sulle ragioni che hanno indotto la ASP, a parità di specialità accreditate, ad assegnare a due strutture quote aggiuntive in misura sovrabbondante sulle altre, tanto più che si tratta delle uniche incapaci di consumare il budget fino a quel momento loro affidato, ed ufficialmente riprese per l’inappropriatezza delle prestazioni rese.

Neanche la motivazione postuma fornita dalla difesa del Commissario ad acta è idonea a sanare il vizio, in quanto applicabile, ex art. 21-octies, della legge 241/1990, ai soli atti vincolati, comunque modificativa di quanto affermato nel provvedimento, ed in ogni caso non idonea a giustificarne le scelte, come risulta confermato dal d.c.a. n. 29 in data 8 febbraio 2017.

Con il secondo motivo di appello, la Casa di cura approfondisce gli aspetti di illogicità e disparità di trattamento, invocando un precedente di questa sezione (sent. n. 870/2014) del tutto analogo, e sottolineando come non sia affatto raro che in alcune Regioni, non a caso minate da un endemico disavanzo sanitario, la distribuzione dei fondi qualche volta si effettui avendo riguardo al nome dell’imprenditore privato invece che alla performance della struttura ed alla sua accertata capacità di dare risposta all’utenza.

Con il terzo motivo, si ribadisce la censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 15, comma 14, del d.l. 95/2012, convertito in legge 135/2012, per aver ottemperato all’obbligo della diminuzione del tetto complessivo della spesa regionale nella percentuale voluta dalla manovra di spending review, eliminando però, dai servizi offerti al cittadino, quello relativo all’assistenza oncologica.

Con il quarto motivo viene censurato il d.c.a. 17/2016, per non aver motivato in ordine alle ragioni per le quali, fra le tante strutture erogatrici di prestazioni riabilitative di cod.56, e tra di esse la ricorrente, da più anni al limite della capacità produttiva, l’incremento di posti letto sia toccato all’unica struttura (Madonna della Catena) non virtuosa; e si lamenta che, con inversione del nesso tra attività svolta ed accreditamento previsto dall’art. 8-quater, commi 1 e 7, del d.lgs. 502/1992, ed in violazione del d.m. 70/2015, l’incremento dei posti letto per le prestazioni riabilitative sia stato disposto senza ed al di fuori della necessaria programmazione e finisca col risultare indirizzato a sanare ex post l’immotivata maggiorazione di budget già attribuita con il d.c.a. n. 80/2015.

Infatti, secondo quanto sottolineato dall’appellante (e non confutato in giudizio): – la Casa di cura Madonna della Catena ha una dotazione di posti letto di riabilitazione intensiva cod. 56, ma, contrariamente a quanto affermato dal Tar, detta attività viene erogata anche dall’appellante; ha altresì una dotazione di posti letto di neuroriabilitazione (riabilitazione gravi cerebrolesioni acquisite) cod. 75;
– la motivazione dell’Amministrazione fa leva esclusivamente su questa seconda
attività;
– tuttavia, dopo l’assegnazione dei budget per il 2015, e poco prima dell’assegnazione di quelli per il 2016, con il d.c.a. 4 febbraio 2016, n. 17, la struttura è stata autorizzata ed accreditata per ulteriori 23 posti di riabilitazione intensiva;
mentre, dal d.c.a. 8 febbraio 2017 n. 29 (che l’appellante ha depositato in giudizio, invocando l’art. 345, terzo comma, c.p.c.), relativo alla riconversione delle attività accreditate della Casa di Cura “IGreco Ospedali Riuniti” (che ha accorpato le Cliniche Sacro Cuore, Madonna della Catena e la Madonnina, facendone sedi operative dell’unica nuova struttura), risulta che è rimasto fermo a 18 il numero dei posti letto di neuroriabilitazione ad alta intensità -cod. 75.

Il mancato incremento dei posti letto per l’attività di neuroriabilitazione –cod. 75, al cui potenziamento, viceversa, le note commissariali pretendono di ricondurre la giustificazione dell’incremento di budget (oltre che l’aumento di posti di Riabilitazione Intensiva- cod. 56) in favore dell’ex Casa di Cura “Madonna della Catena”, rende tale decisione priva di una comprensibile giustificazione.
Sembra al Collegio evidente che il macroscopico incremento di budget (pari a quasi 2 milioni di euro solo per il 2015 e alla stessa cifra anche per il 2016) avrebbe richiesto, o addirittura avrebbe dovuto presupporre, un adeguato potenziamento della capacità ricettiva della struttura per l’attività alla quale l’incremento era destinato.
Dalle risultanze processuali, ciò non risulta avvenuto.
Deve pertanto concludersi per la fondatezza delle censure dell’appellante basate sulla insufficienza ed illogicità della motivazione esternata, con riferimento al budget della Casa di Cura Madonna della Catena.

Bene, anzi male… Neanche in presenza di sentenze esecutive e di un decreto pubblicato, l’associazione a delinquere della sanità cosentina si impressiona più di tanto e continua a fare i suoi porci comodi. E neanche nell’ultima tragicomica inchiesta del procuratore Gattopardo c’è traccia di questi 4 milioni. E poi dicono che non si deve pensare male!