Craxi e l’Italia: tra la gente, alla ricerca di un popolo

Mi hanno sempre affascinato gli appuntamenti con la storia, e quello di oggi, ricorrendo il ventesimo anniversario della morte di Bettino Craxi, lo è sicuramente; e non certo, e non solo, per le beatificazioni postume, tipiche della nostra italietta, sulle quali tornerò innanzi, ma perché dovrebbe farci riflettere su un pezzo di storia del nostro novecento, giustamente, forse, processata dai giudici, che però non ha avuto un altrettanto giusto processo politico, o meglio, lo ha avuto in parte; e forse, in parte, il processo giudiziario lo ha subito.

Io la ricordo bene l’epoca craxiana, ero abbastanza grande in quel periodo: la Milano da bere, l’onda lunga che avrebbe portato lontano il paese; un paese in cui quel PSI era anche il partito nel quale dovevi militare se volevi fare carriera ed eri un medico, un avvocato o un ingegnere; perché era di sinistra, certo, ma non eri comunista, ma eri riformista; e Craxi lo diceva chiaramente, a differenza di tanti, troppi dirigenti del PCI, che se da un lato, per sentirsi riformisti, avevano (ingiustamente ndr) buttato fuori dal Partito qualche anno prima i Compagni del Manifesto, dall’altro avevano dato a quel Partito una profonda sterzata a destra, alla ricerca di un accordo con la DC, che non arrivò mai e che portò il Partito alla deriva ed alla sua liquidazione;

Il riformismo del PSI, invece, fu reale; però finì, malamente, nel PDS, ed ancora peggio nei DS; il PCI snaturò la sua storia politica per inseguirlo, ma non ci riuscì mai; a tal proposito, in una celebre intervista a Carmine Fotia, l’ultima prima della sua morte, Craxi dice: “…Io non sono mai stato avversario tenace di Enrico Berlinguer  … io ho sempre cercato di trovare un modo di intesa … di trovare una strada che consentisse di trovare il futuro, perché il presente non offriva le condizioni per quell’alternativa di cui lui parlava e che, nelle circostanze date, avrebbe causato la sconfitta secca della sinistra in Italia…”; quel presente a cui Craxi faceva riferimento nell’intervista, era proprio la situazione di stallo che in quegli anni viveva il PCI, la cui ala riformista era troppo debole ed indecisa rispetto a quella massimalista, fortemente legata all’URSS; quello che si verificò dopo lo conferma: fermata da tangentopoli l’onda socialista, il PCI, che intanto era diventato PDS e che poi diventò DS, quel riformismo lo continuò, male, nel solco tracciato da Craxi; questi, invece, negli anni d’oro del suo governo, il riformismo lo aveva perseguito con forza, ideando il cosiddetto pentapartito; ed accordandosi con Forlani, aveva fatto fuori definitivamente il PCI da ogni possibile futura esperienza governativa nazionale.

Se apriamo un qualsiasi libro di storia contemporanea, leggiamo che il pentapartito nacque nel 1981, quando, durante il congresso del PSI, venne siglato l’accordo fra il democristiano Arbaldo Folani e il segretario socialista Bettino Craxi, con la “benedizione” di Andreotti, tanto che il patto venne chiamato “CAF” (Craxi-Andreotti-Forlani); con questo accordo, la DC riconosceva pari dignità ai cosiddetti partiti laici della maggioranza (Socialisti, Socialdemocratici. LIberali e Repubblicani), ai quali veniva inoltre garantita l’alternanza di governo; con la sua nascita venne, appunto, definitivamente allontanata la possibilità dell’allargamento della maggioranza nei confronti del Partito Comunista, vero obiettivo di Craxi, che riuscì a far passare l’idea che a sinistra una sola forza era in grado di governare, i socialisti; Craxi divenne presidente del Consiglio nel 1983, due anni dopo l’accordo, e vi rimase fino al 1987.

Nel 1994, in piena tangentopoli, andò ad Hammamet, in Tunisia, per sfuggire agli arresti; li morì il 19 gennaio del 2000; esattamente vent’anni fa.

Ora, a voler scorrere all’indietro il nastro della storia, emergono dati inconfutabili, luci ed ombre: a Craxi venne ritirato il passaporto il 12 maggio 1994  per pericolo di fuga, ma era già troppo tardi, perché qualche giorno prima si era rifugiato in Tunisia, ad Hammamet, protetto dall’amico Ben Ali.

Il 21 luglio 1995 Craxi venne giustamente dichiarato latitante, perché è tale chi scappa per non finire in galera dopo essere stato condannato; la fuga all’estero lo sottrasse all’esecuzione delle condanne penali inflittegli, ma non impedì il sequestro dei suoi beni, compresi i cimeli garibaldini, successivamente venduti all’asta.

Le condanne che subì furono numerosissime, di queste, due furono definitive (Eni-Sai e Metropolitana Milanese) per un totale di dieci anni; subì in tutto quattro processi (Enimont, Conto Protezione, All Iberian, Enel); le condanne definitive le ebbe per Eni-Sai: il 12 novembre 1996 la Cassazione confermò la sentenza d’Appello che gli aveva inflitto cinque anni e sei mesi di carcere; per Metropolitana Milanese: la seconda sezione penale della Cassazione confermò la condanna a quattro anni e sei mesi di reclusione, cinque anni di interdizione dai pubblici uffici e quasi dieci miliardi di risarcimento, pronunciata il 24 luglio 1998 dalla quarta sezione penale della Corte d’Appello di Milano per corruzione e illecito finanziamento dei partiti. Ebbe anche tre condanne non definitive, che rimasero tali probabilmente (mi sia consentito) per la morte del reo: la prima per le Tangenti Enimont: il processo arrivò al secondo grado di giudizio; il primo ottobre 1999 la prima sezione della corte d’Appello di Milano lo condannò a tre anni e a una multa di 60 milioni; Craxi era accusato di aver ricevuto per il Psi undici miliardi di finanziamenti illeciti provenienti dalla maxitangente Enimont; la seconda per il cd Conto Protezione: il processo d’Appello è da rifare; il 15 giugno 1999 la Cassazione decise infatti l’annullamento con rinvio della sentenza di condanna a cinque anni e nove mesi, emessa il 7 giugno 1997 dai giudici della seconda Corte d’Appello di Milano; le accuse erano di bancarotta fraudolenta e finaziamento illecito ai partiti per i sette milioni di dollari che nel 1981 finirono nelle casse del Psi, passando da quelle dell’Eni, attraverso il Banco Ambrosiano e il conto Protezione sulla banca svizzera Ubs; la terza per le tangenti Enel; anche questo processo si concluse al primo grado di giudizio: Craxi fu condannato a cinque anni e 5 mesi il 22 gennaio 1999. Un reato si prescrisse, quello per il procedimento cd All Iberian; Craxi fu condannato il 13 luglio 1998 dal tribunale di Milano a quattro anni di reclusione per finanziamento illecito ai partiti; la terza sezione della corte d’Appello di Milano ha dichiarato prescritto il reato. Alla luce di questi dati, delle condanne definitive, Craxi era un latitante, non un esule.

Nel periodo in cui fu Presidente del Consiglio, non certo e non solo per suo demerito, il debito pubblico passò da 400 mila ad 1 milione di miliardi di lire, tanto che si dovettero intaccare le pensioni e prelevare i soldi degli italiani sul conto corrente con il cosiddetto 6 per mille; sarà ricordato, in negativo, il suo mega condono edilizio, per la lottizzazione della RAI e per la legge Mammì, che venne fatta anche per favorire le Tv private e l’ascesa del suo amico Silvio Berlusconi; non si può non menzionare, parlando di cose positive, il nuovo Concordato, che sancì in maniera più giusta e sicuramente più laica, i rapporti tra lo stato e la chiesa, fermi al vecchio concordato sottoscritto nel 1929 da Mussolini. Sui tagli alla cd  Scala Mobile, parlò il Paese, che decretò la sconfitta della linea comunista a vantaggio della proposta craxiana; scala mobile che fu definitivamente soppressa qualche anno dopo.

Affascinanti alcune pagine di storia italiana che lo videro protagonista in politica estera: per me, che non ho mai avuto grande simpatia per i governi americani, Sigonella è stato e rimane un punto di orgoglio: su quell’aereo, circondato dai marines, a loro volta circondati dai nostri carabinieri che avevano l’ordine di sparare sui primi se avessero usato le armi, c’era anche Abu Abbas, guerrigliero palestinese, leader del FLP, una organizzazione filo palestinese che si era svincolata dall’OLP per le sue posizioni più estreme; Craxi negò agli americani, al presidente Reagan, l’estradizione dei palestinesi a bordo dell’aereo, che avevano ucciso un cittadino disabile americano all’interno della Achille Lauro, dicendo che i reati erano stati commessi in Italia ed era giusto che venissero giudicati in Italia, paese sovrano; e così fu; chapeau! Al leader di quel gruppo, Abu Abbas appunto, venne garantita la fuga; gli americani si incazzarono di brutto, ma subirono il decisionismo di Craxi e qualche tempo dopo Bettino fu invitato negli States dal presidente, che preventivamente scrisse la famosa Dear Bettino.

Sempre per la causa palestinese, rimane, per me, quanto meno affascinante ed interessante, l’intervento alla Camera dei Deputati in difesa dell’OLP del 6 novembre 1985: “…Contestare ad un movimento che voglia liberare il proprio paese da un occupazione straniera la legittimità del ricorso alle armi, significa andare contro alle leggi della storia…”, che fece andare su tutte le furie buona parte dei deputati di destra e zitti il PCI, che non poté far altro che applaudire.

Apprezzabile, assolutamente, il suo discorso alla Camera del 3 luglio 1992; il segretario del PSI chiamò ad un appello di correità gli altri partiti quando, nel pieno di tangentopoli, si alzò ed ebbe il coraggio di denunciare in quel luogo un sistema di corruzione diffuso che riguardava tutti i partiti, messo a nudo dall’inchiesta giudiziaria; nessuno raccolse quell’appello: “…Buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale, i partiti specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli … hanno ricorso e ricorrono all’usi di risorse aggiuntive in forma irregolare o illegale, se gran parte di questa materia deve essere considerata puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo, perché presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro…”.

Craxi non fu il solo ad essere condannato, certo, ma sicuramente il politico più autorevole del tempo; oggi Di Pietro dice che non gli fu consentito di toccare Andreotti; ma nulla di così eclatante, con riferimento alle vicende craxiane, accadde ai segretari del PCI, della DC, del PLI, del PRI, del PSDI e di tutti gli altri partiti che non potevano non sapere, per parafrasare una sua celebre frase.

Non è nemmeno così tanto vero che subì solo un processo giudiziario: il suo pensiero politico fu analizzato, sicuramente: è innegabile il ruolo che ebbe nel riformismo italiano; in questo percorso politico, come dicevo sopra, si sovrappose al PCI, che si era “liberato” della sua ala sinistra per inseguire il riformismo, e lo annientò sulla politica delle riforme, buone o cattive che fossero, governando insieme ai partiti del padronato, con il quale lo stesso PCI, il peggior partito comunista d’Europa, come dice una mia vecchia amica, avrebbe voluto governare e non ci riuscì, intaccando le ali ad un processo rivoluzionario che sfociò nella lotta armata, dove, anche in questo caso, il leader socialista fu più abile del suo “avversario” comunista, sovrapponendo alla linea della fermezza, quella del dialogo con le BR; celebre la sua frase: “…Quale fermezza? La fermezza di farlo uccidere!”

Tempo fa, Fausto Bertinotti, già segretario di Rifondazione, fu duramente criticato per una sua espressione riportata parzialmente su Libero: “Il movimento operaio è morto, in Comunione e Liberazione ho ritrovato un popolo”; mi permetto di interpretare il pensiero di Bertinotti, utilizzando il suo concetto di Popolo per questo scritto: in Italia erano tutti, o in gran parte, socialisti, come lo erano stati fascisti; quando Craxi cadde, gli lanciarono le monetine all’uscita dall’Hotel Raphael, allo stesso modo di quando cadde Mussolini, che gli pisciarono sul capo mentre, morto, penzolava a testa in giù a Piazzale Loreto.

Senza voler fare paragoni tra i due, tralasciando il decisionismo che li contraddistingueva e le vignette di Forattini, che li associava, mentre Mussolini pagò giustamente le colpe delle sue scellerate scelte politiche e per queste venne catturato ed ucciso dai Partigiani, che con le loro lotte diedero lustro, libertà e democrazia alla nostra storia, delle quali ancora oggi godiamo nonostante tutto; Partigiani che esaltarono il concetto di Popolo, nel senso di parte politica che si batte, combatte e determina una rivolta per far vincere ideali di libertà e democrazia; Partigiani che furono parte integrante di quel concetto; Craxi non cadde per una rivolta di Popolo, ma, bensì, per un processo giusto, che non sappiamo ancora oggi fino a che punto possa essere stato pilotato, magari anche da quel gruppo economico-politico che faceva capo a De Benedetti, che in quel periodo gestiva La Repubblica, giornale che mise sulla gogna Craxi e tanti altri e che incentivò l’ira della gente, la quale, giustamente o ingiustamente, vide nel leader socialista un capro espiatorio; anche quest’ira, associata a concetti populistici noti, determinò la caduta di Craxi, sancendo l’ascesa del giudice che lo aveva fatto cadere; vicenda che potrebbe ripetersi oggi.

Al Raphael la sera del 30 aprile 1983 non c’era il Popolo, nel senso alto del termine, quel termine che la storia ci ha consegnato, ma la gente; tanta gente che aveva cambiato padrone, forse ingannata, forse delusa, forse derisa; alla quale avevano fatto credere che fosse Craxi e solo lui, il responsabile di tutto il malaffare italiano; quella stessa gente che è pronta ad additare l’untore, senza porsi altri problemi. Sarà questo uno dei problemi della sinistra? Quello di non avere più un Popolo di riferimento ma tanta gente che oggi è con te e domani, se sbagli, anche sol perché non gli hai pagato l’ultima bolletta scaduta, si scaglia contro di te? Forse. Chissà!

Nel film di Amelio si vede poco o nulla di tutto ciò; anche se è bello sotto molteplici aspetti; censurabili, però, alcune libertà interpretative del regista, fra tutte, a mio avviso, il dialetto che affibia al giovane italiano che arrivato ad Hammamet, intravisto Craxi, comincia ad inveire contro di lui e ad insultarlo: il calabrese; la Calabria è una di quelle regioni che più di altre ha amato il leader socialista; anche se prima di Amelio, che è pure calabrese, la cinematografia ha sempre, o quasi, fatto parlare ai brutti, agli stupidi ed ai cattivi, le lingue dei sud del mondo, specie del nostro Sud.

Quella sera al Citrigno, oltre al Presidente della Regione Calabria, c’era buona parte della diaspora socialista della provincia di Cosenza; sicuramente (ma ingiustamente) immedesimatasi nelle sorti giudiziarie del leader socialista.

E’ un vizio degli italiani rivalutare un essere umano, uomo o donna che sia, post mortem; oggi è toccato a Craxi; ma sicuramente sarà così per Berlusconi e poi, via via, dove il termine si può tradurre con il calabro-arbereshe arrassu sia o con l’avverbio che esprime allontanamento (ossia a mano a mano che verranno), con tutti gli altri.

La mia non vuole essere una rivalutazione, ma una analisi, sicuramente parziale, di una storia che ci consegna, a mio avviso, un personaggio abbastanza emblematico ed ingombrante, una sorta di dottor Jeckyl, per alcuni versi, e di mister Hyde, per altri; uno che, però, ha lasciato il suo segno nella storia e sarebbe opportuno e giusto, che a giudicarlo fosse la storia, non certo, e non solo, un giudice.

Viva l’Italia, L’Italia liberata, L’Italia del valzer e l’Italia del caffè L’Italia derubata e colpita al cuore Viva l’Italia L’Italia che non muore Viva l’Italia presa a tradimento L’Italia assassinata dai giornali e dal cemento L’Italia con gli occhi asciutti nella notte scura Viva l’Italia, l’Italia che non ha paura Viva l’Italia L’Italia che è in mezzo al mare L’Italia dimenticata e l’Italia da dimenticare L’Italia metà giardino e metà galera Viva l’Italia L’Italia tutta intera Viva l’Italia ‘Italia che lavora L’Italia che si dispera e l’Italia che s’innamora L’Italia metà dovere e metà fortuna Viva l’Italia L’Italia sulla luna Viva l’Italia L’Italia del 12 dicembre L’Italia con le bandiere L’Italia nuda come sempre L’Italia con gli occhi aperti nella notte triste Viva l’Italia L’Italia che resiste.

Adriano D’Amico