“Credo”, l’ultima spiaggia di Salvini

(Filippo Ceccarelli – la Repubblica) – Nelle più intense e sgangherate campagne elettorali la penultima dea, prima della Speranza, resta la Fede, ma anche quella cui meno conviene affidarsi. «Credo» è invece la parola chiave scelta da Salvini: credo in questo e credo in quello, ma al dunque credo soprattutto in me stesso. A questo punto la tentazione sarebbe quella di allargare le braccia e salutare, anche con gentilezza e perfino in musica, “ciao-ciao”: è di pochi giorni fa la polemica tra il Capitano e la Rappresentante di lista per uso improprio del brano sanremese.

E tuttavia, proprio in quanto estremo, il richiamo fideistico merita un diverso trattamento. Diffuso su milioni di schermi in bianco font paffutello su campo blu e sottolineato in giallo, il “Credo” di Salvini alimenta da ieri una specie di spot in cui compare in finta lettera autografa con caratteri un po’ pellicciosi e proiettato in notturna su quattro luoghi simbolo: l’hub di Lampedusa (immigrazione), la sede dell’Inps (pensioni), l’Agenzia delle entrate (tasse), la stazione di Milano (sicurezza).

Uno speaker con voce profonda declina “Credo” leggendo un testo che per tre minuti circa risuona come un generatore automatico di retorica, “il domani”, “la rivoluzione”, “i sognatori”, “i nostri figli”, “la forza di rialzarsi” eccetera. A metà, esaurita la musica eroica, si riconosce la voce di Salvini che offre il senso del product placement: “Credo che nessun’altra parola come ‘credo’ racchiuda il nostro modo di essere e di fare politica”.

E anche qui, vinto di nuovo l’istinto di un arrendevole congedo, viene da chiedersi se sia farina del suo sacco o di quale altra entità marketizzante tipo Morisi redivivo, Chaouqui o magari l’aggressiva agenzia Artsmedia, basata ad Adria, Roma e Tirana; il “credo” salviniano rientra infatti in un pacchetto che prevede anche un meno impegnativo “ci#credo” e mostra in foto, quali malvagi testimonial, alcuni individui (Letta, Saviano, la ministra dell’Interno) che “non credono” alle credenze della Lega.

Ora, non si vorrebbe qui togliere la gloria ai creativi, ma occorre pur dire che questa storia, come tantissime altre, se l’era già inventata Berlusconi anni orsono, per l’esattezza nel 2004, quando nelle manifestazioni, sull’onda del coro, erano chiamati sul palco quattro giovanotti scelti dopo accurato casting (la ricciolona, il primo della classe, il riccetto nerd, la biondina) ai quali veniva fatto declamare – vedi vedi – il “credo laico”, breve testo attribuito al fondatore anche se di sospetta stesura adornatiana (da Ferdinando Adornato, allora deputato del Pdl).

È vero pure che in campagna elettorale tutto fa brodo. Però, diamine, colpisce che un’invocazione così solenne, quasi religiosa, sia riscappata fuori proprio nel momento in cui la fiducia nella politica versa nel peggior stato possibile e nessuno crede più, come si dice a Roma, neppure al pancotto.

Come ovvio, la faccenda non riguarda solo il leader della Lega, che pure nelle sue apparizioni social casca così spesso sull’uso e l’abuso di oggetti sacri, crocifissi, presepi, rosari, madonne, da figurare nelle relative e plausibili parodie come il “Mago Salvino”, sensitivo e cartomante. Più realisticamente, il punto è se con il suo “credo” non chieda troppo non solo ai suoi elettori, ma specialmente a se stesso.

Comunista padano con orecchino, poi capitan Fracassa anti-terrone, poi indipendentista antinazionale per poi figurare, anche col dispiego dei più vistosi costumi di scena, dalle felpe localistiche alle uniformi militari, come campione di patriottismo sovranista, difesa dei sacri confini e lancio di corone d’alloro nel Piave, seppur con un occhio alla Russia di Putin.

E tutto ciò prima che prendesse il via la quotidiana fantasmagoria social, mitra e peluche, Milan e cassette di fichi fioroni, dialoghi con le mucche, mojito, una metamorfosi appresso all’altra, fino alla svolta europeista, poi a quella del partito repubblicano americano (febbraio), poi a quella dietro Papa Bergoglio (marzo). Poi “credo” – e d’accordo che è la campagna elettorale, ma di cosa altro c’è bisogno per capire che dietro alle parole si nasconde la più spaventosa insignificanza?