Cetraro. Il boss Muto e la giustizia nel racconto di Silvio Aprile: “Al giudice Belvedere gli arrivavano le cassette piene di pesce”

Continuiamo a raccontarvi altri particolari, decisamente gravi e pesanti, relativi alla gestione della procura della Repubblica di Paola degli anni Ottanta. Questi particolari erano ritornati di attualità all’indomani della scarcerazione del boss Franco Muto, tornato nella sua Cetraro per quello che verosimilmente sarà il suo ultimo viaggio terreno. E a maggior ragione non possono certo passare in cavalleria tutti i decenni nel corso dei quali Muto ha fatto quello che voleva con il supporto di una magistratura marcia e corrotta. E tornano di attualità anche oggi, all’indomani della scomparsa di Silvio Aprile, coraggioso testimone di giustizia che aveva raccontato molti fatti importanti inseriti nel cosiddetto rapporto Scippa. Tutti episodi emersi all’epoca delle indagini sull’omicidio Losardo, il segretario capo della procura paolana, eliminato perchè aveva osato sfidare il potere di mafia e stato uniti nella corruzione e nel malaffare.

BELVEDERE E IL BAR-RISTORANTE-ALBERGO DI ANGELO ZAVATTO

Il “rapporto Scippa” (dal nome del carabiniere che lo ha redatto) presenta circostanze a dir poco incredibili allorquando si occupa del pregiudicato Angelo Zavatto, titolare di un bar-ristorante-albergo di Cetraro, indicato come luogo di incontro dei malavitosi locali, a cominciare da Franco Muto e dei suoi gregari (“tra cui spicca – si legge nel rapporto – lo stesso Zavatto) e di camorristi del clan Cutolo.

Ma vediamo cosa scrive il rapporto.

“Nell’albergo spesso hanno preso alloggio individui della malavita locale e del napoletano, e in particolare dei paesi vesuviani, sospettati di appartenere alla camorra, senza che venisse inviata al competente ufficio di polizia la relativa scheda. E infatti lo Zavatto è stato denunciato alla procura della Repubblica di Paola per favoreggiamento personale perchè dava alloggio, senza notificarne la presenza, al cutoliano Francesco Longobardi…”.

Ed eccoci, come sempre, al puntuale “quadretto edificante” del giudice Luigi Belvedere, onnipresente quando si tratta del clan Muto.

“In occasione di un colloquio avvenuto nella caserma dei carabinieri di Cetraro, dopo la perquisizione in casa dello Zavatto effettuata il 9 marzo 1984, Pasqualina Spensierato, coadiutrice di Angelo Zavatto, ha riferito ai marescialli Sgambati e Massaro che il ristorante di Zavatto era frequentato dal sostituto procuratore Luigi Belvedere. La Spensierato ha sostenuto di essere amica del sostituto perchè, a suo dire, la madre aveva lavorato per alcuni anni alle dipendenze dello stesso magistrato, aggiungendo che il dottor Belvedere ha cenato alcune volte nel ristorante del suo convivente mentre altre volte quest’ultimo aveva provveduto a inviare vivande a casa del magistrato, in occasione di particolari ricorrenze“.

MUTO ACCUSAVA BELVEDERE DI CORRUZIONE “Sono stati poi interrogati Silvio Aprile e Franco Zavatto, rispettivamente cognato e fratello di Angelo Zavatto.

Silvio Aprile, gestore del bar pasticceria “Centrale” e del bar rosticceria “I mulini” di Cetraro, ha detto di essere a conoscenza che il cognato Angelo Zavatto ha realizzato alla Marina di Cetraro vari immobili in violazione delle norme urbanistiche, in parte occupanti suolo demaniale e alcuni dei quali destinati a bar, ristorante e albergo. Ha detto anche di essere a conoscenza dello stato di latitanza di Franco Zavatto, in quanto imputato con Franco Muto, Dario Ricioppo e altri di associazione per delinquere e di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti…”.

“Angelo Zavatto è stato, per lungo tempo e fino alla vigilia del processo subito, amico del sostituto procuratore Luigi Belevedere. Infatti, tre o quattro giorni prima che iniziasse il processo, nel quale il dottore Belvedere era pubblico ministero, lui, Aprile e il cognato Franco Zavatto erano andati a far visita al giudice Belvedere nella sua villa di San Lucido per raccomandargli il cognato, sapendolo amico del magistrato. “Adesso vedremo” aveva risposto il giudice. Secondo quanto gli era stato riferito, al processo il dottor Belvedere aveva chiesto la condanna alla pena di 5 anni e 8 mesi per tutti, la qual cosa aveva irritato il Muto, che, sempre secondo le informazioni ricevute, aveva accusato il dottor Belvedere di corruzione con l’affermazione che gli arrivavano le cassette piene (di pesce, ndr)…”. 

“L’amicizia tra Angelo Zavatto e il dottor Belvedere risaliva a data remota, tanto è vero che quando il magistrato organizzava dei ricevimenti in casa, Angelo Zavatto gli mandava gratuitamente le vivande (pesce fresco e frutti di mare già cotti), com’era avvenuto l’ultima volta circa due anni addietro, in occasione della prima comunione del figlio di Belvedere, mentre lui (Silvio Aprile, ndr) provvedeva al trasporto, con la sua autovettura, dei dolci, dello champagne e addirittura dei camerieri, pure gratuitamente. Ricordava che la moglie del dottor Belvedere si era lamentata perchè egli le aveva fatto pagare soltanto le bomboniere, peraltro con notevole sconto.

In precedenza, per quattro o cinque anni consecutivi, la moglie del dottor Belvedere e anche lo stesso magistrato erano andati a trovarlo nel bar Centrale, in occasione di varie festività come Natale, Capodanno, Pasqua e avevano prelevato cassette di liquori, confezioni regalo e altro per importi oscillanti tra le quattrocento e le cinquecento mila lire e solo qualche volta avevano pagato non più di centomila lire”.

Il rapporto dei carabinieri infine parla delle condanne date agli imputati ma anche dei benefici di libertà provvisoria di cui hanno potuto godere, guadagnando in qualche caso la latitanza.