Italia sì Italia no. Così una telefonata potrebbe far cambiare idea a Draghi

Una telefonata allunga la vita. Ma nel caso del governo Draghi dovrebbe avere un prefisso internazionale. Mentre la crisi italiana diventa un affare europeo e mondiale le elezioni sono uno scenario sempre più vicino, il presidente del Consiglio è sempre più lontano da Palazzo Chigi. Gli occhi sono puntati su mercoledì 20 luglio: è il giorno in cui Mario Draghi si presenterà in Senato. Ad oggi, per definire irrevocabili le dimissioni date giovedì in consiglio dei ministri e respinte da Mattarella. Ma affinché la storia abbia un finale diverso c’è ancora uno spiraglio. Che viaggia su due direzioni distinte. La prima sono le repliche dei partiti al discorso che Draghi sta preparando. Se dovesse registrare un atteggiamento diverso il premier potrebbe ripensarci. La seconda direzione è invece internazionale. E passa per un colloquio con chi potrebbe convincerlo a riprovarci.

Un retroscena de La Stampa racconta oggi che alla camera ardente di Eugenio Scalfari il premier è stato avvicinato da un suo sostenitore. «Tenga duro, presidente», gli ha detto. La risposta è stata perfettamente alla Draghi: «Cosa intende? Tenga duro e faccia marcia indietro dalla mia decisione? Oppure tenere duro e confermare le dimissioni?». La verità è che il premier non crede molto nei “tempi supplementari” evocati dal più draghiano dei leghisti, ovvero Giancarlo Giorgetti. Per lui la partita è finita. Anche perché, come ha ricordato Open, c’è il fantasma di un altro SuperMario. Fu Monti a essere chiamato come l’uomo della provvidenza per salvare il paese in quel novembre 2011 in cui sembrava che la crisi dello spread dovesse spazzare via tutto. Lo stesso Monti che un anno dopo venne mollato da tutti i partiti alla vigilia delle elezioni.

Washington e Ue

Altrimenti ci sono le elezioni. In programma per l’ultima settimana di settembre o per la prima di ottobre. Per consentire all’eventuale nuovo governo uno spiraglio temporale per fare la legge di bilancio 2023 ed evitare l’esercizio provvisorio. Questo, ovviamente, se e soltanto se le urne avessero un esito chiaro e inequivocabile. Perché se succedesse quello che è successo nel 2018 allora bisognerebbe attendere il 2024 per avere un nuovo governo in carica. Intanto però il Corriere della Sera tratteggia un altro scenario. Quello in cui il premier potrebbe convincersi a restare soltanto se una telefonata internazionale gli facesse cambiare idea. Di chi? Da Washington o dall’Europa, è il ragionamento. Una conversazione con Macron è stata già programmata (e forse potrebbe essere già avvenuta nel frattempo). Ma se si svolgerà, sarà fuori dal cerimoniale diplomatico.

Sì, perché Draghi da sempre usa il suo cellulare quando deve sentire gli altri capi di Stato. D’altro canto in tutto l’Occidente si esprime preoccupazione per il possibile addio del premier. E non solo per le possibili conseguenze sulla tenuta economica dell’Italia. Roma, dall’inizio della guerra in Ucraina, si è schierata con nettezza con la Commissione Ue nel sostegno, anche militare, a Kiev. In un momento in cui le istituzioni europee temono che, tra la popolazione del Vecchio continente, possa serpeggiare una certa stanchezza nel supporto all’Ucraina e una certa riottosità al sacrificio economico, la perdita di un uomo come Draghi assume ancora più rilevanza.

Comunicazioni in anticipo?

Intanto il premier lunedì volerà ad Algeri con una pattuglia di ministri, per chiudere una serie di accordi con gli algerini non solo in materia di gas. Una missione inizialmente prevista in due giorni. Invece, come ha fatto sapere l’esecutivo ieri, si ridurrà a un giorno solo. Alimentando così le ipotesi di un anticipo delle sue comunicazioni che invece dovrebbero rimanere fissate a mercoledì. Una volta spiegate le sue ragioni, e rivendicato il lavoro fatto in 17 mesi per far fronte alla pandemia, e poi alla guerra e alle sue conseguenze economiche, il premier salirà al Colle, questo lo schema, per rassegnare le sue dimissioni. Senza aspettare il voto.

Ma chi porterà il paese alle elezioni? L’ipotesi di un “traghettatore” nei panni dell’attuale ministro dell’Economia Daniele Franco per arrivare almeno a fine anno e mettere in sicurezza i conti non avrebbe trovato sostegno tra le forze politiche. «Se non ci è riuscito Draghi – osserva più di un parlamentare con l’agenzia di stampa Ansa – impossibile che ce la faccia Franco, nessuno ci starebbe». Avere Draghi fino all’autunno, osserva un senatore, resterebbe comunque una «garanzia». Per andare al voto e correre poi per avere Camere e governo nel pieno delle funzioni almeno attorno alla metà di novembre. E consentire così di varare una manovra, anche «light». Scongiurando l’esercizio provvisorio.