Lettere a Iacchite’: “L’economia al tempo del virus: occasione irripetibile o disastro?”

L’ECONOMIA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS: DISASTRO O OCCASIONE IRRIPETIBILE?

Non vi è dubbio che il tempo che viviamo sia sconvolgente, storicamente nuovo e, si spera, unico. Altre pestilenze hanno afflitto l’umanità, come tramandato dalla letteratura oltre che dagli storiografi, ma all’epoca non c’erano gli aerei, le connessioni superveloci, internet. Tutto è stravolto, i ritmi sociali, lavorativi, esistenziali. L’economia è sovvertita. Intendiamoci, non è che si sia fermata, si è trasformata. Sono bastati poco più di due mesi di pandemia per stravolgerla. Eppure, come è vero che “dai diamanti non nasce niente e dal letame può nascere un fiore”, questo mostro a RNA, invisibile ma dagli effetti ben tangibili, qualche insegnamento al genere umano potrebbe darlo. Non c’è bisogno di una laurea in economia per capire che se alcuni soggetti commerciali, penso ai barbieri o agli ambulanti, vivono una condizione di grande difficoltà, gli affari stanno andando col vento in poppa ai produttori di mascherine, anche al netto di vergognose speculazioni. Se la borsa è oggi in ribasso, possiamo ben immaginare come voleranno in alto le azioni delle case farmaceutiche quando metteranno a punto il vaccino. Molte cose “curiose” stanno accadendo. Nel Golfo di Napoli l’acqua è azzurra e cristallina come non si era mai vista. Similmente sta accadendo nella laguna veneta dove pesci e uccelli acquatici sono tornati a popolare i canali della Serenissima (Ansa 18/3/2020).

L’inquinamento dell’aria si è  drasticamente ridotto, con punte elevatissime nelle zone a più alta industrializzazione. Di notte si possono osservare stelle e satelliti con una nitidezza del tutto nuova. Eppure non più tardi di qualche giorno addietro l’amministratore di una compagnia aerea, in un’intervista televisiva, preannunciava disastri a causa della diminuzione del 70% dei voli. Altri mostrano grande preoccupazione perché il prezzo del petrolio è sceso troppo (sic!). È stupefacente vedere come fino a ieri tutti facessero il tifo per Greta Thumberg e le sue battaglie ecologiste, e oggi si mostrano disperati nel constatare che la pandemia ha indotto quegli stessi cambiamenti auspicati dalla ragazzina svedese. Il coronavirus sta ridefinendo l’ordine valoriale dell’economia per come era stato strutturato dall’occidente e a seguire dai paesi emergenti. Ciò che sembrava irrinunciabile, insostituibile, ineludibile, da due mesi non esiste. Si pensi, ad esempio, a tutto il sistema che ruota attorno al calcio professionale. Al contrario, la filiera alimentare (agricola e zootecnica, la trasformazione, la distribuzione e la vendita) non si è mai fermata perché è necessaria.

La sanità non solo non si è fermata ma ad essa è stata e viene richiesta un’attività superiore alle sue capacità. Neanche la scuola e l’Università si sono fermate continuando ad operare sia pure “a distanza”. In buona sostanza, ci piaccia o meno, il virus ha brutalmente separato con un colpo di scure ciò che per una società è essenziale da ciò che non lo è. Con questo non voglio dire che l’inessenziale non possa essere bello o auspicabile, dico semplicemente che è folle una società che non consideri preziose le cose essenziali (cibo, salute, istruzione, ambiente) e attribuisca somma importanza a cose che necessarie non sono. Negli ultimi 30 anni abbiamo assistito al progressivo e sistematico smantellamento della sanità pubblica (che sostanzialmente ha retto ma non sempre e dovunque) a favore di quella privata (cosa sta facendo?).

Alla mortificazione del sistema scolastico con classi sempre più “pollaio” e docenti costretti a operare in contesti sempre più difficili. Il comparto agricolo-zootecnico italiano, che vanta eccellenze invidiate e imitate in tutto il mondo, è stato continuamente messo in difficoltà da una globalizzazione economica incontrollata, incurante del rispetto della natura e del pianeta, e da veti assurdi (vedi “quote latte” o divieto della pesca di specie non a rischio estinzione vedi “sardella”). Solo adesso stiamo assistendo ad una reale crescita del “kilometro zero”, tanto declamato ma mai realmente incentivato. Il coronavirus finirà, prima o poi.

Torneremo a popolare cinema e ristoranti. Dimenticheremo la lezione? Permetteremo ancora una volta a decisori politici nazionali e sovranazionali di massacrare i settori essenziali dell’economia e della società? Si tornerà a dare somma importanza all’effimero, al superfluo, allo spreco, all’inutile e al dannoso? Sono troppo in là negli anni per non dire: “purtroppo, credo di si”. Ma non abbastanza per non sperare che qualcosa possa cambiare. Si badi, non confido nella mia generazione, che ha causato ciò che è al momento sotto gli occhi di tutti. Ho fiducia invece nei nostri giovani, convinto come sono che essi soltanto possano prendere in mano il loro destino, e quello dei propri figli, facendo molto meglio dei loro predecessori. I giovani sognano e sognando possono cambiare il mondo, è già successo, tante volte. E poi, sognando, resto giovane anch’io.

Roberto Brusco