2006: un giorno e una notte nello zoo umano di Crotone (di Francesco Cirillo)

di Francesco Cirillo – 11 dicembre 2006

Sabato 9 dicembre. La Rete Antirazzista della Calabria e della Campania ha organizzato una manifestazione davanti il CPT di Crotone per protestare contro la detenzione di immigrati all’interno di questi centri istituiti prima ,dalla legge Turco-Napolitano e poi dalla Bossi Fini. Si chiede prima di tutto al governo Prodi di chiudere immediatamente i CPT e trasformarli in centri di prima accoglienza con una logica ed una mentalità del tutto diversa, affidandone la gestione non a cooperative mangiasoldi ma ad associazioni che si occupano di antirazzismo concretamente nel territorio.

L’appuntamento è alle 10 a Cosenza all’uscita dell’autostrada. Io sono lì puntuale. La prima ad arrivare è Heidi Giuliani. La mamma di Carlo diventata ora senatrice della Repubblica. Dopo poco giunge Caruso, deputato indipendente del PRC. Con loro Emilia Corea e Michele Santagata della Kasbah, un’associazione che si occupa di accoglienza agli immigrati e che da anni è l’unica nel territorio calabrese che lo fa con enormi sacrifici e senza i necessari contributi. Insieme con altri giovani si parte per Crotone.

L’intenzione è quella di entrare dentro il centro e verificarne lo stato in cui versano gli immigrati. Davanti al centro cominciano a giungere delegazioni di centri sociali e di associazioni della calabria e della Campania. Con un pullman arrivano i giovani della Rete Antirazzista della Campania, con auto i giovani del Centro Sociale Cartella da Reggio calabria, altri da Catanzaro, da Lametia. In tutto un centinaio che cominciano a stazionare davanti al centro.

I parlamentari Heidi e Caruso sono accolti dai dirigenti del centro sul cancello d’ingresso. Al loro seguito io e Emilia Corea in rappresentanza della Rete Antirazzista calabrese e campana. Il centro è molto grande, è considerato per estensione e capacità di accoglienza il più grande d’Europa. Il terreno era di proprietà dell’Aeronautica ed è l’ideale per questo tipo di operazioni, in quanto proprio di fronte vi è l’aeroporto di Crotone e quindi utile per riportare in patria gli immigrati che vengono espulsi. E’ come una fabbrica di tonno in scatola. Si prende dal mare l’immigrato, lo si confeziona, nel centro e poi si rimanda inscatolato al suo paese d’origine.

Il primo centro che decidiamo di visitare è quello chiamato Centro di prima accoglienza (CPA). In corteo ci dirigiamo verso il centro. Siamo scortati da un nucleo esagerato di digos, poliziotti, dirigenti del centro, volontari della Misericordia e della Croce Rossa, oltre che dal direttore gestore del centro e dal prefetto vicario. Tutti ci dimostrano con estrema gentilezza la loro disponibilità a farci capire il complesso funzionamento del centro. L’impatto con gli immigrati del centro è veramente terribile.

Appena entrati in questa enorme distesa di containers dove vivono 460 immigrati si avverte un aria diversa. Gli immigrati prima ci guardano con una certa diffidenza, pensando ad un ispezione interna, ma quando capiscono che siamo “altro” dalla dirigenza interna cominciano ad avvicinarsi, fino a quando una folla di cento, duecento persone ci inghiotte. Heidi, Emilia, Caruso ed io veniamo presi da questa gente che comincia a parlarci in tutte le lingue del mondo. In francese, spagnolo, inglese, eritreo, arabo. Sono pugni nello stomaco. I loro volti, i loro occhi si stampano, anzi si incidono scarnificandoci nella nostra pelle. Tutti cacciano un foglio, un tesserino, un documento, un qualcosa, per dimostrare di essere vivi prima di tutti, di avere un cuore, un polmone, un fegato come tutti noi, poi di aver svolto lavori in Italia, o di possedere domande per un soggiorno o di voler raggiungere propri familiari in Germania o in altre parti della fortezza Europa.

Tutti ci parlano della loro storia, delle loro case lasciate per i nostri bombardamenti o per le nostre imprese occidentali, o per gli odi etnici che noi stessi abbiamo messo in moto alla ricerca del petrolio o dell’oro. Restiamo intontiti. Emilia, una ragazza che si occupa di immigrati nell’ Associazione La Kasbah di Cosenza, comincia con la sua dolcezza a parlare in inglese raccogliendo i primi casi. Non possiamo occuparci di tutti, facciamo capire loro e decidiamo di indirizzarci verso casi estremi. Cominciamo dalle donne incinte, poi i bambini e infine i casi di salute. Chiediamo quante ce ne sono di donne incinte e di bambini. Ne vengono fuori 9. Tutte giovanissime.

Alcune di loro sono di otto mesi. I bambini sono 12 di cui 2 sono ricoverati in ospedale . Le donne incinte ci raccontano il loro arrivo. Hanno dovuto affrontare in quelle condizioni, dall’Eritrea paese dal quale provengono fatiche immense attraversando il deserto per raggiungere la Libia. Da qui partono quelle carrette che vediamo giungere a Lampedusa. Viaggi della speranza come quelli fatti dai nostri bisnonni in America. Almad, Abeba, Tsega, Helen, sono ragazze che potrebbero essere Madonne di qualche film, che vanno tanto di moda nei periodi natalizi. Anche la Madonna, con in grembo Gesù ha attraversato il deserto per sfuggire ad una guerra ed è giunta in un luogo dove ha trovato ostilità ma anche ospitalità.

Queste ragazze sono le nostre Madonne che portano nel loro grembo nuovi gesucristi. Prendiamo i loro nomi, vedremo poi la loro situazione burocratica all’interno dl centro. La folla intanto si è fatta veramente enorme attorno a noi e decidiamo di visitare un container per sganciarci dalla massa che non riusciamo più a contenere. Nei containers vivono fino a 9 persone in modo promiscuo. I dirigenti del centro ci dicono che sono loro a decidere come sistemarsi, ed è probabile che lo facciano per nuclei familiari,ma comunque ci sembra una situazione invivibile. I bagni sono esterni ai containers ed immaginiamo le difficoltà per una donna incinta di otto mesi uscire di notte dal container per recarvisi. Chiediamo immediatamente alla dirigenza di far spostare queste donne in un centro esterno, in una casa di accoglienza che ne esistono in Calabria.

Emilia fa notare che nella casa di accoglienza, da loro gestita vi sono le possibilità di poterle ospitare, ma fa anche notare come stranamente queste richieste non siano mai giunte, nonostante i dirigenti del centro abbiano dichiarato di averne fatto richieste a diverse strutture…

… Fuori il presidio della rete antirazzista si è intanto ingrossato. Sono più di un centinaio ed in appoggio alla nostra azione interna bloccano per un ora la statale 106. Anche loro hanno deciso di passare la notte lì fuori e montano subito le tende approntando anche una piccola cucina da campo a base di Kebab.

Michele in queste cose organizzative non lo frega nessuno….

Intanto si fa sera. Tutti gli immigrati hanno già cenato. Ed ora si raggruppano nella sala dove esiste una sola televisione. 25 persone a decidere ogni sera che programma vedere fra centinaia di film, documentari, spettacoli vari. Una discussione ogni sera che alcune volte è sfociata in qualche rissa.

Ma facciamo osservare ai funzionari del centro che anche in una piccola famiglia italiana è complicato trovare l’accordo su cosa vedere, stando comodamente seduti su un divano di classe. Qui hanno dovuto blindare la TV, incassandola nel muro e chiudendola con una doppia serratura. La sera un addetto della Misericordia la apre e da il telecomando ad uno di loro. Faccio osservare che sarebbe giusto mettere una Tv in ogni stanza.

Il prefetto vicario ed il direttore del CPT ci chiedono se vogliamo cenare anche noi con gli immigrati e così facciamo. Gli immigrati scendono in mensa a gruppi di 25 e noi ci troviamo con un gruppo del modulo B1. La mensa distribuisce pasti pre riscaldati provenienti da fuori. Sono tutti incellofanati come avviene in tutte le mense. Un piatto di pasta e melanzane come primo, un secondo di formaggio e prosciutto ed una grossa arancia.

Cominciamo ad avvertire la stanchezza. Sono le 21 appena ma stiamo da 9 ore a girare come pazzi nel centro. Ritorniamo al nostro modulo e ci accampiamo nella sala. Qui gli immigrati ci portano due materassi che mettono a terra. Ci sistemiamo con le nostre poche cose sui materassi. Più tardi la Misericordia ci porterà delle coperte e dei cuscini. Con noi resterà solo il sostituto del prefetto vicario giunto appositamente a dare il cambio. Per proteggerci, ci dicono, durante la notte (da chi ?) ci mandano tre giovanotti della digos vestititi come si vestono i poliziotti quando li mandano alle nostre manifestazioni. Jeans, borse di tela a tracolla, orecchini, felpe con cappucci, cappellini di lana. Il prefetto vicario si allunga su una panca, noi ci adeguiamo sui materassi.

Caruso per motivi opposti 11 anni prima di Salvini

Un deputato che dorme a terra non lo hanno mai visto. La notte passa tranquilla ed alle otto in punto Emilia fra le rimostranze di Caruso dà la sveglia. Fatta una fugace colazione a base di caffè, ritorniamo subito nel CPA e negli uffici per avere già i primi riscontri sui fascicoli richiesti. La notte, ci fanno sapere i compagni fuori, è passata tranquilla ed ora sono già al lavoro per rimettere gli striscioni, le bandiere, lanciare attraverso i microfoni gli appelli per la chiusura del centro. La loro voce si sente dall’interno e riusciamo nel nostro giro anche ad identificare chi sta parlando e cosa dice.

Nella verifica fatta anche qui saltano fuori enormi contraddizioni che lo stesso prefetto non può che far evidenziare anche di fronte a noi stessi. Anche in questo caso l’impegno è quello di risolvere tutti i casi venuti alla luce. Finiamo il nostro lavoro alle 14. Dal governo qualche altra voce si è fatta sentire. Il tam tam nei giornali è stato enorme e tutte le Tv se ne sono occupate con interviste e filmati. Il nostro scopo è stato pienamente raggiunto ora attendiamo tutti dal governo di centrosinistra fatti concreti.