Abramo, i nodi della vertenza. Da Montalto a Crotone, restano in bilico 3.500 lavoratori

Abramo Customer Care - Ex Datel Crotone

di Antonella Scalzi

Fonte: Gazzetta del Sud 

Un’estate di timori che rischia di sfociare in un autunno senza soldi e in un inverno a rischio fallimento. È il percorso a ostacoli che sta terrorizzando i 3.500 lavoratori dell’Abramo customer care. Da Montalto Uffugo a Crotone passando per Catanzaro dietro quelle postazioni, che ora stanno riprendendo vita nonostante l’emergenza sanitaria da Covid-19, c’è il dramma di donne e uomini non più giovanissimi che dopo anni di tranquillità ora fanno i conti con stipendi ancora da erogare. Temono pure che già dal mese prossimo possano ritrovarsi senza salario e senza ammortizzatori sociali. I sostegni sarebbero d’altronde la conseguenza di un fallimento che ancora non c’è. Le prospettive però sono tutt’altro che rosee e così con il terrore negli occhi ripensano agli stipendi ancora congelati e alle commesse che scarseggiano, mentre il mondo non si ferma. Da qui il timore di restare stritolati dalla macchina a ciclo continuo delle scadenze di mutui e bollette.

Sullo sfondo notti insonni di chi si è già rivolto a uno psicologo. Sentono che la Abramo customer care sta arrivando al capolinea, ma sperano di sbagliarsi al punto che sulla tutela della loro privacy non transigono. Dietro a quei computer ci sono oltretutto pure famiglie nate proprio dalla comunità della Abramo customer care. Lì sono scoccate scintille diventate famiglie ora angosciate dal futuro e divise tra la voglia di crederci ancora e i dubbi sempre più complessi che per qualcuno riguardano pure la possibilità di incassare il trattamento di fine rapporto.

Intanto, con il cuore in gola stanno per dire addio allo smart working e ammettono “di avere paura” per la loro salute. Un focolaio Covid alla Abramo customer care d’altronde si è già registrato diversi mesi fa e, ora che c’è aria di chiusura, nonostante la richiesta di concordato avanzata dall’azienda per avere più tempo e riuscire a sostenere una sorta di piano di rientro dal debito, i lavoratori che quel cluster l’hanno vissuto, eviterebbero volentieri altri rischi, consapevoli come sono che proprio gli stipendi rappresentano la spesa maggiore. Da qui, il conto alla rovescia per un concordato che impone di trovare una soluzione entro fine anno. Meno di cinque mesi fanno temere il peggio ad esempio a chi la prima cuffia l’ha indossata a 26 anni e ora che ne ha 45 non crede più di avere la forza per reinventarsi. Così sono in molti quelli che provano a fare i conti in tasca all’azienda nonostante ora l’erogazione degli stipendi si sia regolarizzata. Lo spettro del Durc non in regola poi alimenta quel grido di chiarezza che sale dal basso e unisce lavoratori che continuano a chiedersi “dove siano finiti i soldi”. Vivono in una gabbia di perché costellati da movimenti che provano ad analizzare ma che non capiscono mentre la realtà parla di poche commesse rimaste. Da qui la previsione di un 2022 durissimo fatta da chi in fondo chiede soltanto “di non essere considerato un numero” anche in virtù del fatto che in base alle ore lavorate i loro stipendi netti variano da 700 a 1.200 euro…