Calabria 2020, le tre anime del M5s e il difficile ruolo di Di Maio (di Matteo Olivieri)

di Matteo Olivieri 

La votazione di ieri sulla piattaforma Rousseau ha ufficializzato la presenza di tre linee di pensiero all’interno del M5S. La prima, quella dei malpancisti, che si sono spesi in favore della non partecipazione al voto delle regionali come modo per rimettere in discussione i rapporti di forza all’interno del movimento e le sue dinamiche non sempre trasparenti; la seconda, quella dirigista, che invece è a favore della partecipazione alla tornata elettorale regionale, riservandosi però il diritto di nominare dall’alto un proprio candidato presidente; infine la base, che pure preme per la partecipazione alla tornata elettorale ma chiede di poter compartecipare alla scelta del candidato attraverso le graticole e il voto online, e soprattutto chiede che il candidato scelto – chiunque esso sia – sia espressione del mondo pentastellato.

Tutte e tre hanno qualcosa di condivisibile da reclamare: i malpancisti rivendicano il ritorno ai valori originari del movimento, evidentemente persi per strada; i secondi desiderano che certi modi deleteri della democrazia diretta vengano evitati; i terzi chiedono di eleggere un candidato identitario, uno in cui identificarsi e che li rappresenti realmente poiché incarna davvero gli ideali del movimento.

La convivenza delle tre anime riesce quando le rispettive aspettative vengono confermate, attraverso la selezione di candidati competenti e agguerriti mediante procedure trasparenti. Il mondo pentastellato entra invece in crisi ogni qual volta che una delle tre anime cerca di avere il sopravvento, intestandosi meriti e vittorie a discapito delle altre. Anche ieri è successo questo, quando è cominciata la corsa ad attribuirsi il merito della vittoria del Si alla partecipazione alle elezioni.

Giova dunque ricordare che in quel Si ci sono tanti attivisti che non digeriscono eventuali nomine dirigiste calate dall’alto né metodi di lavoro politico non inclusivi, non partecipati, non condivisi. Insomma, tanti non vogliono che chi decide rappresenti solo se stesso e non la base. Vogliono candidati in grado di parlare a tutti i calabresi, figure indipendente da logge e cricche di potere, super partes, dai modi non ondivaghi di pensare e agire. Dunque, quel sì non è una cambiale in bianco ma un monito ad evitare che persone inadatte a fare squadra o a lavorare in gruppo, finiscano per rappresentare il M5S, la cui prassi è tutt’altra.

Se il lavoro che aspetta il M5S alla Regione è quello di far crescere una nuova classe dirigente per il bene della Calabria, servirà allora farsi rappresentare da persone realmente interessate a lavorare a tal scopo. Il capo politico del M5S Luigi Di Maio queste cose dovrebbe saperle già, ma gliele vogliamo ricordare lo stesso, ora che si appresta a dire l’ultima parola sulla formazione della lista calabrese alle prossime elezioni regionali.

Il rischio concreto è che – qualora non si presti attenzione a tutti i segnali provenienti dalla base – il M5S o non riesca a sfondare alle elezioni regionali, o che addirittura neppure entri in consiglio regionale, rimandando così di altri 5 anni la rivoluzione culturale che noi tutti attendiamo. Un tempo infinito, che nessun calabrese è più disposto ad accettare!