Calabria 2021/22. La “vigna” di Robertino e la famiglia Posteraro, bancomat (e “lavatrice”) di stato del re dei parassiti

Ora che – finalmente – anche il porto delle nebbie di Cosenza si è accorto che all’Amaco c’è un “buco” impressionante tanto da chiederne il fallimento, è più che mai doveroso e opportuno ricostruire le tappe che hanno portato al sodalizio tra il colletto bianco ormai ex amministratore dell’Amaco e il fratello del cazzaro, il famigerato parassita sociale eletto presidente alla Regione Calabria per conto della borghesia massomafiosa. 

I riflettori nazionali si erano già aperti sulla molto presunta attività imprenditoriale di Robertino Occhiuto nel campo vinicolo (nel senso autentico di vigna), con tanto di indagini aperte dell’antiriciclaggio della Banca d’Italia, (https://www.iacchite.blog/calabria-2021-robertino-e-la-famiglia-posteraro-bonifici-sospetti-indaga-lantiriciclaggio-di-bankitalia/) e a stretto giro di posta era arrivata la notizia della provvidenziale cessione a un imprenditore lucano della vigna, dopo voci insistenti di “bancarotta” o quantomeno di “dissesto” delle cantine del presidente-parassita della Regione Calabria. A questo punto, può partire il racconto. 

C’è un vino buonissimo dell’antica cantina Tenuta del Castello, una cantina del 1898 di Montegiordano, centro dell’Alto Jonio Cosentino. Noi avevamo preso informazioni e avevamo scoperto che il titolare della cantina era l’ingegnere Giovanbattista Solano, anzi, dovremmo dire l’ex titolare, visto che ha venduto la cantina ad una famiglia cosentina “impegnata”. Ma chi sarà mai questa famiglia “impegnata”? Forse impegnata in politica? All’inizio potevamo solo sospettare che fosse la famiglia degli Occhiuto, visto che Robertino iniziava a parlare con insistenza di… vino.
In ogni caso, questa famiglia “impegnata” ha fatto un grosso investimento (e ci si chiedeva anche con quali capitali) nel vino.

A distanza di tempo, un insperato aiuto nella ricerca della verità ci è arrivato proprio da un esponente di spicco della famiglia “impegnata”, al secolo Robertino Occhiuto, deputato, adesso ufficialmente candidato presidente alla Regione Calabria per il centrodestra e noto parassita sociale e nullafacente nella città di Cosenza fin da quando “giocava” a fare il tycoon de noantri nella televisione di famiglia, Teleuropa Network (!). E non chiamatelo “lavoro”, che è veramente un’offesa a chi lavora davvero e butta il sangue, al contrario di questo parassita sociale che non ha mai lavorato un solo minuto nella sua vita da debosciato.

Robertino ultimamente non riesce più a nascondere il suo nervosismo che spesso ormai sfocia nell’isteria o nelle denunce al porto delle nebbie quando lo si definisce per quello che è – un parassita sociale appunto – e così, l’estate scorsa, mentre litigava su Facebook con il nostro amico Luigi Cosentini, il quale gli scriveva a muso duro che non ha mai lavorato un giorno nella sua vita, è uscito fuori che adesso – sputa che ci indovini – si occupa proprio di… vino! A questo punto, vista la clamorosa “rivelazione” di Robertino, che ormai veniva fatta a chiunque gli chiedesse cosa faccia nella vita, bisognerebbe capire come ha fatto un parlamentare della Repubblica ad acquistare un’azienda agricola del valore di 2 milioni e mezzo di euro. Robertino Occhiuto è diventato ricco tutto di un botto? E’ difficile credere che abbia potuto portare a termine l’operazione soltanto con gli stipendi che “ruba” alla Camera (come del resto tutti i parassiti che fanno i parlamentari come lui per… non lavorare).

Ma alla fine dello scorso anno è arrivata la notizia che attendevamo sotto forma della “marchetta dell’anno” pubblicata sul Quotidiano del Sud. Robertino ha comprato l’azienda vinicola insieme a Paolo Posteraro, amministratore unico dell’Amaco nonché marito dell’editrice del quotidiano stesso ovvero Maria Gabriella Dodaro, sorella di Francesco e Antonella. E così, in barba ad ogni tipo di conflitto di interessi (termine molto caro a Silvio Berlusconi, padrone del partito cui aderisce il Nostro), era andato in stampa il clamoroso “marchettone”.  Finanche a Palazzo dei Bruzi leggendo le gesta di questi “imprenditori illuminati” e roba simile si sono sbellicati dalle risate. Eh sì, perché conoscendo la filosofia di vita degli Occhiuto, non c’è dubbio che il corposo investimento sia stato tutto a carico del Posteraro, al quale non mancano certo i soldini.

Ma torneremo a breve sul finanziatore del “colpaccio” da 2 milioni e mezzo di euro secondo i boatos che girano. Prima è doveroso capire cosa ha comprato il fratello furbo del cazzaro e lo facciamo attraverso un irresistibile passaggio del “marchettone” sul Quotidiano del Sud. “… Una delle più belle aziende vitivinicole della Calabria dominata da un nobile maniero seicentesco, dotata di spettacolari colline ricoperte di vigneti con varietà pregiate schierati in faccia allo Jonio del Golfo di Taranto. La proprietà, con ordinati, rigogliosi filari e una cantina moderna e attrezzata, vede da circa un anno al timone Roberto Occhiuto….”.

Che la famiglia Occhiuto fosse interessata ad avere “amici” nella famiglia Posteraro lo si era capito da quando Mario il cazzaro aveva nominato il rampante Paolo amministratore unico dell’Amaco. Qua gatta ci cova hanno pensato in tanti e infatti da allora – siamo nel 2017 – è iniziato un lungo corteggiamento che poi ha portato al “matrimonio” tra il 2019 e il 2020. E il “marchettone” ci informa che “… sulla tolda (pensa tu, ndr) dell’azienda vitivinicola, Occhiuto è affiancato da Paolo Posteraro, giornalista e manager pubblico. Insieme hanno deciso di cimentarsi nel mondo del vino acquistando la Tenuta del Castello, 60 panoramicissimi ettari in agro di Montegiordano, dalla seconda metà dell’800 appartenuta ai Solano, dal 2003, convertita alla viticoltura e ai vini da Francesca e Giovambattusta Solano, quarta generazione della famiglia…”.

Paolo Posteraro

Ma chi è Paolo Posteraro? Nato a Roma ma da genitori cosentini nel 1982 secondo il giornale del quale la moglie è editrice è un giornalista e un manager pubblico. Laureato in Giurisprudenza, ha ricoperto diversi incarichi pubblici e ha collaborato con la RAI e la Treccani. E’ stato anche consulente della trasmissione di La7 L’aria che tira e dell’Adnkronos. Ha scritto per «L’Indipendente» e «Il Riformista» e oggi, manco a dirlo, è pure editorialista del giornale della moglie, Il Quotidiano del Sud, ma sinceramente non sapremmo indicarvi qualche sua “perla” di scrittura. Per la Newton Compton ha pubblicato addirittura due libri, Rifugiati Povera Italia. Che non sono passati alla storia della letteratura italiana, salvo prova contraria.

Quanto all’etichetta di manager pubblico, dal 2011 al 2013, è stato capo della Segreteria particolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e anche componente del Corecom della Regione Calabria, nomina politica – ottenuta in quota Udc Casini e Roberto Occhiuto naturalmente, ai tempi in cui era ancora “casiniano” – in un organismo di controllo che è solo un “carrozzone” per elargire prebende, anche piuttosto “pesanti”. E dal 2017 direttamente in quota Occhiuto è il chiacchieratissimo amministratore unico dell’Amaco, azienda del trasporto pubblico cosentino, altro caravanserraglio di consenso politico, tra l’altro in caduta libera sia sotto il profilo finanziario sia sotto quello dell’efficienza dei servizi ma utilissimo per coltivare serbatoi di voti agli amici degli amici.

Dalla brillante carriera disegnata, sorge spontanea una domanda: ma da quale famiglia proviene il signor Posteraro? Il capo indiscusso è il papà, Francesco Posteraro, cosentino doc, classe 1950, pezzo grosso delll’Amministrazione della Camera dei Deputati negli anni Novanta e poi vice Segretario generale della Camera dal 2003 al 2012, quando è stato nominato commissario dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) per i Servizi e i prodotti. Incarico ricoperto fino allo scorso anno. 

La famiglia Posteraro in particolare è originaria di Cavallerizzo di Cerzeto, sì proprio il luogo dove una frana rovinosa ha lasciato migliaia di famiglie senza casa e dove si trova ancora il famigerato Palazzo Posteraro, la cui storia è un caso classico di favoritismi da prima Repubblica, che non mancheremo di raccontare per filo e per segno.

Laureato in giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, ha conseguito il titolo di procuratore legale e ha esercitato per alcuni anni la professione forense presso lo studio del prof. avv. Luigi Gullo in Cosenza. Si dà il caso infatti che Francesco Posteraro era sposato con la figlia di “don” Luigi Gullo (successivamente hanno divorziato) e quindi l’approdo nel famoso studio legale che fu di Fausto e passò poi al figlio Luigi è stato relativamente facile. Ma la sua strada non era quella forense. La svolta arriva nel 1979 quando entra all’Amministrazione della Camera dei Deputati come consigliere parlamentare Udc e diventa un vero e proprio boiardo di stato, uno di quei colletti bianchi che macina denari su denari, sempre legalmente si capisce.

Nell’ambito di essa, dopo essere stato componente della segreteria della Commissione bicamerale d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia, negli anni dal 1980 al 1992 ha diretto la segreteria di una serie impressionante di organi collegiali, tra i quali addirittura la Giunta per le autorizzazioni a procedere ovvero quella che decide se arrestare o meno qualche parlamentare, guarda un po’ il caso… 

Dal 1992 al 1997 ha tra l’altro fatto parte della segreteria della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali presieduta prima dall’on. De Mita e poi dall’on. Iotti (1992-1994) e della segreteria della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali presieduta dall’on. D’Alema (1997). Quella famosa dell’inciucio con Berlusconi, guarda tu nuovamente il caso… E sarà proprio zio Silvio, come vi racconteremo nei prossimi giorni, a fare un regalo “personale” al boiardo all’epoca della frana di Cavallerizzo di Cerzeto. 
Nel febbraio 2003, Posteraro senior è stato nominato Vice Segretario generale della Camera (ufficio che ha ricoperto fino al 25 luglio 2012) e poi è stato a lungo commissario dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) per i Servizi e i prodotti.

Per chi non lo sapesse l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni è un’Autorità indipendente, istituita dalla legge 249 del 1997. L’Agcom è innanzitutto un’Autorità di garanzia: la legge istitutiva affida all’Autorità il duplice compito di assicurare la corretta competizione degli operatori sul mercato e di tutelare i consumi di libertà fondamentali degli utenti.

L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni è un’Autorità “convergente”. In quanto tale svolge funzioni di regolamentazione e vigilanza nei settori delle telecomunicazioni, dell’audiovisivo, dell’editoria e, più recentemente, delle poste. Al pari delle altre Autorità previste dall’ordinamento italiano, l’Agcom risponde del proprio operato al Parlamento, che ne ha stabilito i poteri, definito lo statuto ed eletto i componenti. Dunque, si tratta di boiardi di stato nominati dai partiti. Lo scorso anno “Prima Comunicazione” aveva pubblicato un’inchiesta al vetriolo contro il “pachiderma Agcom” e aveva rivelato tra l’altro come il consiglio fosse in proroga da nove mesi per l’incapacità dei politici di mettersi d’accordo sui nomi da scegliere, con un ennesimo obbligato rinvio alla fine dell’emergenza per il coronavirus.

Ma non solo: attribuiva la nomina di Posteraro in Agcom a “gentile concessione” o a “un atto di generosità di natura personale” del capo indiscusso dell’Udc, il partito dal quale proviene ovvero Pierferdinando Casini, tanto lo sappiamo tutti che il sistema è rigorosamente bipartisan dalla notte dei tempi. E chiosava sul fatto che il Nostro percepiva sia l’indennità dell’Agcom che la pensione della Camera dei Deputati.

Insomma, il grande vecchio che si nasconde dietro Paolino Posteraro è certamente il potentissimo papà, al quale chiaramente non mancheranno i soldi per comprare un’azienda vinicola. Tutto legale, per carità, uno lavora e poi è lecito che si compri un’azienda da 2 milioni e mezzo di euro per il figlio e per i suoi sodali. Una specie di bancomat di stato legalizzato per chi se lo può permettere. Del resto, gli Occhiuto hanno sempre avuto fiuto quando si parla di “vigna”. Diciamo pure che quando si prospetta qualche affare di “vigna” loro non mancano mai. Ci pu minà ‘ccu na mazza. Così come era decisamente scontato il “finale” di questa storia. Ovvero che alla fine si sarebbe trovato un caggio al quale ammollare il “pacco” della vigna con relativi debiti. E per non tediarvi oltre vi rimandiamo direttamente al link https://www.iacchite.blog/robertino-la-vigna-e-finita-la-tenuta-del-castello-spolpata-fino-allosso-e-venduta-a-un-imprenditore-lucano/