Calabria, la storia delle radio private: i pizzini dal carcere e il legame tra le comunità (di Edoardo Maruca)

Iacchite’ pubblica settimanalmente uno studio sull’ L’Evoluzione del Linguaggio e del Giornalismo nella storia delle Radio Private Calabresi curato da Edoardo Maruca, giornalista professionista e radiofonico dagli albori dell’editoria locale.

 PRIMA PUNTATA (https://www.iacchite.blog/calabria-la-storia-delle-radio-private-introduzione-di-edoardo-maruca/)

Molte persone cresciute nell’epoca delle radio private, ritroveranno mode, modi, tendenze e «fattarelli» che hanno caratterizzato il periodo dal 1976 al 2017. Quarant’anni di Radiofonia locale attraverso la quale sono passati milioni di sogni, di parole, di musiche, di studio e di emozioni che hanno accompagnato varie generazioni di Calabresi.

Questa settimana: La Storia delle Radio Private Calabresi.

Parte seconda

Cenni storici.

Se il Giornalismo, per sua natura, è lo specchio della società «e del periodo» in cui è collocato, non si può dire la stessa cosa di quello radiofonico delle radio private calabresi. In verità, per molti anni, l’editoria locale non ha nemmeno contemplato il radiogiornale e tanto meno la figura di un giornalista. I primi timidi tentativi di informazione erano riconducibili alla solerzia degli stessi proprietari o a qualche ex «baracchinaro» deluso dalla pochezza del «linguaggio Cb» (1). Bisogna fare necessariamente un tuffo nel passato per ricordare, o immaginare, «per i più giovani» un mondo senza Internet, telefoni cellulari o addirittura il fax, per avere un quadro più definito di quell’informazione radiofonica che sarebbe diventata come oggi noi la conosciamo. Alle «grigie» trasmissioni della Radio Rai che negli anni ‘70 contemplava poche trasmissioni musicali, si contrapponeva la «leggerezza» delle radio locali, facendo scivolare in secondo piano l’informazione giornalistica.

Quante volte, ascoltando la radio, si sentivano le identiche notizie stampate dalla Gazzetta del Sud o dal Giornale di Calabria e che solo qualcuno, per un minimo di pudore, modificava. Piuttosto, al giornalista «alle prime armi», veniva chiesta l’arte di narrare un episodio con dei commenti. Sono pochi i radiofonici ancora in attività che ci possono parlare di come fossero strutturate le radio private Calabresi della seconda metà degli anni ‘70 e sicuramente nessuno, al tempo, avrebbe immaginato la radiofonia privata come una professione. La Trasmissione radiofonica locale del periodo, sotto un profilo più pedagogico, riproponeva il ruolo della comunicazione verbale ovvero, il recupero della oralità primaria spesso legata ai costumi zonali con un linguaggio «dialettale» fortemente contrastato dalla scuola, dalla stampa e dalla radiotelevisione nazionale.

La radio libera fu una novità assoluta che piacque a tutti indipendentemente dal luogo, dalla classe sociale, dalla cultura, dal sesso o dall’età. Un’assoluta novità, un parlato pubblico da parte di qualcuno o qualcosa che pubblico non lo era e che ha voluto essere, per molto tempo, soprattutto un parlato italiano comune, al quale tuttavia, dopo gli anni Settanta, si sono mescolate le molte altre lingue usate in Italia: varietà regionali, dialetti, lingue minoritarie o straniere. Da un monolinguismo, essenzialmente basato sulla scrittura, a un multilinguismo che rifletteva, filtrava, reinventava e amplificava il panorama sonoro dell’Italia contemporanea. Una radio “bambina” che comunicava molto e informava poco. Uno «strano» mezzo di comunicazione che metteva in contatto le persone quando non esistevano mezzi alternativi: emigrati al nord che telefonavano alle radio Calabresi per dedicare una canzone agli amici, ai malati in ospedale, ai compagni di scuola o alle fidanzate. Emblematico il ricordo della stazione radiofonica Radio Sila di Laurignano nella provincia di Cosenza, che leggeva in diretta, nel programma «l’occasione per dirti che t’amo» i bigliettini (pizzini) lanciati dalle grate di saluti alle famiglie e agli amici dei detenuti del Carcere Circondariale di «Colle Triglio»(2).

L’ascolto delle radio private e locali sovrastava la radio nazionale perché il processo di comunicazione non era unidirezionale ma relazionale in cui più individui, se non addirittura moltissimi, relazionavano un insieme di significati condivisi per quanto fossero leggeri se non addirittura insipidi: tipo «cumu sta, chittà mangiato oglìe» come stai cosa hai mangiato oggi… Non dobbiamo neppure dimenticare il fortissimo legame che, ancora oggi, i Calabresi hanno, con il proprio dialetto e che proprio grazie ai primi collegamenti con gli ascoltatori veniva utilizzato come «strumento aggregativo». Immaginiamo quanto potesse essere forte il legame tra una comunità Arbëreshë (3) e la «sua» radio locale.

La discussione balzava dal colore dei capelli di una amica ai commenti sulla sinistra extraparlamentare o agli scioperi generali indetti dalle prime sigle confederali. Era il periodo dello stragismo quello degli anni ’70/’80 e come accade anche oggi con le crisi di Governo, gli arresti eccellenti, i campionati di calcio o la carenza d’acqua dai rubinetti. Gli Italiani e i Calabresi parlamentavano via radio ogni argomento, bisognava solo cambiare frequenza, in tutti i casi la narrazione rappresentava la forma principale attraverso la quale si trasmettevano notizie e conoscenze e la pochissima informazione nella radio privata anno zero, aveva la semplice regola sociale del fatto tramandato di bocca in orecchio degli ascoltatori, come accadeva in antichità … (4)

Nella prossima puntata: I SEMIANALFABETI (SPIKINGLISH) ANNI 70

 LE RADIO TROPPO LIBERE DEGLI ANNI 70 : ANARCHIA O LIBERTÀ?

  1. Tutte le fonti bibliografiche e diverse, cfr, riferimenti, ibidem, raison d’être e varie, sono riportate in calce su Radiofonia (edoardomaruca.it)