Catanzaro. Da “Basso profilo” alla resa dei conti: lasciate ogni speranza voi ch’entrate

L’operazione Basso profilo è la porta d’ingresso principale al sistema Catanzaro, al pari della scritta scura che campeggiava sulla porte dell’Inferno di Dante: “…Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterno duro. Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate”…E’ l’ingresso nella città della massomafia e delle connivenze con la Chiesa, la curia locale che recita un ruolo attivo nella spartizione e nel gioco di potere, è la cappa che incombe nel cielo catanzarese dove tutto, anche il respiro deve essere “gradito”.

Noi invece siamo ancora alla “ricerca dei luoghi opachi utili per il rafforzamento dei poteri mafiosi o massomafiosi”, andando a parare dove meno te lo aspetteresti… Grazie a questa struttura riservata che in parte si delinea in Basso profilo – è la conclusione? – la ’ndrangheta ha potuto avvantaggiarsi negli ultimi anni dei rapporti con quell’area grigia che era anche inserita nella massoneria «e la massoneria è stata piegata all’esigenza della ’ndrangheta», queste sono alcune delle conclusioni della Commissione antimafia. Catanzaro è il punto di snodo e l’esperimento concreto della strategia delineata dagli investigatori anche sulla scorta delle analisi del fenomeno mafioso della Commissione antimafia, quella nazionale, visto che quella costituita in sede regionale è una barzelletta peraltro nemmeno tanto credibile.

L’operazione “Coccodrillo” è realmente la prosecuzione di altri atti investigativi e la presenza dei Lobello negli schemi della ‘ndrangheta in affari con la politica viene fuori dall’insieme delle notizie di reato che partendo da Aemilia e Kyterion, arrivano come fatto scontato proprio a Basso profilo.

Tommaso Brutto ed il figlio Saverio, insieme ad Antonio Gallo alias “il principino” sono quelli che parlano, come risulta dalle intercettazioni di Basso profilo, dei Lobello. E’ proprio Tommaso Brutto che in una delle sue confidenze fra amici sulla vicenda Gettonopoli, come risulta dalle informative della Dia di Catanzaro viene definito come persona dalla “indole votata alla truffa”. Stiamo parlando delle assunzioni fittizie di consiglieri comunali fatte da ditte che percepivano un rimborso per le assenze degli impiegati per doveri istituzionali, ossia per partecipare alle riunioni delle commissioni consiliari permanenti, riunioni in realtà sporadiche e molto spesso farlocche. Sono sempre gli investigatori che annotano nell’indagine Gettonopoli che nel corso dell’intero periodo di intercettazione, «non solo non sono mai emersi dalle conversazioni elementi o discorsi lavorativi del Brutto, intendendo trattazione di argomenti o riferimenti all’impiego come dipendente presso la Verde Oro ma, al contrario, lo stesso Tommaso Brutto, con la genuinità delle conversazioni captate, confermava ai colleghi politici (Caterina Laria), amici (Daniele Lobello, Salvatore Madia e Antonio Gallo) e appartenenti alle forze dell’ordine (il finanziere Ercole D’Alessandro), di aver orchestrato tale truffa nei confronti dello Stato, senza mai ipotizzare di interrompere tale illecita e truffaldina condotta».

E’ il sistema Catanzaro che si sta disvelando lentamente, dove Tommaso Brutto offre la sua chiave di lettura e dove l’amministrazione comunale di Catanzaro è il vero centro di potere e di spartizione anche con la ‘ndrangheta e la massoneria, perché si regge su un accordo di affari sodale con Mimmo Tallini, che passa pure dalla società Olimpo srl, nella quale Brutto è socio con la moglie di Tallini.

Il quadro complessivo delle ramificazioni fra i Lobello e la politica catanzarese lo delineano, sempre nell’indagine Basso profilo i collaboratori di giustizia Mammone Francesco della locale di ‘ndrangheta di Vallefiorita con a capo Luciano Babbino e Mirarchi Santo del clan Arena di Isola Capo Rizzuto. Interessanti sono le intercettazioni fra i Brutto Tommaso e Saverio ed Antonio Gallo, che sanno delle dichiarazioni del Mirarchi sui Lobello e sulle loro frequentazioni e protezioni della ‘ndrangheta, ma anche le proteste sull’attività del Gallo nella centrale Edison di Simeri Crichi, tanto che proprio i Lobello avevano interessato del problema Carmine Falcone di Steccato di Cutro condannato per mafia nel processo Borderland, e con Mario Donato Ferrazzo (detto Topolino) boss di Mesoraca. Sempre nei colloqui captati, sia Tommaso che Saverio Brutto insieme ad Antonio Gallo definiscono i Lobello “pettegoli perché parlano, parlano, parlano e questo spiega, come dirà Tommaso Brutto, l’atteggiamento strano di Lobello Pino, “per questo il coccodrillo quando lo abbiamo incontrato…”. Ma, nel 2017 i voti dei Lobello per le elezioni comunali di Catanzaro interessano a Tommaso Brutto, gli stessi voti che nel 2006 erano ad appannaggio di Mimmo Tallini nella famosa inchiesta archiviata nel 2014 dal Tribunale di Catanzaro, quando ancora Gratteri doveva materializzarsi e quando, i corridoi e le stanze del palazzo di giustizia erano patrimonio assoluto della massomafia fino al 2016, l’anno domini.

Che la Dda di Catanzaro stesse indagando sulle relazioni imprenditoriali dei Lobello e sulla loro vicinanza ad ambienti di ‘ndrangheta oltre che alle “collaborazioni” con la politica catanzarese era un fatto abbastanza noto e, molti atti dell’archiviazione del 2014 insieme a Basso profilo li ritroviamo nell’operazione Coccodrillo. E’ Antonio Gallo il 28 ottobre 2017 in un colloquio intercettato dice di aver saputo da un amico: “ieri mattina mi ha chiamato un amico… mi ha fatto vedere una carta… mi ha detto di stare “calmino” (fonetico) se no ti riduci a … inc… mi ha detto… gli ho detto ma perché? Nulla…” Sempre Gallo: “…peggio riapertura di indagine sulle dichiarazioni di Santino… (MIRARCHI verosimilmente leggendo ndr) sulle dichiarazioni raccolte dal pentito Santino Mirarchi delego ad operare indagini patrimoniali e finanziarie sui rapporti inc. degli imprenditori LOBELLO Antonio e Giuseppe alias “PINO” (fonetico) firmato Capomolla, ho visto, ha visto la cosa… (verosimilmente la delega ndr) è lui questo…”.

Sono le dichiarazioni del 15 novembre 2018 di Gennaro Pulice, esponente della consorteria di ‘ndrangheta dei Iannazzo-Cannizzaro-Da Ponte di Lamezia Terme, collaboratore di giustizia dopo la sua condanna che danno uno spaccato più articolato delle attività dei Lobello e del sistema Catanzaro. Specifica la vicinanza degli imprenditori Lobello alla famiglia dei Mazzagatti di Oppido Mamertina ed a quella degli Arena di Isola Capo Rizzuto.  La città di Catanzaro è territorio neutro dove non c’è una ‘ndrina predominante e dove le diverse famiglie dei territori limitrofi, inclusi di Mazzagatti si dividevano la zona a seconda delle esigenze e delle collocazioni. Sono sempre i Mazzagatti, per come narra Pulice che insieme ai Lobello hanno eseguito la costruzione di un intero complesso residenziale in zona Catanzaro Lido quello che fa riferimento alla famiglia Paradiso titolari anche dell’hotel.

Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia delineano agli inquirenti non solo lo spessore anche mafioso delle imprese Lobello, gli interessi della politica da sempre attenta alle esigenze delle famiglie attraverso gli imprenditori compiacenti, ma in particolare delinea i meccanismi delle truffe e del funzionamento delle società cartiere, in sintesi la grammatica della ‘ndrangheta che opera nel tessuto economico.

La narrazione che fa riferimento all’operazione Basso profilo è uno spaccato di come la politica abbia fatto affari con “cosa nostra calabrese”, la ‘ndrangheta e come tutta la città sia inquinata a cominciare dal suo tessuto socio-economico e dalle sue ramificazioni politiche, i diversi cartelli che hanno uomini ed interessi anche nei comuni limitrofi alla città, come Settingiano che resta sempre punto di collegamento con la massoneria e con i colletti bianchi deviati, in quanto servitori dello Stato infedeli.

E’ il passaggio di potere nelle società moderne dalla politica all’economia ha avuto riflessi anche nelle relazioni dei mafiosi, che vanno alla ricerca di luoghi e occasioni in cui le relazioni da pubbliche e visibili diventino solo private e invisibili. La necessità delle mafie di perseguire relazioni senza rischi e di una parte delle classi dirigenti di servirsi dei rapporti con le mafie senza doverli rendere palesi (compresi alcuni apparati dei servizi segreti come scrive testualmente la Commissione antimafia) ha imposto loro la scelta di luoghi sicuri di scambi di relazioni  e  di  scambi  di  influenze. Più  si  fanno  opachi  i  luoghi  del  potere  più  le  mafie ne approfittano e si sentono a loro agio. «Ecco perché negli ultimi anni sembrano – si legge sempre nella relazione – cresciute le adesioni di mafiosi a logge massoniche, ed è cresciuto il ruolo della massoneria nella strategia delle mafie nei territori da esse dominati. Di nuovo il modello della ‘ndrangheta si mostra adatto alle novità, e ci spiega molto più di tante analisi come sia diventata la mafia italiana più importante».

Tutto questo è semplice ed al tempo stesso disarmante: Catanzaro è la tela di un quadro criminale. All’interno di questa cornice c’è chi, colto da delirio di onnipotenza, è stato così ingenuo da credere che davvero la maggioranza (o almeno un’ampia fetta) dei catanzaresi avessero archiviato la voglia di legalità, pulizia, trasparenza, rispetto delle regole, eticità e meritocrazia. Tutti quei valori che non si possono trovare neppure con il lanternino dentro quei partiti che hanno accolto i “folgorati di onnipotenza” che oggi sono la fortuna della Dda di Catanzaro in termini di conoscenza e di studio del fenomeno criminale, quello della massomafia.

E’ la politica dell’onnipotenza e della massomafia che ha spinto tanti soggetti nella città di Catanzaro a pensare di essere loro “La” politica – Tallini docet -, reinventando dal nulla e nel nulla culturale e valoriale “il partito dello zero”, quello che viene replicato continuamente in forma minore come effetto matrioska in ogni appuntamento elettorale per il rinnovo del Consiglio comunale di Catanzaro, altri microbi il cui valore è “zero zero”, al doppio come la farina…

Lo stesso delirio di onnipotenza che ha colpito pure e, purtroppo per loro, i Servitori dello Stato infedeli, quelli che si sono ostinati a credere che la loro “vicinanza” con la politica (di destra, di sinistra o di centro pari sono) fosse in grado di anestetizzare l’incedere della magistratura e soprattutto quella di Gratteri. La stessa folle corsa di quei prelati della Curia cittadina che vedono sempre il dirupo morale per gli altri continuando a flirtare con la zona d’ombra della massoneria, pur sapendo che Vangelo e compasso sono elementi inconciliabili, quello che ha portato all’autodistruzione della credibilità proprio della Chiesa calabrese e soprattutto di quella catanzarese.

Cosa resta allora alla città di Catanzaro: la città della massomafia?

Resta l’autorevolezza e la speranza di Gratteri, che, da una parte sta pestando a destra ed a manca senza guardare in faccia a nessuno e dall’altra corre il rischio di avere la sfiga di essere portato da certa stampa in processione come una Madonna pellegrina. Quella stessa stampa che ha tentato di leccarlo come un gelato con il non dichiarato tentativo di consumare un danno, usando la strumentale lode come metodo per sbarazzarsi di lui, perché essere lodati piace a tutti ed a tutto si può resistere tranne che alle tentazioni, anche mediatiche, ma questo Gratteri l’ha già capito. Uno schifo per noi piccoli narratori della verità, quella che vediamo.

Perché siamo di fronte alla nullità distruttiva della stampa di regime, quella catanzarese soprattutto, che in silenzio gode nel vedere la Procura di Gratteri in difficoltà anche momentanea e che non perde occasione per affermare che la ‘ndrangheta non esiste e che la magistratura è diventata un partito senza freni. Questa stampa repellente che pensa di avere gioco facile nel distruggere ciò che da onesto servitore dello Stato, Gratteri ha fatto negli anni.

Il che, tradotto per tutti e al netto dell’ironia tipica dei giornalisti che camminano tre metri sopra il cielo, vuol dire che la magistratura di Gratteri, pur essendo un inutile carrozzone in perdita, è diventata almeno un rubinetto che non perde più. Ergo: in Calabria ed a Catanzaro ha più probabilità un cammello di entrare nella cruna di un ago che un magistrato di razza di attraversare indenne il terreno normativo minato della pubblica amministrazione e delle collusioni con la politica e la massomafia. Per informazioni, chiedere a Luigi De Magistris, che purtroppo ne sa qualcosa. 

Morale: a Catanzaro un certo mondo trasversale paludoso, melmoso e massomafioso non vede l’ora di fargliela pagare e toglierselo dai coglioni così com’è accaduto con De Magistris e dunque, oggi, quel mondo ha sospeso soltanto il brindisi, sperando nella sua promozione da qualche parte (“promoveatur ut amoveatur”). Se si tratta di un errore assoluto o meno ancora non lo sappiamo ma sappiamo però che il tempo passa e il “bello” non è ancora arrivato…