Catanzaro, le peripezie del giovane avvocato Lomonaco tra coca, minacce e insabbiamenti

La storia che stiamo per narrare ha come protagonista assoluto proprio l’avvocato Antonio Lomonaco, il figlio dell’assessore Massimo quello delle “pasterelle”, e ci consegna forse nel modo più autentico lo spaccato del personaggio e la pletora di complicità nel palazzo del Tribunale di Catanzaro, dove la resilienza alla legalità appare più compromessa di quel vincolo di legittimità e giustizia che dovrebbe essere esercitata proprio in quelle stanze, nei fatti ammorbate di complicità e di massomafia.

La vicenda risale al lontano 2009 e si svolge tutta all’interno dell’istituto penitenziario di Siano quando una mattina intorno alle ore 12:00 si presentano l’avvocato praticante Antonio Lomonaco e la collega Patrizia Ruggero, sostituto processuale dell’avvocato Arturo Bova, per conferire con alcuni detenuti. Ma all’avvocato Antonio Lomonaco viene impedito l’ingresso nella sala colloqui perché i cani antidroga della Guardia di Finanza hanno annusato qualcosa…

Infatti da un controllo di prevenzione al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, si scopre che l’avvocato praticante dello studio Bova, Antonio Lomonaco, porta nella sua cartella non solo i documenti, ma anche circa 2 grammi di sostanze stupefacenti… Si procede al controllo ed alla perquisizione dell’autovettura di proprietà dello stesso che dà esito negativo. «[…] Si procedeva al sequestro della sostanza e nel corso dell’attività il sig. Lomonaco Antonio dichiarava essere assuntore di sostanza stupefacente […]». Contestualmente con l’ausilio del N.O.R.M. della Compagnia Carabinieri di Catanzaro si effettua una perquisizione domiciliare presso l’abitazione dell’avvocato Antonio Lomonaco, il cui esito invece è positivo. Ergo l’avvocato Antonio Lomonaco è reo confesso… 

«[…] Tanto premesso, si trasmette la documentazione redatta e considerato la modica quantità e le dichiarazioni rese dal Lomonaco Antonio nel corso dell’attività di polizia, quest’ultimo viene segnalato alla locale Prefettura ai sensi dell’art. 75 D.P.R. 309/90 ed alla locale Procura della Repubblica per i provvedimenti di convalida delle perquisizioni e sequestro e per ogni altra valutazione e determinazione di competenza […]».

Fin qui i fatti, che potrebbero anche essere trascurabili, ma ai quali però segue la cronaca “vera”, quella della massomafia e dell’insabbiamento…

Lo scenario delle vicende successive al fatto che l’avvocato, assuntore di cocaina, Antonio Lomonaco è stato trovato con le mani nella marmellata, o se preferite nella cocaina che trasportava e deteneva al domicilio per uso personale, o in uso per qualcuno – così dicono le voci maligne – è disarmante. C’è la concretezza che la delinquenza sia elemento specifico nel Tribunale di Catanzaro, fra i tanti colletti bianchi, fra magistrati compiacenti e tanti avvocati del foro, esperti pippatori, che si mettono sotto i piedi la deontologia e la morale, solo perché bisogna salvare il sistema ed il giovanotto Lomonaco, abituato ad usare la minaccia e la menzogna con la stessa semplicità con cui usa l’imbroglio.

Non sarà uno scandalo sapere che molti avvocati di Catanzaro, trafficano o spacciano e sono consumatori abituali di coca, se poi il sistema si completa con altrettanti magistrati che prendono mazzette ed addomesticano i procedimenti dei protetti della massomafia, ma che continuano a professare la loro integrità nella lotta alla criminalità ed alla ‘ndrangheta. La scenografia della credibilità narrante del sistema della giustizia che a Catanzaro ha toccato ormai l’apice e l’onore dei botteghini. Le scommesse su chi riesce a farla franca, su chi ha maggiori disponibilità di coperture e valige di denaro, su chi fra una pista ed un’altra si pesa sulla bilancia della giustizia quella mafiosa è l’attività ricorrente e quotidiana nei corridoi del palazzo del Tribunale di Catanzaro, dove i fascicoli scompaiono e dove sono tutti stinchi di Santo nonostante espongono le narici ancora sporche di polvere… bianca.

E’ la minaccia la migliore qualità morale e deontologica della famiglia Lomonaco e quindi dell’avvocato Antonio, giovane rampollo del sistema e questo ce lo confermano le carte del procedimento “disciplinare” iscritto al n. 36/09 a seguito dell’esposto presentato dal D.A.P. Dipartimento Amministrazione Penitenziaria di Catanzaro.

Qui la storia si complica e la massomafia fa quadrato, insabbia, mistifica, dimentica, minaccia e strappa senza tanti preamboli quel principio di credibilità e moralità che dovrebbe essere la radice e l’ordine insindacabile della toga e del suo onore. E’ l’altro buco nero del sistema Catanzaro, dove tutto è relativo a secondo dei soggetti interessati e dove la meglio gioventù della professione forense è più lurida perché ha fatto propri i valori della mafia e della complicità, quella che cammina parallela alla Legge in quel mondo di mezzo che gode anche delle protezioni del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catanzaro nel periodo dei fatti.

Non volano solo gli stracci nel Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, ma le minacce che diventano nuovo metodo di controdeduzione secondo il manuale del giovane avvocato criminale.

Si parla del tentativo di infoibare la verità, di procedure al limite dell’oscenità, di complicità fra i componenti del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, di una sentenza di “archiviazione” anticipata già due anni prima, di soffiate dei componenti, di una benevolenza del presidente dell’Ordine all’epoca dei fatti, della violazione di adempimenti procedurali, di rassicurazioni espresse “che la vicenda sarebbe stata archiviata”.

Il metodo è sempre quello già rodato nel palazzo del Tribunale di Catanzaro: l’insabbiamento. Ecco perché come evidenzia l’avvocato Teresa Matacera, consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Catanzaro al tempo della vicenda: «[…] il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catanzaro, dopo un lungo letargo, nella seduta del 21.02.2013 all’unanimità ha deliberato l’archiviazione del predetto procedimento disciplinare, come d’altronde già anticipata dallo stesso avv. Lomonaco nell’esposto presentato al COA la mattina del 18.07.2011 […]». E’ sempre l’avvocato Teresa Matacera a chiedere il 19 novembre 2014: «[…] che il COA Voglia esercitare il potere di annullamento e revoca d’ufficio dei suoi provvedimenti in autotutela revocando il provvedimento assunto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catanzaro nella seduta del 21.02.2013, con il quale è stata disposta l’archiviazione del procedimento disciplinare a carico dell’avv. Lomonaco; con invito a rivalutare la correttezza dell’iter procedurale senza incorrere a violazioni di legge o eccesso di potere […]».

Ci sembra di narrare la storia di un sodalizio criminale non già quella dell’Ordine degli Avvocati di Catanzaro, che sotto la guida del prof. Giuseppe Iannello ha maturato ed applicato il vocabolario dell’insabbiamento:

Ogni commento è superfluo, giusto come dice l’avvocato Teresa Matacera. Superfluo perché la mafia è seduta nel palazzo del Tribunale di Catanzaro dove la Legge è un optional nelle mani di avvocati avvezzi a tirare di cocaina come l’avvocato Antonio Lomonaco, oppure a vendere e comprare le sentenze. Un’altra storia triste di malagiustizia quella che ha costruito e protetto il “sistema Catanzaro” dove i pesci rossi sono diventati squali e dove la legalità resta una pernacchia sonora, così come il procedimento disciplinare e la conseguente procedura penale a carico dell’avvocato Antonio Lomonaco della famiglia dei Laqualunque

Lex aequalis omnibus: La Legge è uguale per tutti.