Cosenza. Appalti alle ditte amiche: l’assenza della Manzini e la casa ad Hammamet di Carlo Pecoraro

Era stata la Manzini ad avviare l’inchiesta sui famigerati “appalti alle ditte amiche” o “spezzatino” che dir si voglia, una turpe pratica messa in atto da politici e dirigenti del Comune di Cosenza, per aggirare la Legge e frodare le casse pubbliche. Un sistema truffaldino rodato al comune di Cosenza che arriva da molto lontano, erano i bei tempi del cardinale Franco Ambrogio, della cricca di Nicola Adamo. Infatti fu proprio il cardinale Ambrogio, durante la sindacatura Perugini, ad utilizzare lo strumento dei cottimi fiduciari e delle somme urgenze come bancomat personale da spendere per appagare e accontentare tutti gli amici degli amici in cerca di facili guadagni. Una “furbata” che è fortemente piaciuta ad un indebitato cronico come Mario Occhiuto che ha continuato, sin dal primo giorno da sindaco, a portare avanti la turpe pratica, raggiungendo livelli altissimi di intrallazzo.

In sostanza la truffa avveniva e avviene così: i dirigenti corrotti, su ordine del sindaco indebitato e colluso, hanno il compito di frazionare tutti gli appalti pubblici (in particolare tutti gli appalti relativi alla “manutenzione e alla gestione dei lavori e dei servizi pubblici”), facendo attenzione a restare sotto la soglia dei 40mila euro previsti dalla legge per gli interventi “urgenti”, così da poter aggirare la stessa, e assegnare i lavori in “maniera diretta” (senza gara) alle cosiddette “ditte amiche”. Amiche della politica e della ‘ndrangheta, spesso intrallazzate con il sindaco Occhiuto in affari privati con “storie di debiti” e lavori mai pagati.

Un esempio pratico: lavori di rifacimento e ammodernamento della strada o piazzetta X-Y, valore dell’appalto 120mila euro. La cifra destinata ai lavori impone una gara pubblica per assegnare l’appalto (codice appalti pubblici), ed è qui che entra in gioco il dirigente comunale responsabile dei lavori pubblici che dovrebbe organizzare e indire la gara, e invece per garantire l’assegnazione diretta alla ditta amica “spezzetta” l’appalto in tre “lotti” da 40mila euro ciascuno (determina dirigenziale) evidenziando una urgenza di esecuzione che di fatto non c’è. Ed è così che la ditta amica degli amici può papparsi tutti i lavori senza nessuna concorrenza. Il tutto in barba alla rotazione obbligatoria nell’assegnazione dei pubblici lavori alle ditte autorizzate (dall’iscrizione ad un albo pubblico approvato dall’ufficio tecnico del comune).

Di più: questo sistema, oltre ad essere un reato perché attesta il falso (la finta urgenza), è anche un altro modo per aumentare i guadagni truffaldini. Infatti ogni singola determina dirigenziale di 40mila euro è passibile di varianti e lavori aggiuntivi che fanno lievitare i costi sopra la “cifra tetto”, in maniera per così dire “legale”. Un altro giochetto che i dirigenti, nell’assegnazione dell’appalto, pilotano sin dall’inizio: il famigerato gioco al ribasso concordato. Un metodo sicuro che garantisce l’assegnazione dei lavori agli amici degli amici con lucrose creste. In poche parole ce n’è per tutta la cricca: imprenditori, politica e dirigenti pubblici.

Dicevamo, era stata la Manzini, dopo centinaia di nostri articoli sulle ditte amiche, ma soprattutto su spinta del senatore Morra, ad avviare l’inchiesta, ottenendo in un primo momento misure interdittive per Arturo Bartucci (dirigente del Comune di Cosenza, interdizione dai pubblici uffici per sei mesi); Carlo Pecoraro (dirigente comunale anche per lui interdizione dai pubblici uffici, ma per tre mesi); Francesco Amendola titolare della CMT, azienda che avrebbe fornito mezzi tra cui ruspe e camion al Comune per i lavori (divieto di esercitare l’attività imprenditoriale per sei mesi). Fino ad arrivare al rinvio a giudizio per nove degli indagati: Arturo Mario Bartucci, Francesco Amendola, Pecoraro Carlo, Francesco Rubino, Antonio Amato, Michele Fernandez, Francesca Filice, Pasquale Perri, Giuseppe Sasso. Tutti e nove devono rispondere di corruzione, falso e abuso d’ufficio. Tra gli appalti finiti nel mirino degli inquirenti anche quelli relativi al canile e alle luminarie. Sono oltre 5000 le determine dirigenziali esaminate dalla procura, relative al solo periodo compreso tra il 2012 e il 2015, tutte identiche per quel che riguarda due punti. Il primo: l’urgenza dei lavori dichiarata è sempre fittizia. Il secondo: le ditte beneficiarie degli appalti, sempre le stesse, risultano, dal lavoro investigativo svolto, legate “intimamente” con esponenti di spicco della politica, della pubblica amministrazione e dei clan locali. Tante sono le prove documentali, inconfutabili, a sostegno di queste accuse. La loro responsabilità, nel furto dei soldi pubblici, è scritta nelle loro stesse carte. Si accusano da soli.

Questo è quello che sostiene la pubblica accusa che pensavamo fosse rappresenta proprio dalla Manzini, e invece in aula pochi giorni fa, nel processo iniziato nel novembre del 2020 dove sono già state ascoltate due testimoni dell’accusa, Katya Gentile, e Giulia Fresca, entrambe ex assessori della giunta Occhiuto, abbiamo trovato la dottoressa Mariangela Farro.

Perché Marisa, in questo momento che non ha altro da fare, non va in aula a sostenere la pubblica accusa nel processo da lei istruito? Mah. Forse perché ha capito che è tutta una farsa e le possibilità di vedere finire dietro le sbarre chi per oltre un decennio ha prosciugato le casse pubbliche arricchendosi fino all’inverosimile, sono pari a zero. Il processo è solo una formalità che va sbrigata, e poi creare un “precedente giuridico” di questo tipo (una eventuale condanna di tanti fratelli di loggia) non conviene a nessuno, specialmente alla cupola massomafiosa che governa la città più impunita d’Italia. Cosenza deve restare un’isola felice. Le sentenze di condanna per gli amici degli amici sono proibite.

Sono talmente tranquilli, gli imputati, che finirà a tarallucci e vino che uno dei principali indagati, uno di quelli che più degli altri si è arricchito che manco lui sa quanto, ha deciso di trasferirsi armi e bagagli in quel di Hammamet, l’ingegnere Carlo Pecoraro. Il buon Carlo ha pensato bene di cominciare a godersi il frutto di così tanto sudato lavoro, in una bella villa in riva al mare, e servitù a seguito. E ci pare giusto, altrimenti a che servono i soldi se non te la spassi? E poi Hammamet, oltre ad essere una città accogliente con chi porta denaro, è anche una città che garantisce la sicurezza dei propri ospiti. Infatti se qualcosa dovesse andare male, giuridicamente parlando, e con l’aria che tira tutto è possibile, non c’è problema: la Tunisia non concede, ai ladri di stato, l’estradizione. Carlo ha fatto la scelta giusta.

Il tutto ara faccia nostra e dei caggi che dovranno ripagare, con lavoro e sudore concreto, i debiti pubblici lasciati dalla banda del buco. E c’è ancora chi sostiene questi personaggi.