Cosenza. C’era una volta la città dei lupi

C’era una volta Cosenza, terra di lupi. C’era una volta una città dotta, colta, fiera. C’era una volta una città libera e plurale che non aveva paura di dire ciò che pensava: nelle piazze, per le strade, nelle case, nei quartieri, negli spazi liberati. C’era una volta una comunità indomita e ribelle che turbava il sonno dei potenti e dei prepotenti. C’era una volta una città viva, allegra, e combattiva che credeva nel valore della fratellanza, e oggi non c’è più. Oggi c’è una città che sopravvive, che arranca, e che subisce supinamente ogni forma di abuso e angheria. Della Cosenza ribelle di una volta non resta niente: solo macerie, rancori, e veleni. La Cosenza delle avanguardie culturali, politiche e sociali si è arresa al “sistema”, al quieto vivere, alla tranquillità sociale: se non puoi sconfiggere il tuo nemico, fattelo amico. Il potere ha domato i ribelli. E il lupo è diventato agnello. Non più parte di un branco, ma di un gregge che continua però a credersi branco. Ma si sa che “lupo che abbaia non morde”. Una triste messa in scena per nascondere la pavida resa di chi non ha più il coraggio, per comodità e vigliaccheria sociale, di dire le cose come stanno. Continuare a darsi “un tono da lupi” è solo un modo per sopravvivere all’umiliazione di aver accettato di belare come tutti gli altri. Ma la verità è che il lupo non ulula più. Né alla luna, né nelle piazze. Il lupo non caccia più, bruca tranquillo l’erba del pastore. E si lascia attaccare alla catena. C’era una volta un branco di lupi, e oggi non c’è più. E senza branco il lupo non ha forza. Il lupo solitario non esiste, è solo un mito. C’era una volta la città dei lupi e oggi non c’è più. E finché il lupo non ritroverà la sua luna, continuerà a ululare alle stelle. Anzi, a belare alle stelle.