Cosenza, la città dell’appartenenza

Cosenza, oltre che dell’apparenza, è la città, per antonomasia direi, che più pratica il “principio dell’appartenenza”. Nel senso sociale del termine: si sa che l’appartenenza altro non è che il bisogno universale di socializzazione dell’uomo. Ci sono appartenenze che non scegliamo, come la famiglia, l’etnia, il luogo dove siamo nati ed ognuno, tutto ciò, lo accetta come “Dio la manda”. Poi ci sono appartenenze che nel corso della nostra vita decidiamo liberamente, o anche no, di praticare. Si può appartenere ad una comunità politica, scientifica, culturale, ad una lobby, alla massoneria, alla ‘ndrangheta, alla nobiltà, al proletariato, ad una setta segreta, ai morti viventi, e via dicendo.

Da che mondo è mondo il principio, e la struttura sociale che regola il vivere delle comunità, si è sempre basato sulla gerarchia delle caste, o delle classi sociali se preferite. Ovvero: il gruppo sociale più influente all’interno della comunità, piccola o grande che sia, detiene il potere di controllo sugli altri. La natura del potere può derivare da diversi fattori: economico, religioso, politico, mafioso. E chiunque detenga uno di questi poteri appartiene alla casta privilegiata. Più potente, quindi, è la casta, più l’appartenenza alla stessa, in società, conta. Indipendentemente dall’origine del potere della casta. Quello che conta è l’esercizio del potere, politico, mafioso, religioso, economico, sull’altro. E quanto questo incide.

E’ chiaro che in questo quadro chi non detiene “potere” aspira ad averne. Tutti ambiamo alla scalata sociale. Passiamo la vita pensando a come “svoltare”. Ed è proprio quando pensiamo a questo che, a Cosenza, viene fuori l’importanza di appartenere. E se non appartieni a qualcuno che conta, la scalata diventa dura. Se l’appartenenza alla tua famiglia, alla tua etnia non bastano per ambire alla scalata; se i tuoi studi e i sacrifici dei genitori non bastano per entrare in certe società; se la tua casta ( o classe sociale sempre se preferite) non detiene potere, allora vuol dire, se hai deciso di provare lo stesso a fare la scalata, che ti serve una nuova Appartenenza. E trovarne una che ti accetti e ti sponsorizzi, non è cosa facile se le tue origini sono umili e se non hai niente da dare in “cambio”.

Senza appartenenza non c’è possibilità di scalata a Cosenza. Infatti chi va a avanti in città sono sempre le stesse potenti famiglie. Che non hanno mai nessun tipo di problemi anche quando la crisi economica raggiunge livelli allarmanti. Per loro c’è sempre un posto di lavoro, una posizione agiata con tutti i privilegi annessi e connessi.

In altre parte dell’Italia una questione di questo tipo, che poi è la “ricerca” di una buona sistemazione lavorativa, si potrebbe risolvere anche con la classica pastetta o con una bella bustarella, ma non a Cosenza dove prima di tutto viene l’appartenenza.

A Cosenza, ad esempio, si preferisce fare più un “piacere” ad una potente casta a gratis, piuttosto che prendersi una bustarella. Perché il cosentino che aspira, a differenza degli altri, sa che da quel favore può ricavarne molto di più di quello che avrebbero potuto mettere nella bustarella. E poi c’è il fatto che “mettersi a disposizione” di potenti caste significa iniziare a salire qualche gradino sociale. Che per il cosentino vale di più di una corposa bustarella. Perché la bustarella prima o poi finisce, la sistemazione propria o dei figli no. Un “metodo” che ha creato una fitta rete di complicità ed omertà a tutti i livelli rendendo la casta dominate padrona assoluta della vita sociale ed economica della comunità. Costruendo un vero è proprio mondo parallelo a quello ufficiale, dove conta solo ed esclusivamente l’appartenenza.
E non è un caso che a Cosenza prima di ogni altra cosa ti chiedono: scusa, ma tu a chini appartiani?

GdD