Cosenza, la festa è finita

FOTO DI FABRIZIO LIUZZI

di Michele Giacomantonio

Che l’allegro Titanic con al timone il sindaco Occhiuto si sarebbe infranto sull’iceberg fatto da centinaia di milioni di euro di debiti lo avevano capito in tanti ormai e a negarlo erano solo i lieti commensali della prima classe, quelli che più di tutti avevano goduto della finanza creativa che avrebbe inevitabilmente condotto al fallimento della città.

Che il modello Cosenza fosse edificato su menzogne pubbliche ed affari privati era stato svelato da tempo da una pattuglia di giornalisti ed osservatori non asserviti alla lobby di potere che ha fin qui oppresso la città. Così come pure era stato raccontato che il consenso di cui il sindaco ha indubbiamente goduto fino ad ora era costruito su promesse, piccole concessioni, grandi movimenti di denaro pubblico, ma anche su una apparenza di splendore che ha alla fine trascinato l’intera comunità nel baratro di un indebitamento mostruoso.

Sono stati anni di cottimi fiduciari a gogò sempre alle stesse ditte, senza che tuttavia la città ne abbia tratto alcun beneficio. Sono stati anni di consulenze e posti di dirigenti costati milioni di euro e anche in questo caso la città non ne ha tratto vantaggi di sorta. Sono stati anni di lusinghe ben confezionate, di premi immeritati, di articoli nazionali pagati tanto al rigo per esaltare le meraviglie di una città che esisteva solo sui rendering, pure quelli farlocchi visto che alcuni erano fatti così male da far scomparire interi quartieri, ma da quelle realtà progettuali usciva una città magnifica, con parchi alberati, fiumi navigabili, abitata da persone contente.

Tavolata occhiutiana con Iole Perito in primo piano

Soprattutto sono stati anni di menzogne veicolate sui social occupati militarmente da plotoni di fake e passate ai giornali senza che nelle redazioni qualcuno si sia preso la briga di verificare una sola notizia dettata da palazzo dei Bruzi. Eppure su quelle “narrazioni” si è consolidato il consenso, grazie ad esse si è diffusa l’utopia di una città “svizzera”, dove il bello e il buono, unificati in una sola categoria e incarnati nell’architetto al timone del nuovo mondo, avevano scacciato le tenebre. Del resto la gente restava incantata davanti alla magnificenza del nuovo ponte, inaugurato spendendo una banca di soldi in un trionfo di luci e spettacoli, così come apprezzava la piazza fatta col cemento criminale e si esaltava la notte di Capodanno ascoltando la musica, qualunque essa fosse, mentre il sabato riempiva le piazze della movida da un euro a cicchetto, buoni per ubriacarsi male e velocemente. In realtà per stupire i cittadini bastava pure qualche dinosauro, oppure pupazzi colorati, pagati decine migliaia di euro, intanto gli affari andavano alla grande.La realtà era un’altra. La città vecchia abbandonata al degrado materiale e sociale, il suo patrimonio di storia e di storie destinato all’oblio per inseguire il sogno personale di un inutile museo di Alarico, costoso e ormai destinato al nulla. La rete stradale della città stravolta per aprire cantieri che non vedranno mai la fine e pagati con denaro che doveva essere utilizzato per altro.

La qualità quotidiana della vita delle persone impoverita da una città rumorosa e invivibile, prigioniera del traffico e dello smog. La crema sulle mani sporche, la polvere sotto il tappeto. Ma come racconta il Kurtz di Conrad “il destino è il garzone del fornaio che arriva per chiedere il conto” e alla fine il conto è arrivato.
Lo pagheremo tutti, buoni e cattivi. Lo pagherà la città che per un tempo difficile da prevedere dovrà tirare la cinghia. Perché le piazze orrende, i ponti inutili, le spese allegre non potranno essere più tagliate, ma le risorse per le persone fragili, quelle sì, i servizi sociali, i lavori urgenti nelle scuole, le buche nelle strade, tutto questo sarà cancellato a causa del dissesto. Il consiglio comunale ha scelto di restare e lasciare le sue impronte sul fallimento della città, ora la festa è finita davvero, restano le macerie e l’ignominia.