Cosenza, ponte di Calatrava: il secondo inganno per i rom (di Fiore Manzo)

ROM è essere umano: ripartire dai piedi

di Fiore Manzo

Viviamo una società che dà sempre meno spazio all’alterità, che presa dalle proprie cose dimentica spesso che l’altro posso essere anch’ io se non me ne curo di questo mio altro. Viviamo nella società dell’effimero, delle vite di corsa, del consumismo spietato, del capriccio del nuovo, della mancanza di desideri e di obiettivi, della società liquida di cui ci parlava, il grande sociologo polacco, Bauman.

Nelle nostre frenetiche vite, spesso intrise di affanni, ansie e paure facciamo esperienza del vuoto, della solitudine e di rimpianti ma nulla fa scattare la scintilla e spesso l’indignazione muore appena dopo essere nata. Viviamo in un tempo in cui il “penultimo” fa la guerra al suo “ultimo” e questi “ultimi”, espressione che piace a tanti, restano sganciati dalla realtà, vivono una quotidianità che è sempre altra rispetto al “centro” essendo questi “periferia”.

Gli “ultimi” che sovente mancano di coesione si lasciano ingannare dalle trappole di chi governa e finiscono per fare il loro gioco, finiscono per cedere, per poco, alle false promesse di chi se ne infischia. Molte ricerche, tra cui una in particolare, conferma che l’86% degli italiani ha una opinione sfavorevole sulle genti rom ma se volessimo cogliere da vicino e toccare con mano il cambiamento basterebbe far riferimento a due esempi che restituiscono l’immagine del nostro tempo. Il primo esempio è quello della rivolta del 1647 (http://www.osservatorioantisemitismo.it/articoli/nuova-ricerca-del-pew-research-center-su-razzismo-ed-antisemitismo-in-sei-paesi-europei/), alla quale presero parte anche gli ” zingari” e lo trovo straordinario, fra l’altro, perché è il primo documento che ne testimonia la presenza nella città di Cosenza.

Altro che stranieri “gli zingari” di Cosenza, altri che stranieri quei rom della comunità di Via Reggio Calabria che è stata spostata perché d’intralcio, perché doveva nascere il ponte di Calatrava.

È un secondo inganno, è una seconda presa in giro questa che ha subito la comunità. Accadde nei primi anni ’80 che furono trasferiti di pochi metri per lasciare che l’accordo ferroviario prendesse forma, accade adesso che deve prendere forma il ponte, una promessa mancata quella dell’85 perché fu promesso loro che in meno di un anno avrebbero avuto le case ed è una promessa mancata adesso in quanto liquidati con 11 mila euro o il pagamento dell’affitto per tre anni.

Altro che stranieri “gli zingari” e queste cose non le sanno nemmeno molti intellettuali di questa città. Il secondo esempio è racchiuso nella testimonianza di mia nonna materna la quale mi ha raccontato che negli anni ’50-’60 le donne, nelle campagne, le chiedevano di allattare i figli. Questo esempio  racchiude molto bene la percezione dei rom in quel periodo, dove fra l’altro essere rom significava essere allevatori di cavalli o lavoratori di metalli, e soprattutto venivano accettati perché funzionali all’economia di quei tempi. Qual è l’immagine dell’informazione di parte, dei like facili sui social che è restituita al popolo? È l’immagine folkloristica della zingara mal vestita che assieme al figlio si piazza davanti ai supermercati o dinanzi ai semafori e che chiede soldi con una certa insistenza e che ti maledice se non lo accontenti.

Un’immagine che racchiude una categoria, “gli zingari”, senza lasciare spazio alla singolarità, all’unicità degli appartenenti, l’immagine che risalta non da spazio a ceti sociali, a caratteristiche individuali, tutti sono identici, non esiste identità plurale ma singolare. Questo punto dell’alterità, dei ceti sociali ecc, che caratterizzano il mondo rom è il punto cruciale, sono il punto saliente dal quale prende le mosse il nostro modo di analizzare le comunità e dal quale s’innescano, in seguito, tutti i processi che realizzano una comunità. Il comune di Cosenza, e credo che un’amministrazione debba essere valutata anche da come si occupi del sociale, ha mantenuto la categoria della percezione falsa del rom eguale.

Tutti valgono 11 mila euro o tre anni di affitto indistintamente dalla particolarità propria del singolo nucleo familiare. Questo modo di fare politica non risolve ma sposta i problemi, questo modo di fare politica non si accosta minimamente alle buone pratiche. accadde nel 2015 con i rom di recente immigrazione che furono liquidati con una somma irrisoria e che scatenò malcontenti e passò come buona pratica da emulare e ora tocca ai cosentini da anni in graduatoria per l’assegnazione degli alloggi popolari. È necessario ricordare e per ricordare significa ripartire dal basso, ripartire dai piedi (come dice Recalcati) e non farne mero rito mnemonico privo di senso. E’ necessario ripartire dall’indignazione per creare movimenti coesi dal basso che possano portare e realizzare nuovi percorsi e che sappiano valorizzare l’altro ed aiutarlo a realizzarsi come persona in piena autonomia.