Lettere a Iacchite’: “Covid Belvedere, il nostro calvario va avanti dal 20 marzo. Delle istituzioni nemmeno l’ombra”

Belvedere Marittimo

Il nostro calvario inizia sabato 20 marzo. Mia madre ha un po’ di tosse e di febbre e pensa di avere banalmente preso freddo. Lei fa la supplente in una scuola dell’infanzia a Tortora. In quel weekend però inizia a circolare la notizia che alcuni bambini di sezioni di quella scuola siamo positivi al Covid, così la scuola viene chiusa fino al mercoledì 24 per provvedere alla sanificazione dei locali. Mamma però lunedì sta decisamente male e prenota per l’indomani un tampone.

Risulta positiva, mentre io, mia sorella e mio padre che pure ci sottoponiamo a tampone siamo al momento negativi. Ci crolla il mondo addosso. Siamo provati emotivamente da una serie di vicissitudini che già ci hanno interessati da inizio anno, e siamo preoccupati per mia madre che è molto giovane, 46 anni, ma che lo scorso anno ha avuto una brutta bronchite e varie ricadute prima di riuscire ad uscirne grazie ad un medico capace che le aveva segnato una cura efficace. Eppure non possiamo perderci d’animo perché dobbiamo infonderle fiducia e fare tutto ciò che c’è da fare.

Saremo sottoposti a quarantena perché viviamo tutti nella stessa casa, ci organizziamo per isolarla nella sua camera e seguiamo scrupolosamente norme di igiene e di distanziamento per quanto possibile. Lei ovviamente chiama la scuola e informa della sua positività con sintomi, chiama il suo medico curante (una persona di dubbia competenza) e lui le risponde che “non può farci niente, se peggiora deve chiamare il 118”. Davvero? Non sono un medico, eppure non penso che un malato di COVID o debba essere tanto grave da essere ospedalizzato e intubato, o debba aspettare di diventarlo per ricevere delle cure!

Lei allora chiama il medico che l’anno scorso le ha curato le bronchite, lui le segna la terapia farmacologica da seguire e si tiene in contatto con lei. Appena inizia a prendere i farmaci, la febbre scompare nel giro di un paio di giorni, la tosse permane ancora un po’ insieme alla spossatezza, ma i valori e la saturazione sono buoni e ci fanno ben sperare. Le occorre una tac ai polmoni che il medico vuole visionare, chiamiamo il 118 come suggerito dallo stesso medico, gli operatori vengono a casa, misurano i valori a mamma, si informano cortesemente sulla nostra situazione e ci spiegano che non possono portarsi via mamma per farle fare la tac con urgenza, in quanto i suoi valori non sono critici e la tac é meglio programmarla onde evitare che mia madre venga portata a Cosenza e rimanga lì chissà quanto tempo prima di ottenere la tac, o che, peggio, venga portata fuori provincia per effettuare l’accertamento, quindi decidiamo di temporeggiare.

Ci fissano la tac per giovedì 1 aprile. Inutile spiegare che il medico la ritenga urgente, non c’è modo di ottenerla prima di quella data. Nel frattempo il 31 mio padre comincia ad avere febbre a 38, sente il medico che sta curando mia mamma, lui gli consiglia di prendere la Tachipirina se si alza la temperatura, e papà lo fa, ma comincia ad essere sempre più stanco e inappetente, fino al punto da dire di non sentire più odori e sapori e da passare a letto la giornata per mancanza di forze.

Ok, mi rimbocco le maniche e faccio l’adulta della situazione, ci serve sapere se papà è diventato positivo perché deve iniziare una cura anche lui, e nel frattempo mi chiedo come mai non ci sia ancora arrivata nessuna comunicazione da parte dell’Asp per la data in cui dovremo sottoporci a tampone, essendo passati i 10 giorni. Papà chiama il comandante dei vigili, che gli dice che dobbiamo sottoporci al tampone giorno 8, papà gli spiega che lui ha la febbre e non è in condizioni di muoversi da solo da casa e non può aspettare così a lungo per fare il tampone. Lui non sa darci nessun aiuto.

Allora inizio a chiamare all’Asp, dove chiedo spiegazioni in merito alla data del tampone (16 giorni dopo l’inizio della quarantena?) e spiego che papà forse è positivo e dovrebbe farlo subito, mi rimandano ad altri numeri o mi mettono in attesa senza che però nessuno risponda dall’altro lato, quando poi riprovo a chiamare cade la linea dopo pochi squilli.

Chiamo i carabinieri. Ripeto la situazione, mi dicono di chiamare la polizia locale. Parlo di nuovo con il comandante dei vigili che non sa darmi spiegazioni e mi dice che devo contattare l’Asp. Nel frattempo papà chiama il medico curante (Ponzio Pilato, colui che da inizio situazione si è lavato le mani di tutto) e lui gli fa la richiesta di un tampone a domicilio, peccato che nessuno sappia dirci a chi va inoltrata tale richiesta!

Papà parla con una persona dell’Asp che gli dice che fino all’8 non verranno effettuati tamponi e che in ogni caso nessuno li fa a domicilio. L’indomani, giorno 2 aprile, ricomincio con le telefonate per capire come far fare il tampone a mio padre, considerando che siamo chiusi in casa e non posso nemmeno portarlo a fare privatamente il tampone.

Chiamo il 118, mi danno il numero del C.O.T., chiamo, rimango in attesa 15 minuti ma niente, richiamo il comandante dei vigili ormai in lacrime, lui mi incita a richiamare il 118 perché non può fare niente, anzi, mi dice che prova a sentire qualcuno e poi mi richiama ma non ricevo più nessuna telefonata da parte sua.

Richiamo il C.O.T., niente, richiamo il 118 ma non possono trattare il mio caso come un’emergenza e mi esortano ad essere paziente e richiamare il C.O.T. perché devono occuparsene loro, io ci riprovo ma è tutto inutile, nessuna risposta. E crollo. Crollo perché non c’è nessuno che si curi di noi, non c’è una sola persona che ti dia una risposta coerente con quanto ti hanno detto in precedenza, non c’è un filo logico o una norma da seguire che faccia capire a chi vanno fatte le richieste, a chi ci si deve rivolgere in determinate situazioni, non ho ricevuto risposte dopo interminabili minuti al telefono...

Noi abbiamo sempre rispettato le regole, ci hanno chiusi in casa in quarantena rispettando l’ordinanza, ma dopo un anno dall’inizio della pandemia, è così che vengono gestite le cose in Calabria dalle Istituzioni e dal mondo sanitario? Chi è a casa non dovrebbe essere monitorato e seguito affinché non diventi grave? A chi devo rivolgermi se non sento dire altro che “Non ce ne occupiamo noi, deve occuparsene X” e tutti scaricano la responsabilità a qualcun altro? Siamo abbandonati a noi stessi. Siamo una terra di persone abbandonate a loro stesse e destinate a morire per colpa di chi le governa! Sono disgustata, amareggiata, e spero solo che i miei genitori, la mia famiglia, noi tutti possiamo uscirne quanto prima.

L’unica salvezza sono stati dall’inizio amici, parenti, persone che si sono messe a disposizione per non farci mancare spesa e medicine, che ci sono state accanto con tanti piccoli gesti. Ma delle istituzioni nemmeno l’ombra. Di gente competente e capace di gestire queste situazioni, nemmeno l’ombra. Nessuno presente all’appello.

Sara Belletto, Belvedere Marittimo