Dalle rovine alla rinascita di Cosenza vecchia (di Battista Sangineto)

di Battista Sangineto

I crolli, le rovine e le demolizioni dei manufatti degli uomini sono metafore potenti e molto precise della condizione in cui vivono le società e in Calabria accade di continuo che crollino o scompaiano -per incuria, per incapacità o per dolo- interi brandelli del nostro territorio, dei nostri paesaggi e, addirittura, delle nostre città storiche. Quando crolla, o addirittura viene demolito, un pezzo della propria città storica è come se ad ognuno di noi fosse tolto qualcosa di sé stesso, tutte le volte che accade è come se ognuno di noi perdesse un po’ di memoria, di quel che ha amato, come se venisse sradicata una piccola porzione del proprio io, quello individuale e quello collettivo.

L’edificio e il gruppo di edifici in Via Campagna, oggetto dell’ordinanza del Sindaco, è stato costruito a partire dalla fine del XV e possiede un importante portale della metà del XVI, è descritto nel catasto murattiano dei primi dell’800, era presente nella cartografia del Catasto post-unitario datato 1873 e – grazie a documenti d’archivio ed alla memoria storica dei cosentini- sappiamo che la via in cui sorge era famosa come “a vineddra d’à nive” perché nelle botteghe che vi si affacciavano si immagazzinava la neve che serviva per conservare i cibi e per rinfrescare le bevande. Come sarebbe possibile cancellare anche questo importante tassello della forma urbana di Cosenza, come sarebbe possibile asportare un altro brandello della sua memoria e della sua storia bimillenaria?

L’Amministrazione di Cosenza, lo comprendo, ha l’obbligo di tutelare l’incolumità pubblica e ha, di conseguenza, emesso un’ordinanza con la quale si obbligano i proprietari a ristrutturare e/o demolire, ma non sfugge più a nessuno che il problema di Via Campagna non riguarda solo i proprietari di quell’immobile perché è il problema dell’80-90% degli edifici privati del Centro storico da alcuni decenni ed è, dunque, un problema politico, forse il più importante problema politico della città che deve essere affrontato dal suo Sindaco.

Pur essendo consapevoli che ogni finanziamento statale è prezioso, non possiamo non rimanere sconcertati nell’apprendere che i 90 milioni di euro (più di 6 volte il costo dell’intera operazione di ristrutturazione del Centro storico di Bologna!) destinati al Centro storico di Cosenza da parte dell’allora, ma ora di nuovo, ministro Franceschini nel 2017, saranno utilizzati, tutti e soltanto, per il recupero di alcuni immobili pubblici a valenza culturale (molti di essi sono stati più e più volte già finanziati), per il miglioramento dell’accessibilità, per la costruzione di nuove reti idriche e fognarie, per l’adeguamento di linee elettriche e della pubblica illuminazione, per la riqualificazione del verde e di spazi pubblici degradati.

Fulvio Terzi, Cosenza. Medioevo e Rinascimento, Pellegrini editore 2014, p. 534

Niente, neanche un centesimo, per tutto il resto, per il tessuto edilizio privato- perlopiù degradato o, addirittura, in rovina – che costituisce l’80-90% del costruito della città vecchia. Niente per il Centro storico che, nella sua articolata complessità, Antonio Cederna, già nel 1982, riteneva che dovesse essere “…considerato come un monumento unitario da salvaguardare e risanare a fini residenziali e culturali, e che, invece, ridiventa terra di conquista, affinché i nostri bravi architetti possano lasciare in esso lo loro “impronta” ovvero affermare lo loro “creatività progettuale”. Niente per i cittadini che vogliono o vorrebbero continuare ad abitare le case in quelle strade ed in quelle piazze e piazzette, niente per i magazzini degli ultimi commercianti, ristoratori e artigiani, niente per il popolo che ha abitato ed abita la città, che ha conservato, amato e trasformato nel corso dei millenni quelle pietre e quei mattoni che, inesorabilmente, si ridurranno in rovine e macerie.

Spero che il Sindaco Caruso -con il quale ho avuto il piacere di parlare proprio di questo argomento oltre che di verde urbano- si convinca che non solo si debbano restaurare gli edifici privati, ma anche che non c’è alcun bisogno di una Legge speciale per il Centro storico di Cosenza che avrebbe, peraltro, un percorso arduo, lunghissimo e dall’esito incertissimo mentre la Città antica ha bisogno di interventi immediati, come dimostrano anche i recentissimi crolli in via del Seggio.

Certo, se il Comune di Cosenza avesse, negli anni e nei decenni precedenti, proceduto all’elaborazione di un progetto dettagliato di ripristino, ristrutturazione degli edifici e degli spazi pubblici e privati, rifacimento dei servizi e dei sottoservizi, acquisto e/o esproprio degli edifici privati, può darsi che questi 90 milioni si sarebbero potuti investire nell’acquisizione al patrimonio pubblico di quanti più edifici privati, prima, e nella loro ristrutturazione, poi.

Per convincersi della liceità dell’acquisto e dell’esproprio degli edifici privati basterebbe ricordare un caso celeberrimo: quello del Centro storico di Bologna. Nell’ottobre del 1972 l’Amministrazione comunale di quella città presentò in Consiglio una variante integrativa al piano comunale per l’edilizia economica e popolare (PEEP) vigente dal 1965. La variante – elaborata dall’Assessore all’Edilizia Pubblica, architetto Pierluigi Cervellati- in applicazione della legge n. 865/1971, estendeva al centro storico gli interventi di edilizia economica e popolare.

La sopracitata legge 865/1971 era una legge finanziaria che stabiliva le modalità normative per l’accesso ai finanziamenti, comprendendo per l’attuazione l’esproprio per pubblica utilità, di terreni o di immobili compresi anche nei centri storici. Grazie all’interpretazione di questa legge da parte del giurista ed economista Alberto Predieri, fu possibile mettere a punto il piano e il relativo utilizzo dei finanziamenti permettendo all’Amministrazione bolognese di utilizzare i fondi previsti per l’edilizia economica popolare non solo in complessi monumentali pubblici per servizi, ma anche nei comparti abitativi in quanto l’edilizia pubblica è da considerarsi un “servizio pubblico” (Predieri 1973).

Per le acquisizioni e per le ristrutturazioni furono utilizzati (De Angelis 2013) diversi finanziamenti: oltre allo stanziamento comunale iniziale di L. 800.000.000, furono utilizzati i fondi provenienti dalla legge 865/71 (L. 1.900.000.000) e quelli delle successive leggi, compresi quelli derivanti dalla liquidazione della Gescal, per circa L. 2.000.000.000. A questo proposito vale la pena ricordare che a Cosenza, invece, proprio i fondi ex Gescal – secondo Carlo Guccione ben 10 milioni di euro che dovevano servire per l’edilizia sovvenzionata e convenzionata- sono stati impropriamente usati dal sindaco Occhiuto per costruire il sommamente inutile e costosissimo, 20 milioni di euro, ponte di Calatrava.

Per un lavoro di ripristino e di ristrutturazione così capillare ed esteso (più di 150.000 mq. di superficie recuperata) si spesero meno di 5 miliardi di lire, il cui potere di acquisto ora equivarrebbe, secondo i più comuni convertitori (cfr. Sole24ore), a circa 14 milioni di euro, 6 milioni meno del summenzionato ponte di Calatrava.

Sono certo che, se il Sindaco Caruso mettesse insieme una squadra formata da amministratori e da professionisti e studiosi di varie discipline, si potrebbero raggiungere obiettivi paragonabili a quelli bolognesi grazie, per esempio, a somme provenienti dai fondi dell’edilizia residenziale pubblica della Regione Calabria, dai fondi dell’edilizia residenziale pubblica del Pnrr, dai fondi ex Gescal e da altre numerose e frazionate fonti di finanziamento per l’edilizia pubblica e popolare. Si potrebbe, persino, pensare alla possibilità di lanciare una forma di ‘Azionariato popolare edilizio’, come è già avvenuto in alcune città del nord Europa.

Quel che serve, di sicuro, è una ferrea volontà politica di intraprendere una difficile, ma altamente civile opera di Rinascita del nostro Centro storico. Si provi ad immaginare quante intelligenze, quanto e quale immane lavoro saranno necessari, ma anche quante e quali ricadute culturali, sociali ed economiche avrà l’avvenuto restauro del patrimonio culturale sedimentatosi per più di due millenni sul Pancrazio. Bisognerà che si disegni e si metta in atto, nei modi più trasparenti e partecipati, il più grande e complesso progetto strutturale mai concepito per una città calabrese, da calabresi.

Uno storico progetto, quello della Rinascita di Cosenza che potrebbe e dovrebbe mettere in moto, come da Matera, un meccanismo virtuoso che non solo funzionerebbe da stimolo per tutta la regione, ma grazie al quale il nostro patrimonio culturale e paesaggistico verrebbe correttamente tutelato, reinterpretato e riguadagnato alla vita contemporanea, generando un profondo, sentimentale e indispensabile senso di appartenenza e di cittadinanza non solo nei cosentini, ma in tutti i calabresi.